Premio Strega 2020, la seconda volta di Sandro Veronesi e i libri degli altri
Almarina di Valeria Parrella è il mio numero due, però Colibrì lo preferisco, è una mossa d’azzardo che mi è piaciuta. Merita il Premio Strega 2020
Premio Strega 2020. Non sono amico della domenica, perciò voto da lettore semplice, ma all’annuncio di Scurati, giovedì notte, ho potuto uniformarmi al voto dei 200 amici della domenica, evviva Sandro Veronesi. Meritato.
“Amico da tanto” è una formula generosa, ma Sandro lo conosco dal primo libro (“Per dove parte questo treno allegro”, la Theoria Repettiana del Secolo scorso) e credo fu tra le prime interviste che feci io, con lui la prima di tante, era il 1989.
E poi mi lega a lui un curioso episodio, ma assolutamente determinante che riguarda la mia attività di poeta, ma questa è storia privata e nemmeno Sandro la sa. Lui per me fu assolutamente determinante in una decisione: non far girare più le mie poesie. Erano i primissimi anni 90 e c’entrava Nuovi Argomenti di cui Veronesi era redattore.
Allora voto da lettore, e voto Veronesi con “Colibrì”, il migliore dei sei in gara. Ma poiché sono solo un lettore e sì parziale faccio miei i diritti stilati da Pennac e allora dico anche degli altri.
Carofiglio, ne ho letti diversi da “lettore giornalista”, ma adesso da lettore puro posso farne a meno e questo “La misura del tempo”, mi sono preso il lusso di non leggerlo. Non credo che abbia scritto un libro migliore degli altri e anche gli altri erano in una medietà che non mi ha mai detto molto. Gian Arturo Ferrari ha fatto già tanti danni all’editoria italiana con la sua concezione da vorace berlusconiano, mi risparmio di sottopormi alla tortura di un ulteriore danno con questo suo romanzo, che amici lettori professionali e non prevenuti mi dicono oltretutto noioso.
Ho letto “Almarina” di Valeria Parrella ed è il mio numero due. Mi piace Parrella da sempre, dai tempi della Balena (Mosca più balena – Minimum fax) e anche stavolta ha saputo scrivere una storia intensa. Il timbro del suo lessico e dalla costruzione della frase, la stratificazione delle notazioni di dettagli, l’accumulazione narrativa, ne fanno un bel romanzo.
Però Colibrì lo preferisco, è più coraggioso formalmente (la forma in letteratura dovrebbe sempre dire qualcosa di più) è una scommessa a sparigliare le carte è – come il suo protagonista giocatore – una mossa d’azzardo che mi è piaciuta.
Daniele Mencarelli lo conoscevo come poeta, ha portato in prosa quel che già in versi aveva raccontato. Il dolore, la malattia mentale, ci sono tanti nodi irrisolti, qualcosa di non chiaro proprio nella sproporzione tra la voce narrante e il protagonista. Sono la stessa “maschera/persona” ma c’è un dislivello cognitivo, culturale, linguistico non efficace. Alla fine sa di sceneggiato Tv, molto troppo romano, romanesco. Mi perdonerà forse è troppo, ma insomma mi sa di Cesaroni in certi punti, seppure con attenzione al dolore e una positiva battaglia per il rispetto di chi è inerme nella sua malattia.
Quello di Jonathan Bazzi, Febbre, è una specie di compitino ben fatto. Sinceramente poco più che un lungo, anche buono, reportage su Rozzano nella prima parte, ma non è da Strega. E’ un reportage di quelli che troviamo scritti anche meglio su molte riviste o giornali a volte. Inoltre mi sembra sì molto prevedibile e lento nella parte seconda in cui parla della malattia. Nonostante anche qui un sincero (?) impegno nell’ affermare il punto di vista di chi “da dentro” ha vissuto periferia, realtà difficile, emarginazione. E tuttavia, non sempre “essere il personaggio” ti fa scrivere da “autore” e meglio di quanto farebbe un vero autore.
Anche se esterno per nascita da certi mondi o realtà, anche se l’autore se non può rivendicare una sorta di “ius solis”, che darebbe diritto speciale a chi nasce a Rozzano di scrivere di Rozzano, di dire meglio la sua condizione. Ma la letteratura è l’avere questo diritto di primazia? O è la creazione di un dispositivo formale, narrativo, poetico che attraverso le strutture del testo faccia emergere la significazione e il senso di una storia altrimenti simile a tante altre? Insomma, se lo avesse scritto “Er riccetto” il romanzo “Ragazzi di vita”, non credo sarebbe stato la stessa cosa e probabilmente sarebbe stato più “falso” proprio perché spesso chi parla dal punto di vista del vero poi cade nella retorica di sé.
C’è sempre un’aura di epica della vittima in Bazzi, che trasforma una lodevole testimonianza, ma nulla più, in una fanatica esibizione di galloni-proletari un po’ come fa la trap. E il fatto che tutti si accalchino a elogiare il suo essere outsider del “sistema letterario” da parte di persone integratissime nel sistema letterario stesso la dice lunga.
Mario De Santis (poeta, giornalista Gruppo L’Espresso-Repubblica-Radio Capital)
Premio Strega 2020, il vincitore, Sandro Veronesi
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