Quando un poliziotto mise cocaina nell’auto del giornalista per farlo arrestare
Giangiacomo De Stefano, figlio di Gennaro De Stefano racconta quando un carabiniere mise cocaina nell’auto del padre giornalista per farlo arrestare
Le parole e i ricordi di Giangiacomo De Stefano, figlio di Gennaro De Stefano, giornalista e scrittore italiano che definì se stesso un “giornalista scomodo” anche nella sua autobiografia. Gennaro De Stefano aveva scoperchiato un sistema di abusi e illeciti nel commissariato di Avezzano negli anni ’90 e così subì una ritorsione: cocaina nell’auto del giornalista.
Dopo lo choc dei Carabinieri di Piacenza, l’argomento delle cosiddette “mele marce” torna ad infiammare il dibattito pubblico. Le mele marce sono in ogni ambiente di lavoro, di pubblico servizio: sono tra le forze del’ordine, nella politica, nel giornalismo, ma il modo in cui l’arma, le istituzioni reagiscono al problema, questo cambia le cose.
Cocaina nell’auto del giornalista…scomodo
“La storia di mio padre è legata a un famoso delitto che nel 1990 riempì le pagine della cronaca, il delitto del mostro di Balsorano. Mio padre smascherò le indagini che erano state fatte dalla procura di Avezzano e dimostrò che non erano attendibili: il ‘mostro’ non era davvero il colpevole. Lui ricevette delle minacce dai poliziotti per questo e io ho ancora ho i documenti delle denunce. Poi venne arrestato per 22 g di cocaina nella sua macchina, che trovarono nell’abitacolo. Mio padre non solo riuscì a dimostrare la sua innocenza ma anche a far condannare il vice ispettore che aveva fatto mettere la cocaina nell’abitacolo. Purtroppo però si fece ben sette anni di prigione. Era un uomo che aveva accusato il colpo, soffriva, ma è sempre stato capace di riorganizzarsi e reagire.
Gran parte del commissariato di Avezzano finì al centro di un enorme scandalo. Così mio padre che lo aveva portato alla luce, divenne uno dei più importanti giornalisti dell’epoca.
Lui fu coraggioso e quando tempo qualcosa penso a lui come esempio per superare l’ingiustizia e trovare il coraggio.
Vi era una situazione di abuso di potere generale nel commissariato. Mio padre si tirò fuori da questa vicenda anche grazie ad un pentito, personaggio ambiguo, e una donna vice questore, Rosa Fortuna che poi diventò sua moglie. Una drammatica vicenda che poi diventò un amore immenso. Nonostante tutto un lieto fine, perché fu risarcito anche dallo Stato”.