Recovery Plan, Italia Viva minaccia (ancora) la resa dei Conte
Il partito di Renzi contro la task force di tecnici voluta dal Premier per gestire i fondi Ue. L’ex Rottamatore evoca la crisi di Governo, solo che di solito “abbaia ma non morde”
Passata la tempesta (sul Mes), non s’odono augelli governativi far festa, poiché all’orizzonte infuria già la burrasca sul Recovery Plan. Nell’occhio del ciclone – tanto per proseguire la metafora meteorologica – c’è proprio il bi-Premier Giuseppe Conte, da giorni oggetto degli strali di Italia Viva. Il micro-partito renziano ha nel mirino soprattutto la task force di esperti che dovrebbero supervisionare i progetti da finanziare con l’euro-programma Next Generation Eu. Il redde rationem, però, verosimilmente è ancora di là da venire.
Renzi e il Recovery Plan
«Abbiamo mandato via Salvini per non dargli i pieni poteri, ma non è che li diamo a Conte». Così l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, intervistato dal TG2, ha fulminato l’attuale inquilino di Palazzo Chigi.
È stato il culmine di una serie di bordate che avevano in oggetto il Recovery Plan, e in particolare la cabina di regia prospettata dall’ex Avvocato del popolo. Una struttura piramidale di cui lo stesso Giuseppi sarebbe il vertice, assieme ai Ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri, e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Un gradino sotto vi sarebbero sei manager – uno per ogni ambito di intervento -, quindi i trecento tecnici che costituiscono la vera task force. Che è il bersaglio privilegiato dell’altro Matteo.
«La struttura di Conte pensa a moltiplicare le poltrone» ha rimarcato il senatore fiorentino. Aggiungendo che «insistere su una misura che sostituisce il Governo con una task force, la seduta del Parlamento con una diretta su Facebook e che addirittura pretende di sostituire i servizi segreti con una fondazione privata voluta dal Premier significa una follia».
Non solo. «Conte sulla cabina di regia sta facendo un errore che può evitare fermandosi. Non credo che il Premier vada avanti, credo che cambierà idea. A meno che non abbia accordi con altri, cioè se ha una maggioranza che non conosciamo, altrimenti si ferma. Secondo me Conte non si impunta, se lo fa il Parlamento è sovrano».
Quindi la chiosa, che sa di avvertimento. «Se le cose rimangono come sono voteremo contro. Per noi un ideale vale più di una poltrona. Circa il rischio di una rottura, spero proprio di no, ma temo di sì».
La brevimiranza sul Recovery Plan
Insomma, l’esecutivo rosso-giallo non è neppure riuscito a godersi il sospirato via libera parlamentare alla riforma del Mes. Su cui alla fine, come ampiamente previsto, il M5S ha scelto di salvare la poltrona anziché la faccia.
Peraltro, non era neppure l’unica buona notizia della giornata. A sorpresa, infatti, il vicepremier polacco Jarosław Gowin ha anticipato un’intesa affatto scontata tra Varsavia, Budapest e la presidenza di turno tedesca del Consiglio europeo. Un compromesso che dovrebbe sbloccare il Bilancio pluriennale Ue (e, con esso, il Recovery Fund), su cui c’era il veto di Polonia e Ungheria.
«Siamo a un centimetro dalla soluzione» l’annuncio via Twitter. «Sia per la Polonia sovrana che per l’Europa comune. Garantendo i diritti indipendenti della Polonia e utilizzando centinaia di miliardi di fondi dell’UE».
Miliardi che, per l’Italia, sarebbero circa 209, di cui 81,4 a fondo perduto e 127,4 come prestiti. E i cui capitoli di spesa, pur delineati dal Recovery Plan, sono vincolati da una serie di imposizioni comunitarie. È per questo motivo, per esempio, che nella bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono previsti 74,3 miliardi per i deliri ambientalisti. La fetta più grande della torta. Mentre 17,1 miliardi saranno erogati per la fantomatica “parità di genere”. E l’aspetto più assurdo è che, invece, alla sanità andranno appena 9 miliardi. In piena pandemia da Covid-19, siamo perfino oltre la brevimiranza.
Palazzo Chigi rischia davvero?
Eppure, Iv non contesta tanto il merito, quanto il metodo. Lo ha chiarito, con ironia, il presidente del partito Ettore Rosato. «Se servono i tecnici al posto dei Ministri, allora facciamoli governare…»
Ancora più esplicita la titolare della Famiglia Elena Bonetti. «Da Ministro ho giurato sulla Costituzione italiana, che prevede un processo democratico che deve essere tutelato e mantenuto» l’affondo. «Nel momento in cui non fossi più nelle condizioni di rispettare questo giuramento, anche per coscienza personale, rassegnerei le dimissioni assieme a Teresa Bellanova».
Lo stesso Ministro dell’Agricoltura ha rincarato la dose via social. «Ad una prima sommaria lettura la bozza sulla governance del Recovery inviata ai Ministri stanotte appare opaca e presenta profili di incostituzionalità. Non abbiamo alcun bisogno di strutture parallele, che esautorano Ministri, Ministeri e Parlamento, accentrando e spostando altrove il cuore del processo, decisivo per l’Italia dei prossimi 10 anni».
La renzianissima era in predicato di entrare nella task force, dove al momento non sono presenti esponenti di Italia Viva. Ma per il fu Rottamatore c’è molto di più in gioco, e «sarebbe offensivo pensare» che «ci accontentino dando qualche prebenda».
Insomma, dalla crisi sanitaria alla crisi di nervi è un attimo, e non si può escludere neppure la crisi del Governo rosso-giallo. Il quale però, paradossalmente, potrebbe non essere così traballante. Un po’ perché difficilmente la resa dei conti – o meglio, la resa dei Conte – avverrà prima dell’approvazione della Legge di Bilancio. Molto perché, un po’ come il proverbiale migliore amico dell’uomo, Pittibimbo tende ad abbaiare – parecchio -, ma al dunque non morde mai. Prosit.