Quando “Le Iene” diventano iene, dal truffatore nigeriano al suicidio Zaccaria
Ormai un certo tipo di giornalismo di assalto, come Le Iene, per andare avanti deve trovare da sé il presunto colpevole e condannarlo a telecamere accese
La spettacolarizzazione di un caso giudiziario, attraverso sceneggiature televisive e attori più o meno consumati, a partire dalle prime indagini è da sempre oggetto di “utilizzo” da tutte le parti interessate (a diverso titolo), inquirenti compresi.
Senza dubbio, ritenere che il clamore mediatico provocato attorno ad un caso giudiziario non possa influire sulle sorti dello stesso, sia in fase d’indagine che in fase dibattimentale, appare alquanto ingenuo.
Pertanto, tanto più alimentata sarà l’attenzione mediatica e lo “show” che ne deriva, quanto maggiore sarà la possibilità di “indirizzare” la soluzione finale. Questo trova rispondenza soprattutto nel pragmatismo legislativo e procedurale dei Paesi anglofoni e negli Stati meno “appesantiti” da una storia, o semplicemente negli Stati in cui la Giustizia è rapida e meno legiferata.
La truffa del capannone
Purtroppo, nella realtà del nostro sistema giudiziario, al netto dell’inaudita estensione temporale dei processi, della “fantastica elasticità” interpretativa su procedure e norme, delle “inspiegabili” differenze intellettive in capo ai giudicanti nei diversi gradi del giudizio, la pressione mediatica è una componente molto spesso inutile per l’esito finale.
In alcuni casi, se prodotta con imperizia e ostentata “ignoranza”, si rivela un boomerang per chi ne ha voluto fare un utilizzo eccessivo ed improprio.
Soprattutto nel mondo delle Tv commerciali (RAI inclusa), quando il caso non fa più notizia, quando non garantisce l’audience idonea, non rimane che gettarlo nel dimenticatoio insieme alle entusiastiche speranze degli ingenui fornitori di personali sceneggiature che non andranno più in scena.
Non è la prima volta che trattiamo l’argomento, citando il fortunato Format di Italia 1 “LE IENE”, Mi riferisco a “La Truffa del Capannone”. Ma, in quel caso, come per molti altri, una certa “insensibilità a posteriori” verso i “propri assistiti” era una delle poche critiche che si potevano rivolgere ai protagonisti della fortunatissima trasmissione televisiva, che per rimanere tale deve evidentemente curare comprensibili “interessi di bottega” dettati dalla fatturazione degli spot pubblicitari.
Oggi invece, ormai superata la “verve” emotiva trasmessa attraverso le “normali” attività d’inchiesta, un nuovo corso sembra definire il futuro televisivo de “Le Iene” e dei suoi imitatori.
Vi ricordate i primi approcci televisivi spettacolistici di improvvisati detective con telecamera e microfono che rincorrevano i “divertenti” truffatori nigeriani smascherati in flagranza del bislacco tentato crimine?
Tanto bastava per fare l’audience utile a “passare” gli spot pubblicitari necessari alla messa in onda.
Il suicidio di Roberto Zaccaria e l’inseguimento della iena Matteo Viviani: la iena ha fatto la iena
Nel tempo, il livello si è alzato sempre di più fino alla imprescindibilità del morto, della violenza fisica evidenziata nei particolari, dell’abuso sessuale plasticamente rappresentato con dovizia di “sporchi” particolari.
Purtroppo, in alcuni casi, i “runner” in giacca e cravatta, pensando sempre di rincorrere lo sprovveduto ed esilarante truffatore nigeriano, l’hanno fatta veramente grossa.
È il caso del suicidio di Roberto Zaccaria, duplicato contrapposto alla sua stessa vittima, immortalato durante l’inseguimento della Iena Matteo Viviani in diretta nazionale.
Il sessantaquattrenne di Forlimpopoli, nella prima serata di Italia1, è stato sommariamente giudicato dalla stessa iena (definizione, in questo caso, da intendersi probabilmente in senso proprio) quale mandante psicologico del suicidio di Daniele (giovane forlivese, già vittima di catfishing da parte dello Zaccaria).
Per questo, si è autocondannato alla massima pena (prevista solo dal fondo più estremo dell’opinione pubblica) immediatamente eseguibile e autonomamente espiata.
In definitiva, Viviani, forse eccessivamente euforico per aver individuato l’autore del reato di catfishing, (ndr che non è assimilabile all’omicidio), invece di evidenziare l’inadeguatezza di una sentenza ai danni dello Zaccaria che aveva decretato la sola ammenda per sostituzione di persona, si è scagliato sul reo (già giudicato e condannato dal Giudice Penale), ormai debole e psicologicamente provato più per la morte non voluta della sua vittima che per la condanna ricevuta. Dunque, la “Iena” ha fatto la iena.
Il limite al diritto all’informazione e l’obbligata spettacolarizzazione del crimine
L’autore dell’iconico programma di Italia 1 ha dichiarato di domandarsi sempre quale sia il limite al diritto di informazione. Peccato, che nel frattempo, abbiamo già oltrepassato quel limite.
L’editore, (Ndr Pier Silvio Berlusconi) che di persecuzione giudiziaria mediatica se ne dovrebbe intendere, a difesa del proprio Format ha dichiarato: “..dire basta a un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti…”.
Il rischio è che, nella obbligata spettacolarizzazione sommaria di un fatto criminale, la vittima, “semplicemente” morta ammazzata, o “solamente” stuprata o tremendamente colpita non solo nel corpo, cominci a non fare più la giusta audience.
E dunque, la conseguenza è che “un certo tipo di giornalismo di assalto”, per andare avanti, debba ormai trovare da sé il presunto colpevole, inseguirlo in ogni dove e condannarlo a telecamere accese in diretta nazionale (manca solo l’esecuzione della pena decisa).
La necessità di un codice deontologico degli inquirenti televisivi
Volendo trarre delle conclusioni propositive sul fenomeno, ricordando altresì l’ottima conduzione e successiva rappresentazione esaustiva di alcune delle inchieste portate alla luce nei vari format del genere, Iene comprese, ci dovrebbero essere alcune regole da rispettare.
Un vero e proprio codice deontologico degli “inquirenti televisivi”.
Se non addirittura una licenza prefettizia o ministeriale preceduta da un attento esame valutativo delle competenze in possesso del candidato, aspirante inquirente televisivo, senza per questo ledere minimamente l’indipendenza giornalistica e il diritto all’informazione.
Inoltre, quando si affronta con modalità investigative e giudiziarie un crimine violento, che possa aver causato la morte fisica di un individuo o anche un grave danno morale oltre che materiale, non dovrebbero passare spot pubblicitari che finiscono inevitabilmente per sminuire la gravità del fatto.
Allorquando un evento criminoso diventa solo una componente attrattiva dello “spettacolo” che va in onda, diventa troppo alto il rischio di un’alterata vittimizzazione della vittima stessa.
Insomma, ci troviamo di fronte all’esigenza di una regolamentazione del fenomeno (vista la piega presa da troppo tempo) o basterebbe solo un po’ di buon senso?
Fatti e persone da maneggiare con cura
Come la scienza di settore insegna, dobbiamo “maneggiare” con cautela oltre che con la massima cura i fatti, le cose e le persone che riguardano un qualunque crimine. Questo inoppugnabile assunto, non riguarda solo le vittime, ma anche i loro presunti o “conclamati” aguzzini. A meno che non riteniamo lecito che si possa agire in proprio per ottenere la “giusta” condanna e la conseguente pena con il plauso primitivo della “folla inferocita”…inserzionisti pubblicitari permettendo.
P.S. Al di là della critica, l’importanza di molti “servizi” delle Iene è a tutt’oggi indiscutibile.
Per questo, augurandoci che vengano apportate alcune piccole ma importanti modifiche, tutti continueremo ad apprezzare il lavoro dei suoi inviati che sapranno rispettare il ruolo importante che sono chiamati a svolgere al servizio del cittadino e della libera informazione.