Prof. de Mattei: “la rinuncia di Benedetto XVI è un errore”. Ancora effetto Ratzinger
“Ci sarà certamente un giorno in cui papa Benedetto non sarà più impedito e fornirà una parola non più destinata solo ‘a chi orecchie per intendere’, ma a tutto il mondo”
Egregio Prof. de Mattei,
questa mia per ringraziarLa del suo articolo “A proposito di Andrea Cionci” pubblicato ieri su Corrispondenza Romana, che invito tutti i lettori a leggere. Nemmeno se ci fossimo messi preventivamente d’accordo avrei potuto desiderare un assist migliore e più eloquente.
Un piccolo capolavoro di senso di superiorità professorale e malcelata stizza che – senza entrare minimamente nel merito della questione – l’ha condotta a scadere sull’offesa ad personam e su argomentazioni talmente superficiali e sprezzanti da far arrossire il prof. Zenone.
Una “sublime ricapitolazione” dai suoi predecessori: l’accusa di ”incompetente” rubata a Don Tullio Rotondo; il “matto che è dominato dalla smania del conoscere” e” ha perso la bussola”, dal direttore della stessa, Riccardo Cascioli; le “tesi cervellotiche” dall’ottimo don Ariel Levi di Gualdo, attento divulgatore di lettere false di Mons. Gänswein prodotte con licenza Word a suo nome.
Se mi permette un appunto, mancava solo una nota sull’assonanza del mio cognome col verbo “cianciare” e l’articolo sarebbe stato perfetto, ma, in compenso, ci ha regalato prova di mirabolante capacità di contraddizione quando afferma:
“L’abdicazione di Benedetto XVI e il modo con cui essa è avvenuta sono considerati da molti studiosi e anche da eminenti membri del Sacro Collegio come un grave errore”.
Eccellente. Cosa Le fa supporre che nel Diritto Canonico un atto erroneo (per giunta di tale portata) nel contenuto e nella modalità, possa essere considerato valido?
(Proprio ieri scrivevamo di un “effetto Ratzinger” : lo strano fenomeno per cui i nemici della legittimità papale di Benedetto XVI sono i primi ad affermarla involontariamente).
Pensi la mia vana curiositas su quali chine mi ha trascinato. L’abdicazione doveva essere simultanea, al munus petrino e formalmente e giuridicamente corretta, mentre invece è stata differita, al ministerium, non confermata dopo le ore 20.00 del 28 febbraio 2013 e perfino sgrammaticata. Eppure, papa Benedetto sostiene di averla scritta in latino per “non commettere errori”. Mah? Possibile che non sia mai stata un’abdicazione, fin dal principio?
Ho trovato godibile l’escamotage di presentarmi ,ai Suoi numerosi lettori, come un matto che si lamenta perché nessuno interpreta dei codici misteriosi che vede solo lui. Accettando volentieri questo buffo ruolo, visto che Lei è uno storico, ci potrà spiegare come mai papa Ratzinger scrive che, come lui, “nessun papa si è dimesso negli ultimi mille anni e anche nel primo millennio è stata un’eccezione”.
Oppure perché continua a impartire la sua benedizione apostolica, o perché fa rispondere alla Segreteria di Stato che il papa emerito è il Sommo Pontefice.
E sul fatto che indossi ancora la veste bianca perché era la cosa più “pratica”, magari sarà d’accordo con don Rotondo, per il quale Benedetto XVI ha preferito risparmiare 1000 euro di nuova talare nera, incurante dell’inquietudine in cui avrebbe gettato qualche milione di fedeli. O forse, occupandosi solo “di ciò che è visibile”, Lei crederà al fatto che, in nove anni, nessun sarto ecclesiastico ha avuto il tempo di confezionare una talare nera per l’”emerito”.
A proposito: ma non era proprio Lei che sosteneva come l’emeritato, per il papa, non avesse senso? Nel mio penultimo articolo Le ho rivolto delle critiche (pesanti, ma non offensive a livello personale) sul dato oggettivo e di portata storica per cui Lei e altri cattoconservatori vi rifiutate di esaminare la possibilità giuridica che papa Benedetto non abbia lasciato la sede vacante, ma impedita, come da canone 335. Glielo cito da QUI perché il sito vaticano dedicato al CIC non è più fruibile da un paio di giorni: “Can. 335 – Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale”.
La mia tesi bislacca: ma non sarà che se il papa non esercita il munus (ed è quindi privo di ministerium) è impedito piuttosto che abdicatario?
Canone 412: “La sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito di esercitare l’ufficio (MUNUS) pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani”. (…Episcopus dioecesanus plane a MUNERE pastorali in dioecesi procurando praepediatur…”.
E non potrebbe essere proprio per questa difficoltà di comunicazione imposta dall’impedimento che Benedetto XVI si esprime con un linguaggio sottile, ma non poi troppo, tanto che perfino un giornalista (“la feccia del mondo delle lettere”, come spiega il prof. Zenone) è riuscito a comprenderlo?
Magari si potrebbero chiedere lumi ai canonisti di Bologna che, un mese dopo la mia “provocazione”, hanno formato un gruppo di studio “sul papa emerito e il papa impedito”.
La divertirà il fatto che, per strana coincidenza, Benedetto XVI ha recentemente dichiarato: “La risposta è nel libro di Geremia”, dove si legge “Io sono impedito”.
Infine, mi permetta una considerazione generale. Da storico, saprà certamente che, da secoli e millenni, ritornano in modo stancamente ripetitivo le figure di “quei filosofi che, colmi dell’ostinazione dell’aspide” non vogliono nemmeno esaminare le tesi degli avversari, delegittimandoli a prescindere.
Eppure Lei ha pubblicato l’interessante volume “I sentieri del male. Congiure, complotti, cospirazioni”, potrebbe quindi ben esaminare il più importante di tutti.
Glielo dico con “amicizia personale” (citando un delizioso codice Ratzinger): è sicuro di voler mancare a questo appuntamento finale per passare alla storia con il cliché del prestigioso universitario che non si abbassa a considerare le altrui interpretazioni?
Ci pensi. Potrebbe essere un grosso rischio dato che ci sarà certamente un giorno in cui papa Benedetto non sarà più impedito e fornirà una parola non più destinata solo “a chi orecchie per intendere”, ma a tutto il mondo.
In ogni caso, rinnovandoLe i sensi della mia gratitudine, La saluto cordialmente e mi rendo disponibile a offrirLe una copia del libro, qualora fosse interessato.
Andrea Cionci
L’articolo di “Corrispondenza romana”
C’è in Italia un giornalista che scrive di cose della Chiesa e si lamenta essere ignorato da una serie di intellettuali e di testate cattoliche di orientamento tradizionale, di cui riporta un puntiglioso elenco, accusandole di sottrarsi a un confronto che il giornalista giudica doveroso data l’importanza del tema. I presunti messaggi in codice che l’unico papa legittimo, Benedetto XVI, trasmetterebbe per denunciare l’impostura dell’antipapa, Jorge Maria Bergoglio. Il giornalista non si duole delle numerose critiche che ha già ricevuto, ma di quelle che non sono ancora arrivate, impedendo, con questo silenzio, che la sua ricostruzione delle vicende della Chiesa venga presa nell’«attenta, serissima e approfondita considerazione» che, a suo avviso, merita.
Poiché tra le testate che egli accusa di non avere ancora espresso un giudizio su di lui e sulla sua opera, c’è anche Corrispondenza Romana, non abbiamo difficoltà a soddisfare il suo desiderio. Si chiama Andrea Cionci, un giornalista di cui abbiamo apprezzato gli articoli fino ai primi mesi del 2020 quando, con la pandemia, sembra aver completamente perso la bussola. Come altri promettenti ingegni.
Cionci si vanta di aver pubblicato centinaia di articoli e un libro che ha venduto 12.000 copie ed è stato tradotto in due lingue. Ma si illude se pensa che questi numeri corrispondano a un ampio consenso di pubblico. La ragione del suo successo sta nella “curiosità” che le sue cervellotiche tesi suscitano tra lettori amanti del sensazionalismo. La vana curiositas che, come spiega san Tommaso, è l’aspetto vizioso del desiderio di conoscere (Somma Teologica, II-II, q. 167), è una malattia della mente da cui ogni cattolico deve guardarsi. Questa è la ragione per cui non riteniamo necessario pubblicizzare il suo libro e i suoi articoli, senza che di ciò ci si debba far rimprovero.
La ragione per la quale il silenzio ha accompagnato la sua “inchiesta” sul conclave del 2013 sta anche nel fatto che egli pretende di parlare di una questione non solo seria, ma drammatica, riguardante la vita della Chiesa, senza avere la pur minima competenza per farlo. Cionci infatti non ha alcuna conoscenza teologica o canonica, ma soprattutto sembra privo di quel buon senso, prima ancora che di quello spirito cattolico, che è condizione necessaria per affrontare problemi delicati e complessi che toccano la vita delle anime. Gli “esperti” a cui si richiama per giustificare le sue tesi sono citati a sproposito, perché nessuno di essi le condivide. E l’unica arte di cui egli si dimostra padrone è purtroppo quella del sofisma.
L’abdicazione di Benedetto XVI e il modo con cui essa è avvenuta sono considerati da molti studiosi e anche da eminenti membri del Sacro Collegio come un grave errore, mentre per Cionci è un’astutissima manovra del “Papa emerito” per mettere con le spalle al muro il suo rivale Francesco. Cionci ha coniato l’espressione di “auto-impedimento” per descrivere un’inedita situazione in cui Benedetto XVI, unico vero Papa, combatte in maniera occulta contro l’usurpatore Bergoglio. Papa Benedetto, a suo parere, si esprime in maniera criptica, attraverso una comunicazione in codice che solo Cionci è in grado di decifrare.
Ma se il linguaggio di Benedetto è volutamente segreto, non si capisce perché Cionci, che è un suo ammiratore, lo riveli al mondo intero. Benedetto, direttamente o attraverso il suo segretario mons. Georg Gänswein, ha più volte smentito la tesi che lo vuole ancora Papa regnante, ma ogni smentita è per Cionci una conferma, perché, a suo avviso, se Benedetto confermasse pubblicamente il suo piano, svelerebbe il gioco che conduce. E se Benedetto dicesse che Cionci è matto, il nostro sarebbe pronto a dichiarare che, in senso spirituale, la follia può rappresentare il passaggio ad un alto livello di conoscenza. Non a caso nelle carte dei Tarocchi il “matto” cambia il suo significato a seconda di come esce nel giuoco, positivo se è diritto, negativo se è a rovescio.
Cionci afferma che il prof. Roberto de Mattei, direttore di Corrispondenza Romana, «non ha colto che la questione della legittimità di Bergoglio è canonica, anni luce prima di essere teologica». In realtà è proprio il Diritto canonico, prima ancora della dottrina teologica, a rendere inconsistente la tesi di Cionci, per cui la Chiesa cattolica sarebbe prossima alla sua fine, a causa di un’illegittima successione al pontificato. Cionci sembra ignorare che la Chiesa è necessariamente, e per sua natura, una società visibile. Pio XII lo esprime in questi termini: «La Chiesa cattolica è il gran mistero visibile, perché visibile è il suo capo sulla terra, il Vicario di Cristo, visibili sono i suoi ministri, visibile la sua vita, visibile il suo culto, visibile l’opera e l’azione sua per la salvezza e la perfezione degli uomini” (Discorso del 4 dicembre 1943).
Se la Chiesa cattolica non fosse visibile, non potrebbe essere riconosciuta ed essa può e deve essere riconosciuta da ogni uomo sulla terra proprio per le proprietà visibili che la caratterizzano. Questa visibilità è data innanzitutto dalla successione apostolica, un carattere che si trova solo nella Chiesa cattolica romana. Chi proclama l’interruzione della successione apostolica si situa nel solco delle innumerevoli conventicole eretiche di cui sant’Alfonso Maria de’ Liguori ha fatto un esauriente e sempre attuale compendio (Storia delle eresie colle loro confutazioni, Phronesis, Palermo 2022). Nell’orgoglio, nota sant’Agostino, hanno la loro radice tutte le eresie e le apostasie della fede (Sermo 46, n. 18).
Solo un uomo pieno di presunzione può anteporre l’opinione propria al giudizio della Chiesa universale fondata da Dio. Per mortificare quella forma di orgoglio della mente che è la vana curiositas, potrebbe essere utile sostituire alle letture mattutine o serali di tanti blog pseudo-cattolici, le meditazioni illuminanti sull’Avvento del grande abate di Solesmes, dom Prosper Guéranger (1805-1875). Le parole della Liturgia spiegate da don Guéranger parlano di tenebre che Dio solo può dissipare e di piaghe che solo la sua bontà può risanare: sono le piaghe della Chiesa e sono le tenebre in cui è immerso chiunque rifiuta di accettarne il Mistero.