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Covid 19, prima delle “Fase 2” ecco le domande che non possiamo non fare al conducente

Rimangono da capire anche le cause del disastro della Lombardia, sia per individuare responsabilità, che per evitare che si ripeta

roma,accampamento sotto ponte sant'angelo

Roma, accampamento sotto ponte Sant'Angelo


Questo virus, oltre alla micidiale crisi sanitaria, genererà una crisi economica che, al pari di quella del 1929, metterà in ginocchio alcuni Paesi. Tra questi probabilmente l’Italia, che ha già perso il 9% del PIL. Gli effetti di questa perdita sono immaginabili: aziende fallite, economia al collasso, migliaia di posti di lavoro persi, con qualche rischio per la tenuta sociale. Nella migliore delle ipotesi un maggiore indebitamento pubblico, che peserà sul futuro dei nostri figli.

La salute ha la precedenza su tutto, ma forse dovremo ragionare meglio di quanto fatto finora. Nei momenti di crisi bisogna fidarsi dei Governi che, loro malgrado, sono costretti a prendere decisioni drammatiche senza troppi indugi. Quindi le critiche, soprattutto quelle propagandistiche, vanno evitate. E d’altronde, criticare è fin troppo facile, quando non si ha la responsabilità della vita di migliaia di persone e del destino di un’intera comunità.

“Vietato parlare al manovratore” e una frase efficace se il “manovratore” è quello del tram, che si muove sui binari, con una destinazione prefissata. Ma quando il conducente non conosce la strada, perché nessuno la conosce con certezza, è necessario parlargli, anzi obbligatorio, perché utile. Presi alla sprovvista, tutti i Governi si sono messi in movimento, pur non sapendo la strada da seguire, con l’obiettivo di fuggire dal mostro. Giusto. Al pericolo si risponde in modo emergenziale, anche se confuso e concitato. Ma poi, bisogna ragionare per mettersi davvero in salvo, se non si vuole rischiare di finire in un precipizio.

Ogni riflessione diventa quindi un utile contributo per trovare la strada per uscire dal blocco totale che, soprattutto sui social, pochi sopportano e molti cominciano ad avversare apertamente, soffiando sul fuoco della protesta di chi, per ovvie ragioni economiche, non ce la fa più. I numeri ci sono contro, perché abbiamo ancora un numero elevato di decessi. Ma nel conto del Covid 19 abbiamo messo anche i tantissimi decessi dovuti a fattori estranei al virus. Tra questi gli anziani, con multiple patologie preesistenti. Questo conteggio ha generato l’allarme che ha impedito di ragionare. Non solo in Italia, certo, ma noi abbiamo fatto da apripista; persino gli USA ci hanno seguiti su questa strada.

Abbiamo deciso il ricovero ospedaliero di coloro che mostravano uno stato avanzato della malattia, anziché curare immediatamente e possibilmente a casa, avvalendoci dei medici di base, coloro che avevano i primi sintomi. Abbiamo così intasato gli ospedali di malati in fase critica, tutti bisognosi dei pochi macchinari disponibili. Negli ospedali il virus ha trovato terreno fertile, facendo pagare al personale sanitario, privo dei basilari strumenti di protezione individuale, un prezzo altissimo in termini di vite umane. La carenza di mascherine per tutti e la mancanza di una strategia articolata, ha favorito la scelta puramente difensiva del blocco totale.

E’ spaventoso che tanti Paesi, cosiddetti avanzati, non fossero preparati, non dico a combattere il virus, ma nemmeno alla minima difesa. Persino gli USA si sono trovati impreparati, nonostante il Presidente Obama avesse ammonito, molti anni fa, sulla necessità di preparare il sistema sanitario americano a questa evenienza.

La carenza di mascherine, dopo mesi dall’inizio del contagio e il numero elevato degli infetti e dei morti, continuano quindi a condizionare le nostre scelte, soprattutto quelle legate alla cosiddetta “fase due”. Le speranze di tornare in tempi ragionevoli alla normalità diminuiscono notevolmente se il numero dei nuovi infetti e dei decessi continua ad essere alto. La paura della recrudescenza del fenomeno bloccherebbe chiunque.

Ma ci stiamo muovendo bene? Gli esperti scelti per programmare la “fase due” hanno gli elementi per valutare al meglio? E qui entrano in campo le cosiddette “voci fuori dal coro”, quelle che una scriteriata e illogica censura vuole ignorare ed addirittura criminalizzare. Non mi riferisco agli pseudo-scienziati o ai complottisti che abbondano su ”Instagram” e “Tik Tok” ma a scienziati la cui competenza è indiscussa. Persone del calibro di Giulio Tarro, infettivologo di fama mondiale o Stefano Scoglio, entrambi candidati al premio Nobel per la medicina o a Stefano Montanari, solo per citarne alcuni.

Essi ci dicono che il test del tampone, che stiamo usando, può sbagliare nell’80% dei casi e che esso registra qualunque infezione virale da “Corona”, incluse quelle che possiamo aver avuto nel lontano passato. Ci dicono che l’attesa del vaccino è fuorviante, perché l’efficacia del vaccino, per questo virus polimorfo, sarà dubbia a fronte di un’elevata pericolosità che, non a caso, induce l’esercito italiano a rifiutarsi di fare da cavia per i test. Qualcuno li ascolta?

Peraltro, se è attendibile lo studio del CNR Israeliano, che sostiene che questo virus è “a tempo” e decadrà tra poco, il vaccino sarebbe utile solo a chi lo venderebbe in miliardi di esemplari. L’alternativa, che altri stanno in parte attuando, passando già alla “fase due” è fatta di poche semplici mosse: distribuire mascherine a tutti e dare regole rigide di separazione e prevenzione; tracciare i movimenti ed i contatti, confinando solo i possibili infettati; utilizzare, per avere certezze, i test sierologici, più attendibili, economici e veloci del tampone, che consentono di verificare, attraverso il tasso di IGG, IGM e PCR la certezza o meno dell’infezione.

Questo permetterebbe di confinare e monitorare solo piccoli gruppi, facendo riprendere la vita normale a tutti gli altri, facendo tornare al lavoro la gran parte del personale, in aziende appositamente riorganizzate per questa circostanza. Solo se necessario, si potrebbero continuare a limitare coloro che, per varie ragioni, sono fuori dal processo produttivo o sono, per la loro condizione, più a rischio. Infine, si possono differenziare i provvedimenti limitativi, tenendo conto della diffusione effettiva del virus sui vari territori.

Detto questo, rimangono da capire le cause del disastro della Lombardia, sia per individuare eventuali responsabilità, che per evitare che si ripeta. E anche per questo bisogna porre una serie di domande.
La colpa delle disfunzioni va attribuita, come sostiene Saviano, a una visione aziendalistica del sistema sanitario pubblico lombardo, reso subalterno al sistema privato, anche a causa dei fenomeni corruttivi per i quali l’ex Presidente Formigoni è stato arrestato e condannato in via definitiva?

Se è vero che il Covid 19 trova un veicolo nelle polveri sottili, la sua straordinaria virulenza nel nord Italia va collegata all’elevato inquinamento ambientale di quelle zone, sul quale occorre intervenire oggi più di ieri?

C’è un nesso tra la virulenza dell’infezione e la campagna di vaccinazioni a tappeto sviluppata in quelle zone alla fine dell’autunno? E se c’è, è il caso di insistere sulla frenesia da vaccino, che spinge oggi Zingaretti a ipotizzare la vaccinazione antinfluenzale obbligatoria di tutti i cittadini del Lazio? O è preferibile puntare su una cura preventiva che riduca al minimo il rischio e su azioni mirate per una cura efficace in caso di contagio? Se alcuni errori erano giustificabili ieri, non lo sono più oggi, soprattutto se questi errori condizionano la possibilità dell’Italia di tornare in modo ragionato, ma deciso, alla vita normale.

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