Potenza della Storia: Napoleone duecento anni dopo
“La personalità più clamorosa che sia comparsa sulla scena politica degli ultimi secoli” (Giorgio Colli)
Il 5 maggio 1821, esattamente duecento anni fa, Napoleone Bonaparte moriva esiliato a Sant’Elena. Due secoli sono un lasso di tempo ragguardevole. Sufficiente a produrre cambiamenti importanti, a volte straordinari. Si pensi che in questo lasso di tempo è avvenuta l’unificazione del nostro Paese e quella della Germania.
Sono state combattute due guerre mondiali. E’ nato ed è morto il comunismo sovietico. L’uomo è andato sulla luna. Sono state introdotte le ferrovie e le automobili. È nata la fotografia, il cinema, la radio, la televisione e, da ultimo, internet.
Ciò non toglie che la vicenda di Napoleone rimanga enigmatica e degna di sempre nuovi interrogativi. Come sempre quando, nelle imprese umane di qualsivoglia forma e natura, si manifesta la grandezza. Per noi che siamo nati dopo la Shoah, Stalin e le atomiche sul Giappone, la vicenda del grande condottiero corso che, per un attimo, tiene tra le mani le sorti della Francia, dell’Europa e del mondo, continua a sprigionare feed-back anche positivi…
Napoleone, un inizio leggero
L’argomento è importante e i libri su di esso sono moltissimi, come è giusto e normale che sia. Per chi non ha il tempo e la forma mentis per uno studio sistematico, un approccio dettato da quella che Italo Calvino, nelle “Lezioni americane”, chiamava leggerezza, può essere fonte di soddisfazione, e anche di divertimento. Penso al libro di Ernesto Ferrero intitolato “N.” (Einaudi, 2000) e al film che ad esso si ispira, intitolato “Io e Napoleone”, con Elio Germano, Daniel Auteuil e Monica Bellucci, per la regia di Paolo Virzì.
La vicenda narra di Napoleone all’isola d’Elba, dunque prima dei Cento giorni e di Waterloo. Il grande conquistatore è osservato dal punto di vista del suo bibliotecario elbano, letterato schivo e agitato da sentimenti rivoluzionari, che è ossessionato dalla personalità debordante del grande generale.
Si ha modo di osservare la vicenda da un’ottica di leggerezza, appunto, lontana dalla seriosità della storiografia più impegnata e di riflettere sull’umanità in tempi più e meno bui, per usare un’espressione di Hannah Arendt. Napoleone è stanco, fiaccato dalle sconfitte, umiliato di regnare sulla piccola isola toscana, invece che sul mondo.
Ma la sua figura sprizza umanità, gaiezza, simpatia. Nel film, il Napoleone interpretato da Auteuil chiede al bibliotecario Elio Germano, se possiede ancora il suo occhio d’aquila, o se l’abbia mai avuto. Siamo lontani dalla sospettosità paranoica del dittatore totalitario. Dall’inferno di morte e violenza dei campi di concentramento.
Uno sguardo moderno
È noto che tutti i grandi contemporanei di Napoleone, furono impressionati dal personaggio. Dalla rapidità delle grandi conquiste, dalla personalità del tutto fuori dal comune, dalla fermezza del suo polso, dal suo genio tattico e militare.
A cominciare da Beethoven che gli dedicò la Terza sinfonia, del 1805 e che, poi, ricredutosi sui sentimenti di libertà che animavano l’Imperatore, stracciò la sua dedica. Si tratta di una pagina di musica tra le più grandi che siano mai state scritte. La potenza dell’individualità umana è qui celebrata senza remore.
Per circa cinquanta minuti si è sollevati sulle spalle della Gloria, con una nettezza, una profondità, una precisione di sentimenti che hanno pochi eguali nella storia della musica. È naturale che un compositore come Beethoven, il cui sentire si esprimeva in questi termini, non potesse tollerare compromessi di sorta.
Con Goethe ci fu un incontro diretto, molto celebre, a Erfurt nel 1808. È noto che il grande poeta, autore del “Faust”, non nutriva sentimenti rivoluzionari particolarmente spiccati, che osservò gli avvenimenti della sua epoca, dunque la Rivoluzione francese in primo luogo, con distaccato spirito aristocratico. Perciò quel movimento di adesione e di successiva delusione che toccò Beethoven di fronte a Napoleone, non interessò Goethe. L’Imperatore invitò il Poeta a Parigi e, con l’occasione, a comporre una tragedia su Cesare, che Goethe non scrisse.
Per quanto riguarda l’Italia e il sentire degli italiani di fronte al grande condottiero, ognuno di noi sa quanto sia faticoso “Il Cinque maggio” di Alessandro Manzoni, almeno quando lo si studia a scuola. In realtà il miglior servizio che si possa fare a Manzoni è proprio quello di liberarlo dalla scuola. La poesia, che celebra la morte di Napoleone (sul cui bicentenario ci chiniamo oggi, 5 maggio), è grande – tanto che Goethe la volle tradurre in tedesco.
Infine, vogliamo ricordare il giudizio e il sentimento di uno dei pensatori più profondi e influenti degli ultimi due secoli, ossia Hegel. Il quale, all’epoca della battaglia di Jena, nel 1806, si trovava proprio in quella città, e mentre era in attesa di veder uscire la sua prima grande opera, la “Fenomenologia dello spirito”, scrisse, in una lettera, la famosa frase: “ho visto l’imperatore – quest’anima del mondo – uscire a cavallo dalla città…”.
Molti anni dopo, quando Hegel sarà ormai acclamato professore a Berlino, tratteggerà, nelle celebri “Lezioni sulla filosofia della storia”, la teoria degli individui cosmico – storici. Ossia, riflettendo sul posto dei grandi uomini nella storia, affiancherà i nomi di Alessandro, Cesare e Napoleone. Fissando, una volta per tutte, il posto dell’Imperatore francese nella storia mondiale.
Uno sguardo contemporaneo
Nel volume intitolato “Per una enciclopedia di autori classici” (Adelphi) sono raccolte le prefazioni ad alcuni volumi, che Giorgio Colli scrisse per questa celebre collana di Boringhieri, da lui diretta. Tra di esse, una è dedicata alla “Vita di Napoleone” di Stendhal.
In questa breve nota, un giudizio è decisivo. Colli definisce Napoleone in questo modo: “la personalità più clamorosa che sia comparsa sulla scena politica degli ultimi secoli” (p. 109). Conoscendo, da un lato la profondità del pensatore e dello studioso, dall’altra la sua durezza verso il potere, è un giudizio che merita di essere meditato a fondo.
Volendo, dunque, tracciare un bilancio di questa grande esperienza storica di cui oggi si celebrano i due secoli dalla conclusione, è interessante un altro giudizio di un intellettuale italiano contemporaneo. Esso si trova in “La rovina di Kasch” (Adelphi) di Roberto Calasso. Il libro ha nella vicenda di Talleyrand, che di Napoleone fu anche ministro, uno dei suoi perni centrali.
Riflettendo sull’eredità dei due personaggi, Calasso si esprime in questi termini su Napoleone: “eredità napoleonica: nel culto della volontà e nella pretesa del controllo: una tensione autogenerata, un giocattolo a molla dalla lunga carica. Il controllo è fin dall’inizio illusorio, ma la maestà della macchina che esso muove invita comunque a venerarlo” (p. 66). Difficile non pensare alle diagnosi di Nietzsche sulla volontà di potenza come molla fondamentale dell’agire umano. Siamo nel cuore della Vita e della Storia. Di fronte al Potere, in tutta la sua enigmaticità…