Pendolaria 2018. La peggiore linea locale? La nostra povera Roma-Lido
Lo studio riguarda i collegamenti ferroviari, sull’intero territorio nazionale, usati ogni giorno da lavoratori e studenti
Non lo scopriamo certo adesso, che la vita del pendolare ferroviario è quasi sempre un tormento. Ma proprio perché è tutt’altro che una novità il dato di fatto diventa ancora peggiore. Se più inquietante o più sconfortante, fate voi.
Il rapporto stilato da Legambiente si intitola Pendolaria e ne è stata appena pubblicata l’edizione 2018. Che merita di essere letta per intero (24 pagine ma ricche di tabelle e con un linguaggio molto scorrevole) da chiunque si trovi a vivere il problema in prima persona.
Il filo conduttore è che il comparto è in una specie di limbo. Un approccio omogeneo non c’è e quindi la gestione delle diverse tratte risente di fattori specifici, per lo più negativi. E in parecchi casi talmente negativi da rendere quasi insopportabile l’utilizzo del treno come mezzo di trasporto.
Al pari di ciò che avviene in tanti altri settori ci sono forti differenze tra il Nord e il Sud, a discapito di quest’ultimo. Anche se questo non significa, però, che le situazioni degradate non manchino anche nelle regioni settentrionali: nella classifica delle dieci linee più inadeguate, sulla quale torneremo più avanti, quattro sono appunto disseminate tra la Liguria e il Veneto. Al quarto posto c’è la Verona-Rovigo, al quinto la Brescia-Casalmaggiore-Parma, al settimo la Pont Canavese-Settimo Torinese e al nono la Genova-Savona-Ventimiglia.
Pendolaria 2018: i disagi non sono un caso
L’analisi di Legambiente è chiarissima. Il divario tra le linee iperveloci a lunga percorrenza e quelle locali e disagiate non ha nulla di casuale. Si è deciso di privilegiare le prime, unitamente alle altre infrastrutture faraoniche e non sempre necessarie, e quindi su di loro i riflettori sono sempre accesi. Allo scopo di presentarle in una luce favorevole.
Sottolinea il Rapporto: “Quando si parla di incompiute in Italia ci si concentra sempre sulle grandi opere, senza guardare a quelle più urgenti che sono proprio dove è larga parte della domanda di trasporto nel nostro Paese. Dietro le prime ci sono di solito general contractors e grandi imprese, forti interessi in gioco e quindi si prendono tutto lo spazio di attenzione mediatica e politica”.
Le cifre stanno lì a confermarlo. Le cifre: ossia i tagli avvenuti al servizio ferroviario regionale in questi anni.
“La ragione dei disagi che vivono i pendolari ogni giorno sta nel fatto che dal 2009 ad oggi, a fronte di una crescente domanda di trasporto su ferro, perché permette di lasciare l’auto, riducendo stress e spesa delle famiglie, il numero di treni in circolazione sulla rete regionale è diminuito.
Complessivamente dal 2010 i tagli sulla rete regionale sono stati pari al 4,7% con un aumento delle tariffe mediamente del 18,5%. Se si guarda dentro questi tagli si scopre che ci sono rilevanti differenze tra le regioni. In particolare i problemi riguardano il Sud, dove fra il 2010 e il 2018 il taglio ai servizi ferroviari è stato pari al 33,2% in Molise, al 15,9% in Calabria, al 15,1% in Campania, al 6,9% in Basilicata, al 5,6% in Sicilia”.
Un’altra di quelle questioni, aggiungiamo noi, in cui il decentramento non è una buona idea. Lasciato a se stesso, può darsi che qualcuno sia più bravo dello Stato centrale, ma in moltissimi casi ne farà l’occasione per ritagliarsi la gestione – o la mala gestione – che gli fa comodo.
Pendolaria 2018: la maglia nera è… la Roma-Lido
Una triste riconferma. Il famigerato ‘trenino’ per Ostia si piazza di nuovo al primo posto nella classifica dello sfacelo. Ed è probabile che ci rimanga.
Scrive Legambiente: “nessun cambiamento è avvenuto e nessun cambiamento è alle porte. La linea vede ancora gli stessi problemi e una situazione del servizio davvero vergognosa per i ritardi e per la situazione di degrado in cui versano le stazioni. Gli investimenti nel materiale rotabile non si sono ancora visti, così come gli impegni di rilancio della linea con lo stanziamento di risorse aggiuntive di cui non si ha notizia.”
Dalle parole passiamo ai dati.
“Sono solo 17 i convogli sulla linea (mentre erano 23 lo scorso anno e 24 nel 2015) e, nonostante la rottamazione di quelli più vecchi abbia permesso di abbassare l’età media, questa comunque arriva a 17,5 anni. La conseguenza la si continua a vedere nel numero degli utenti sceso a poco più di 55mila mentre erano 100mila solo pochi anni fa e continuano a calare per via del degrado. Le corse effettuate nell’anno 2017 sono state del 5,5% inferiori rispetto a quelle programmate”.
Come se ciò non bastasse, ecco il ‘rosario’ finale di quello che non va.
“Le biglietterie sono presenti solo in meno di un quarto delle stazioni, i continui guasti e problemi tecnici, si ripercuotono sugli utenti tra corse che saltano senza che venga fornita un’adeguata informazione, e poi ritardi periodici, sovraffollamento dei treni e la condizione drammatica di molte stazioni che tra incuria e sporcizia sembrano essere abbandonate”.
Capiamoci: sarebbe uno scandalo ovunque, ma che questo avvenga a Roma – la Capitale d’Italia – sconfina nella follia. Assicurare modalità di viaggio almeno decenti non è una benevola concessione che il sovrano fa ai sudditi. È un requisito minimo del vivere civile, in questi anni Duemila.