Prima pagina » Cronaca » Quarticciolo e le periferie degradate di Roma: il primo nemico è l’impunità

Quarticciolo e le periferie degradate di Roma: il primo nemico è l’impunità

Per molti l’Italia non è una terra di riscatto. Ma un terreno di conquista. Un Paese lassista in cui si hanno ottime probabilità di farla franca

Polizia 113_2025

Quarticciolo, periferia est di Roma. Nella Capitale l’emergenza del momento è questa: con la cronaca quotidiana che aggiunge nuovi episodi – vedi il recentissimo “assalto alla polizia”, per citare il titolo di apertura dell’edizione romana del Corriere della Sera di martedì scorso, 11 febbraio, durante il quale “quindici persone hanno circondato la volante, lanciato in arabo l’allarme per far accorrere un boss della zona” – confermando i motivi di allarme. E rilanciando le discussioni sulle contromisure da adottare.

Il decreto Caivano anche a Quarticciolo

Lo schema è il solito. Chi sollecita una repressione assai più incisiva e chi, al contrario, inneggia al risanamento sociale. Come se quest’ultimo fosse l’unico rimedio possibile.

A metà gennaio, ad esempio, sul sito di Left (il cui nome toglie a priori ogni dubbio sulla collocazione politica) la questione è stata sintetizzata così, attribuendo la posizione alla generalità dei residenti: “No al decreto Caivano e al modello del pugno di ferro”.

Sulla pretesa di parlare a nome dell’intera collettività possiamo anche sorvolare, liquidandola come l’ennesimo miscuglio di enfasi giornalistica e di propaganda faziosa.

Sulla contrapposizione in sé stessa, viceversa, vale la pena di riflettere. Perché dà per scontato, per indiscutibile, addirittura per ovvio, che perseguire duramente i reati sia sbagliato e inquietante di per sé. Venendo a costituire il segnale del futuro avvento di uno Stato autoritario. Che oggi si accanisce con i criminali ma domani, chissà, potrebbe fare lo stesso con chiunque si azzardi a contrastarne la volontà e gli obiettivi.

Un timore spropositato e assurdo, quantomeno qui in Italia.

Un sospetto che diventa pregiudizio. E che finisce con il favorire, per stupidità o per calcolo, quel dilagare della delinquenza che ammorba il nostro Paese. In maniera smaccata e immediatamente visibile nelle periferie degradate. In forme meno esibite anche altrove.

Una dicotomia fasulla

In linea di principio non dovrebbero esserci dubbi: sono due aspetti della medesima soluzione. Due strumenti al servizio dello stesso scopo.

Da un lato la repressione. Dall’altro il risanamento.

La repressione per colpire direttamente i delinquenti e ostacolare al massimo grado le loro attività criminali. Il risanamento per prosciugare il brodo di coltura in cui essi sguazzano, con il doppio vantaggio di trovare facilmente nuovi accoliti e di incontrare una resistenza comunque limitata.

È inevitabile. Anche quando non siano tutti sprofondati nella paura e diano vita a iniziative autogestite di riqualificazione sociale, come avviene appunto al Quarticciolo, i cittadini non hanno certo la possibilità di debellare, da soli, le gang che continuano a imperversare. E il motivo è proprio la mancanza, al di là delle buone intenzioni, di quelli che sono gli strumenti fondamentali dell’apparato giudiziario: le forze dell’ordine per effettuare indagini e arresti, i magistrati per condurre i processi e infliggere le condanne dovute, le carceri in cui rinchiudere i responsabili.

Repressione e risanamento, dunque, non sono affatto degli approcci alternativi, ma complementari.

Eppure, complementari non significa simultanei. Né tantomeno da attuare in ordine inverso, nel presupposto falsissimo e tutto ideologico che prima si debbano migliorare massicciamente le condizioni di vita dell’area degradata, dopodiché i fenomeni criminali svaniranno da sé.

Questo teorema è illusorio. E lo è innanzitutto riguardo alla tempistica.

I benefici del risanamento, infatti, si vedranno soprattutto in proiezione futura. Mentre la repressione – sempre che sia sistematica, ossia capillare e assidua – serve a sgombrare il campo dalla criminalità presente.

Chiaro: a patto che le sentenze siano tempestive e le pene comminate adeguate, tanto per la loro lunghezza nominale quanto per la loro durata effettiva.

Quando un Paese è lassista…

Ma c’è dell’altro, su cui è il caso di soffermarsi. È il sottinteso, il sottofondo, su cui si innesta l’ottusa antitesi tra repressione e risanamento, al pari di ciò che avviene in tantissimi altri ambiti.

Il filo rosso è la viscerale repulsione per l’idea di una comunità nazionale che tuteli sé stessa. E che perciò non si lasci soggiogare dall’idea, dal dogma, che i migranti siano sempre e comunque delle vittime, giunte fin qui per sfuggire allo sfruttamento e/o alle persecuzioni. Profughi incolpevoli e di buon cuore, alla ricerca di un approdo sicuro e di un lavoro onesto.

Le cose, purtroppo, non stanno affatto così. Per più di qualcuno l’Italia non è una terra di riscatto. Ma un terreno di conquista. Un Paese lassista in cui si hanno ottime probabilità di farla franca.

Le valutazioni, perciò, devono assolutamente liberarsi di questa equazione sciagurata e irragionevole, passando a delle valutazioni obiettive da svolgere caso per caso. Nella consapevolezza, inoltre, che determinati vincoli delinquenziali poggiano anche sull’appartenenza agli stessi gruppi etnici. Nessuna demonizzazione in blocco, si intende, ma c’è da giurare che chi se la cava a man salva o giù di là, per i crimini commessi qui da noi, non mancherà di trasmettere la “lieta novella” ai connazionali rimasti in patria.

Vale per il Quarticciolo e vale per ogni altro luogo con dinamiche, con patologie, simili. La chiave di volta è comprendere che lo scopo prioritario della repressione è invertire le tendenze in atto. Non solo imponendo un freno poderoso sul piano pratico, ma soprattutto mettendo in chiaro che il clima è cambiato.

La fase dell’impunità è finita. O se non altro si sta avviando a conclusione.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia