Realpolitik, se il Governo si accorge dello iato tra ideologia e realtà…
Il Premier Conte allontana le modifiche ai Decreti Sicurezza, mentre Lampedusa è una polveriera. E i renziani fanno ancora finta di stare all’opposizione in funzione anti-M5S
Con il termine realpolitik si intende una prassi politica che, essendo improntata al pragmatismo, antepone gli obiettivi concreti alle questioni di principio. In pratica, è la realtà che bussa alla porta dei Governi – e lo fa sempre, prima o poi – per sottolineare l’incolmabile iato con l’ideologia. Come non ha potuto evitare di accorgersi anche la maggioranza rosso-gialla. Soprattutto in relazione a due temi (ma ce ne sarebbero altri) solitamente trattati con i paraocchi: l’immigrazione e la scuola.
La realpolitik e l’immigrazione
Nessun esecutivo è immune dalla sindrome del libro dei sogni, ovvero l’illusione che il mondo sia come lo si immagina, anziché come è effettivamente. La sveglia, però, suona per tutti, incluso il Conte bis. Per cui l’allarme riguarda varie istanze, che per brevità ridurremo a due: l’immigrazione e la scuola.
Nel primo caso, paradigmatico è l’atteggiamento di Salvatore “Totò” Martello, sindaco (ex) Pd di Lampedusa. L’isola è ormai allo stremo, con i migranti che continuano ad arrivare senza sosta – in particolare dalla Tunisia – e l’hotspot ormai al collasso.
Il primo cittadino era quindi sbottato. «Lampedusa non riesce più a sostenere questa situazione. O il Governo prende decisioni immediate oppure sciopererà tutta l’isola. Non riescono a gestire l’emergenza e ormai la situazione è veramente insostenibile. Sarà direttamente l’amministrazione a dichiarare lo sciopero, chiudendo tutto. Non è possibile continuare a sopportare queste angherie da parte del Governo».
Un’intemerata condivisibile, soprattutto dopo le fughe di irregolari, anche positivi al coronavirus, che stanno alzando le tensioni sociali a livelli di guardia. Solo che ce la si aspetterebbe da un sostenitore del leader leghista Matteo Salvini, non da uno che ne ha sempre avversato le politiche migratorie. Uno, peraltro, che milita(va) in uno dei principali partiti che sostengono l’esecutivo del bi-Premier Giuseppe Conte.
L’esecutivo che per bocca del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese si è limitato a commentare che «le partenze dalla Tunisia sono nettamente calate». Che ha fatto ricorso contro l’ordinanza del Governatore siciliano Nello Musumeci che prevedeva la chiusura immediata di porti e hotspot causa rischio sanitario. E che ora, a venti giorni da un’importante tornata elettorale, parrebbe improvvisamente essere allarmato dalle ong. Tanto da ipotizzare il rinvio a ottobre delle modifiche ai Decreti Sicurezza dell’allora titolare del Viminale Salvini.
Questione di sopravvivenza. Ovvero, di realpolitik.
Il banco di prova: la scuola
Poi c’è la scuola, su cui ci asteniamo dall’infierire sul Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Anche se non è l’unica in difficoltà con questo banco di prova, stando almeno alle amenità del Ministro dem dei Trasporti Paola De Micheli. Secondo cui, per ovviare alle carenze del trasporto pubblico locale – incluso quello scolastico – bisognerebbe iniziare con lo storpiare la lingua italiana.
«Ampliamento del concetto di “congiunto” esteso anche a compagni di classe e colleghi di lavoro» è infatti la priorità della titolare del MIT. Il che non sorprende neppure, considerando che i demo-grillini avevano già ampliato il concetto di “congiuntivo”.
Sconcerta, piuttosto, che a due settimane dal (presunto) ritorno a scuola ci sia ancora questa disorganizzazione. «Nessuno dice che sulla scuola si dovevano fare miracoli. Ma solo che quello che sta accadendo ora (preparativi, bandi, ipotesi, prove) doveva avvenire 6 mesi fa, per tempo. Ma questo è un paese incapace di fare programmazione persino a 6 mesi».
La filippica è del deputato Luigi Marattin, che probabilmente ha anche ragione. Però si è scordato che il suo partito, Italia Viva, lungi dall’essere all’opposizione sostiene il BisConte. E che, a maggior ragione, il bersaglio dell’invettiva sarebbe dovuto essere il Governo, più che il Paese.
D’altronde, pare che i deficit di memoria siano piuttosto comuni tra i renziani, come ha dimostrato di recente il capogruppo alla Camera Maria Elena Boschi. «Chissà dove sono ora coloro che in questi anni ci hanno insultato, offeso, minacciato» ha attaccato dopo l’archiviazione dell’inchiesta su suo padre per il caso Banca Etruria. Basterebbe che si guardasse attorno: sono tutti suoi compagni di maggioranza.
D’altronde, il terrore di passare dagli scranni del Parlamento al Reddito di Cittadinanza fa sempre miracoli. È la realpolitik, bellezza.