Reddito di cittadinanza: insufficiente ma doveroso. E andrebbe rafforzato
L’INPS comunica i dati aggiornati all’8 ottobre: quasi un milione i beneficiari, pari al 65% dei richiedenti, e con importi medi poco al di sotto dei 500 euro mensili
Gli iper liberisti inorridiscono per motivi, diciamo così, concettuali: concettuali per un verso, viscerali per l’altro. I liberali agiati e supponenti, alla Vittorio Feltri, procedono al contrario: prima storcono il naso d’istinto, perché per loro i poveri sono per lo più dei lazzaroni e, in quanto tali, gli stanno pesantemente sulle balle; poi magari ci ricamano su una spiegazione teorica. O presunta tale.
Agli uni e agli altri, comunque, il reddito di cittadinanza è rimasto sul gozzo. Perché lo ritengono una regalia indiscriminata, che distribuisce soldi anche a chi non se li merita. Soggetti (poco raccomandabili) che evidentemente non si sono impegnati a sufficienza per studiare o per imparare un mestiere e che, in ogni caso, non fanno abbastanza per trovarsi un lavoro e poi per tenerselo. Il che è davvero strano e deprecabile, quando tutto intorno ci sono così tante opportunità in settori fiorenti come la consegna di cibo a domicilio e l’impacchettamento frenetico in stile Amazon…
Prese le distanze da questi censori da salotto, il reddito di cittadinanza nella versione M5S si può invece criticare per ragioni opposte.
Primo: perché in realtà utilizza indebitamente una denominazione errata. L’autentico “reddito di cittadinanza”, come spiegammo nel gennaio scorso sul Quotidiano del Lazio, è una misura completamente diversa. Che non è destinata ai meno abbienti, ma compete a tutti i cittadini: proprio in quanto cittadini.
Semplificando molto, si può dire che è una sorta di dividendo sul PIL. Al di là delle attività individuali, che determinano il maggiore o minore reddito personale, si è compartecipi dell’economia nel suo complesso. E quindi anche, in minima parte, dell’intera ricchezza che ne deriva.
Al di là dei suoi meriti, e della sua obiettiva necessità, quello partorito dai Cinquestelle è invece una riedizione dei classici sussidi per le fasce disagiate. Meglio questo che niente, ma la logica sulla quale ci si incardina è di tutt’altra natura.
Il secondo motivo di critica non è un vero e proprio addebito, considerato lo stato delle finanze pubbliche, ma un auspicio. E però un auspicio pressante, a mille miglia da quelli benevoli a chiacchiere, ma inconcludenti all’atto pratico, che riempiono i sermoncini di innumerevoli politici.
Gli attuali importi mensili sono infatti troppo bassi e non bastano a sollevare i percipienti dalla loro condizione di povertà, per non dire di indigenza.
Su questo bisogna essere estremamente chiari: l’obiettivo di uno Stato-Comunità non è dare un minimo di aiuto ai cosiddetti “meno fortunati”, ma affrontare la povertà alla stregua di un vizio intollerabile dell’intero sistema economico e sociale.
Guarda caso, un approccio agli antipodi sia degli iper liberisti da accademia, sia dei liberali danarosi con la puzza sotto il naso.