Razzismo in Tv: pubblicità natalizia con protagonisti neri, omosessuali e musulmani
Combattere il razzismo in tv con la pubblicità non fa che rendere le cose più complicate. Ci stiamo incartando da soli
Sono certo che il lettore comprenderà lo spirito provocatorio di questo articolo e perdonerà alcune citazioni un po’ colorite che utilizzerò al solo scopo di meglio far comprendere il mio pensiero. Ho 50 anni e quando ero bambino, poi adolescente, poi ancora giovane uomo, non parlavamo di razzismo. Non ce n’era bisogno. Non si parlava di minoranze o di discriminazioni. A parte in casi clamorosi come la segregazione razziale in Sud Africa o l’olocausto degli ebrei.
Sebbene le parolacce fossero vietate in casa, quelle pronunciate dai personaggi dello spettacolo erano in qualche modo accettate, forse perché considerate artistiche e quindi non realmente volgari e offensive.
Ognuno di noi ha un punto debole, fisico o caratteriale
E poi all’epoca le persone comuni, quando volevano punzecchiare qualcuno e farlo arrabbiare, andavano semplicemente a cercare quello che ritenevano fosse il suo punto debole. Tutto qui. Perché a noi che uno fosse alto, basso, pieno di capelli o con il cranio liscio, ebreo, negro (uso apposta questo termine perché non lo consideravo e non lo considero dispregiativo), non ce ne importava nulla.
Allo stadio così come ai giardinetti o a scuola, se litigavi con qualcuno e volevi farlo infuriare gli dicevi, se era piccolo di statura, che era un nano. Se aveva pochi capelli che era pelato. Ad uno alto e molto magro che era un becccafico spilungone, un ebreo lo chiamavi tirchio rabbino, a uno scuro di pelle, negro. Io ero capellone e a me dicevano: “Barbone, tagliati i capelli e vai a lavorare”. Tutti luoghi comuni che però erano efficacissimi per provocare l’antagonista.
Ma in tutto questo non c’era nessuna forma di razzismo, nessuna discriminazione. Era solo un modo per far infuriare il prossimo.
Allo stadio se il tifoso era in disaccordo con una decisione arbitrale urlava: “Arbitro cornuto”. Io che tifavo Lazio, ero definito burino.
I film di Tomas Milian e la goliardia
I film di Tomas Milian erano pieni di imprecazioni di ogni genere che oggi verrebbero definite omofobe, razziste o politicamente scorrette. Ma non vi era alcuna volontà o desiderio di discriminare: faceva parte dello spettacolo. Solo goliardia. Per lo stesso principio per cui una barzelletta è quasi sempre tempestata di parolacce e offese di ogni genere.
Nessuno avrebbe mai pensato di dover censurare i film del” Monnezza”, o la canzone “Avventura con un travestito” di Califano. “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla o “I Watussi” di Edoardo Vianello, perché contenevano termini come “negro”, “puttana” o “frocio”. O addirittura un capolavoro del cinema come “Via col vento”.
Poi qualcuno ha deciso che tutto questo rappresentava differenti forme di razzismo. Che certe etichette discriminatorie andavano bandite, financo punite per legge.
Il tempo che passa e il razzismo che avanza
Lo spazzino è diventato operatore ecologico, il bidello è diventato operatore scolastico. I nani sono diversamente alti, i calvi tricologicamente privati e via dicendo. Abolendo termini della lingua italiana, modi di dire popolari o etichette tuttalpiù goliardiche e provocatorie ma nulla di più. Finendo per introdurne di nuove, spesso forzate e ridicole.
Termini che abbiamo pronunciato e udito pronunciare a scuola, in tv, dai nostri genitori e dai nonni, come scopino, bidello, nullafacente, trovatello, sono considerati oggi quasi offensivi. Sarebbe stato interessante domandare a coloro a cui indirizzavamo questi termini se li sentivano come offensivi o discriminatori. Io penso di no.
Così qualcuno ha poi anche deciso di elevarsi a paladino in difesa di quelle che ha stabilito fossero delle minoranze. Minoranze alle quali, nella maggioranza dei casi, non importava nulla di tutto questo e che minoranze probabilmente non si sentivano affatto.
Negri, neri, di colore. Quale?
Perché gli africani o gli afroamericani che un tempo chiamavamo normalmente negri senza alcuna accezione razzista, ora dobbiamo chiamarli neri o di colore. Anche se tra loro usano appellarsi col termine negro, specie nella comunità afroamericana.
Inoltre non sono neri. Tuttalpiù sono marroni. Non esistono esseri umani dalla pelle realmente nera. E gli asiatici non sono gialli, casomai sono pallidi e gli indiani non sono rossi, semmai sono un po’ olivastri. I caucasici non sono bianchi, sono rosa o beige.
E non vedo perché qualcuno dovrebbe offendersi se gli dicono negro ma accettare di essere chiamato nero, visto che di fatto appunto nero non è. Oppure di colore. Siamo tutti “di colore” in fondo e comunque questo modo di descrivere la pelle rappresenta anch’esso una forma di discriminazione.
I supereroi super speciali
Fino ad arrivare al paradosso di spingere la Marvel a concepire supereroi afroamericani omosessuali o transessuali, senza così rispettare gli originali personaggi dei fumetti. E l’organizzazione del premio Oscar dovrà valutare i destinatari dell’omonimo riconoscimento anche sulla base di un nuovo criterio che prevede l’obbligo, da parte delle produzioni cinematografiche, di inserire nel cast dei film attori di differenti etnie, pena la non candidatura della pellicola cinematografica.
Di questo vento politicamente corretto è stata vittima anche Netflix che produce una serie tv sulla guerra di Troia in cui Zeus e Achille sono interpretati da attori afroamericani. Forzature storiche e culturali che finiscono ancora di più a sottolineare differenze che differenze non sono.
Un po’ come la storia delle quote rosa da noi in Italia. O le pubblicità in tv in questi giorni sul Natale, in cui i protagonisti sono quasi esclusivamente neri, asiatici, omosessuali e musulmani.
Nasceranno associazioni a tutela dei calvi, dei barbuti, dei capelloni, dei nasoni e dei nasini
Per cui alla fine se non fai parte di queste categorie finisci per essere discriminato perché “ordinario”. Uno qualunque. Pazzesco.
Quelli che un tempo erano considerati normali da quelli che avevano deciso che gli altri fossero minoranze da tutelare sono diventati oggi paradossalmente delle minoranze escluse.
Viviamo in un mondo contorto che non fa che rendere le cose più complicate. Ci stiamo incartando da soli. E i diritti umani non c’entrano davvero nulla con questa mania del politicamente corretto. Hanno bandito etichette a dir loro razziste e discriminatorie, per poi sostituirle con altre etichette.
Perché in fondo sono tutti pronti a manifestare, giustamente, se un afroamericano viene brutalmente ucciso da un poliziotto. Ma tutte le vittime di medesimi atti ingiustificati che abbiano la pelle di colore diverso dal nero non invadono i giornali o le trasmissioni televisive.
E chi abbatte la statua di Cristoforo Colombo considerandolo responsabile, avendo scoperto le Americhe, di aver dato via inconsapevolmente alla tratta degli schiavi (una assurdità clamorosa) non si preoccupa forse di acquistare uno smartphone sapendo che il materiale col quale è costruito, il coltan, viene estratto dai nuovi schiavi, moltissimi dei quali bambini. Che lavorano in miniere africane, al soldo di multinazionali occidentali. Stiamo forse piombando in un nuovo puritanesimo tanto ipocrita quanto inutile.
Chissà se Edoardo Vianello nei suoi concerti avrà dovuto cambiare il testo della propria canzone e canterà: “Siamo i Watussi…gli altissimi uomini di colore”.
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