Referendum sulla Giustizia del 12 giugno tra confusione e tecnicismi: facciamo chiarezza
Il Referendum del 12 giugno si presenta ostile e con il solito ordine inverso che complica le cose, vediamolo quesito per quesito
Promossi dalla Lega e dal Partito radicale, i referendum sulla Giustizia del 12 giugno, accompagnati dall’atavico rischio di nullità per assenza del quorum, costituiranno una timida occasione per cercare di migliorare il disastrato ordinamento giudiziario.
Referendum 12 giugno, tra tecnicismi e ordine inverso
I 5 quesiti previsti, non sono privi di tecnicismi e del solito caratteristico “ordine inverso” che da sempre confonde una enorme quantità di italiani.
Inoltre sicuramente non risolveranno il pessimo funzionamento del nuovo Primo Potere del nostro Paese, né affronteranno le problematiche più gravi come la politicizzazione dei magistrati, l’inadeguatezza delle strutture e degli organici, l’incompetenza degli addetti ai lavori. Meno che mai si affronterà il tema della responsabilità civile dei magistrati, del pericoloso omnipotere dei pubblici ministeri o dell’utilizzo improprio dei mezzi istruttori.
Eppure, in ottica propositiva, ritenendo importante andare a votare, vediamo di fare un po’ di chiarezza sulle ragioni e le posizioni di favorevoli e contrari.
Referendum 12 giugno. Quesito 1. Sull’abrogazione della legge Severino
E’ il primo dei cinque quesiti referendari, quello che interessa più direttamente i partiti in quanto riguarda l’incandidabilità e la decadenza dalle cariche pubbliche dei politici nel caso in cui questi abbiano commesso alcune tipi di reato.
In base alla legge Severino del 2012, non possono essere candidati o decadono dalla carica di deputato, di senatore o di parlamentare europeo, i condannati in via definitiva per reati gravi, come mafia o terrorismo, per reati contro la pubblica amministrazione (peculato, corruzione o concussione). Ma anche per delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore a quattro anni. Solo per gli amministratori locali, è prevista la sospensione temporanea dall’incarico anche in caso di condanna NON definitiva.
Un aspetto che non dovrebbe presentarsi in un quesito referendario
Proprio quest’ultimo aspetto è quello che appare più lesivo del diritto alla presunzione d’innocenza sancito dalla Costituzione e forse non avrebbe avuto nessun bisogno di rappresentare parte di un quesito referendario.
Quanto alle altre circostanze sopra menzionate, l’impeto giustizialista del recente passato e la politicizzazione conclamata della Magistratura, mettono in discussione la “bontà” delle sentenze di primo grado, troppo spesso sovvertite in Appello a vantaggio dell’imputato condannato in primo grado.
In realtà, il quesito, nella sua interezza, ha motivo di esistere soprattutto per la generale inaffidabilità ed incoerenza della macchina giudiziaria. Caratteri che rischiano di mettere in discussione anche quanto di buono viene prodotto nel tentativo di “ripulire” gli aspetti delinquenziali radicati nel nostro sistema politico.
Quesito 2. Sulla limitazione delle misure cautelari
L’intento dei promotori referendari è quello di modificare le basi su cui un magistrato può disporre le “misure cautelari” su richiesta del pubblico ministero.
Sono destinate a persone non condannate in via definitiva sulle quali però esistono gravi indizi di colpa e con rischio di fuga, inquinamento delle prove, compimento di nuovi reati o reiterazione dello stesso per cui si è coinvolti. E’ diventata famosa per il suo utilizzo molto spesso indiscriminato all’epoca di mani pulite.
La normativa a cui si fa riferimento (art. 274 cpc), nell’intento dei promotori, andrebbe modificata allo scopo di circoscrivere a circostanze gravi e ben definite, l’utilizzo di questo strumento giudiziario. Esso infatti nel corso degli anni ha visto un incremento spropositato rispetto al principio di eccezionalità per cui dovrebbe essere adottato.
Vanno ricordati a tal proposito i 24 milioni di euro a carico della amministrazione giudiziaria nel solo anno 2021 quale totale delle “riparazioni” dovute per ingiusta detenzione.
Quesito 3. Sulla separazione delle funzioni tra magistrati
Il presupposto del quesito referendario è che oggi in Italia tutti i magistrati, senza differenziazione sulla formazione, nel corso della carriera possono decidere di cambiare funzione, passando dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero, fino a quattro volte.
Tale stato delle cose, unito alla promiscuità giornaliera di tutti gli organismi giudiziari, ai legami “elettorali” tra giudici togati e pm da sempre produce forti dubbi quanto all’imparzialità dei giudici ed alla giusta declinazione del singolo ruolo. Il comitato del SI si propone proprio di garantire tale imparzialità attraverso l’obbligo di scelta di carriera da parte del singolo magistrato.
In realtà, finché non si eliminano gli interessi politici ed elettorali, nessuna imparzialità potrà essere garantita con la semplice separazione della carriera a seguito di una unica scelta.
Quesito 4. Sulla valutazione dei magistrati
Il sistema di valutazione attuale, prevede una scadenza quadriennale con tre possibili giudizi regolato da parametri pre ordinati: “positivo”, tutti i parametri sono sufficienti; “non positivo”, negatività di almeno un parametro; e “negativo”, quando ci sono gravi inadempienze per almeno due parametri.
Il problema è che per la valutazione, effettuata dai consigli giudiziari del Csm, possono dare il contributo attivo solo i giudici togati, escludendo la componente “laica” degli avvocati e dei professori universitari.
Siamo al solito problema di commistione corporativa e di chiusura alla partecipazione fattiva di elementi che se pur competenti non sono funzionali ad operazioni elettorali all’interno dell’organismo.
Votare SI potrà sicuramente attenuare il peso ingombrante delle correnti prodotte dalle varie associazioni di magistrati, prolunga del peso di una parte della politica nazionale che dietro una strumentale difesa dell’autonomia della magistratura manifestano un mal celato obiettivo di utilizzare un Potere dello stato a fini politicamente egemonici.
Va comunque detto che anche su questo tema, come già per la separazione delle carriere tra giudici e pm, interverrà la riforma del Csm ora all’esame del Senato…
Quesito 5. Sulle firme per candidarsi al Csm
L’ultimo quesito del referendum onestamente appare molto distante dagli interessi popolari ed ampiamente risolvibile attraverso un minimo di buon senso degli addetti ai lavori. Si tratta di quello relativo alle modalità con cui un magistrato possa candidarsi al Csm.
A oggi, essendo necessaria una raccolta di firme (almeno 25) raccolte tra i magistrati stessi, i meccanismi politico-clientelari, seppur elitari sono evidenti e forse inappropriati.
La facilitazione della procedura, votando SÌ all’abrogazione della legge attuale, si propone di evitare i giochi di potere da parte delle correnti all’interno del Csm. Anche se ci vorrebbe ben altro per arginare ed attenuare l’invadenza politicizzata delle varie associazioni di magistrati.
Referendum del 12 giugno; ma quando potremo votare per qualcosa di davvero determinante?
Questi i 5 quesiti proposti nel Referendum del 12 giugno. Qualunque sarà il risultato non risolveranno i “grossi guai” all’interno dell’Ordinamento Giudiziario i cui effetti deleteri vengono sempre subiti all’esterno di un mondo sempre più distante dalla società civile e sempre meno al servizio del cittadino. Quando potremo esprimere il nostro voto per qualcosa di veramente determinante al nostro vivere? Quando potremo tornare a parlare di una democrazia compiuta? O forse siamo ormai colpevolmente disabituati ad incidere sulle decisioni di chi si spaccia come nostro rappresentante? SÌ o NO è una risposta che andrebbe data per qualcosa di netto, preciso, determinante, decisivo ed innovativo. Comunque, almeno per dire a noi stessi che esistiamo, andiamo a votare!