Resilienza, la parola magica per uscire dal Covid-19. E non è sbagliata
Trasformare la crisi in opportunità, puntando sulla resilienza. Una parola passepartout, magari abusata e talvolta a sproposito, ma è una massima credibile
Resilienza. C’è una pillola di saggezza che avrete sentito evocare in ogni dove, in questi giorni: “Trasformare la crisi in opportunità”. Non si è sottratto nemmeno Giuseppe Conte, che ha recentemente recitato la formula magica davanti all’assemblea dell’ONU. Anzi, in quell’occasione, non ha resistito a pronunciare, con riferimento alla società mondiale, anche un altro abracadabra, resilienza, ormai un passepartout in testa alle classifiche. Ancorché abusata, talvolta a sproposito, quella massima è vera.
Sapete che a spostare un pesante blocco ben piantato sul terreno a volte non ce la si fa. In fisica si chiama “attrito statico”. E la fisica (e l’esperienza) ci dice anche che invece lo stesso blocco, una volta messo in movimento, è come se si alleggerisse, scivola meglio; si avvia. Il punto è che quella spinta iniziale bisogna dargliela; e siamo daccapo.
Resilienza: la nostra società è il macigno
La nostra società è il macigno. Gravata da secoli, o dovremmo dire millenni, di comportamenti – dal basso e dall’alto – stratificati fino a consolidarsi, diventare automatici. E se il rodaggio del tempo ha messo a punto una serie di meccanismi virtuosi che possiamo definire conquiste, sull’altro piatto della bilancia l’usura delle formule, la furbizia, la pigrizia mentale, l’utile di alcune parti, le mutate condizioni storiche e ambientali hanno prodotto guasti cronici, che non possiamo o sottilmente non vogliamo aggiustare. Ma che un evento a sorpresa può svelare, drammaticamente.
L’esplosione del Covid-19 è quell’evento, mette in mutande anche le apparenti certezze; se non ci ha accoppati fisicamente, lo può, in tempi appena più lunghi, farlo economicamente, a livello individuale o globale. Ma è anche quella spinta che può rimettere il blocco in moto. Vediamo perché.
Non sono solo salute ed economia le fragilità che il Covid-19 ha messo allo scoperto
Ci sono i diffusi comportamenti antigienici: la commistione di specie di animali vivi sottratti ai loro ambienti naturali nei mercati d’oriente sembra alla base dell’innaturale innesco della pandemia); il capillare e velocissimo sistema dei trasporti intercontinentali ha fatto il resto.
C’è la fallace sicurezza della superiorità dell’uomo sugli altri elementi del pianeta, e quindi della sua capacità – e del suo diritto! – di imbrigliarli.
Lo spettacolo della natura, libera dall’assedio per poche settimane, ha già mostrato forme, colori, trasparenze, comportamenti, recuperi inaspettati e commoventi. Liquami oleosi tornati specchi cristallini, mai visti a nostra memoria. L’ambiente ha sofferto troppo, ci lancia segnali visivi, per la prima volta attraverso l’esame-finestra.
Resilienza per seguire le nuove abitudini
C’è la nostra mancanza di flessibilità, rivelata dalla difficoltà a rivedere – o quantomeno sospendere a termine – le nostre abitudini quotidiane, o dalla (para)noia della sosta domestica, vissuta come arresti domiciliari (che più d’uno ha rinfacciato al governo o a non precisate centrali internazionali, attribuendo loro secondi scopi in mirabolanti operette di fantasociologia).
E potremmo continuare. Prima dicevamo di renderci conto che agivamo in base a una graduatoria dei valori sballata e alla lunga insostenibile; che ci accollavamo forche caudine (ad esempio gabbie di traffico) con la pretesa di agevolare i nostri compiti, o per attingere a dubbi piaceri. Che certi balletti della politica erano stanchi e ripetitivi, disposti a sfidare il buon senso comune e spesso dignità e pazienza di tutti noi. Ma chi fa il primo passo? Come smuovere il blocco?
Il Covid-19 ha mostrato il re nudo
Lo ha smosso il coronavirus. A livello generale, obbligando chi ha il potere a far vedere cosa sa fare, o in certi casi solo obbligandolo “a fare”; a trovare strade alternative a quelle non più percorribili, a mettere a disposizione miliardi di euro, seppure stornandoli da altri obiettivi diventati secondari. A livello sociale, rendendo impraticabili chi sa per quanto tante vecchie consuetudini e rituali collettivi; nella cultura, nello spettacolo e nel turismo, sbarrando i modi di proporre ed erogare cibo per la mente e divertimento; a livello personale forzandoci a nuovi stili di vita per un tempo sufficiente a sperimentarne il buono, in certi casi a svelare che il re era nudo.
A tutti questi livelli, cambiare qualcosa oggi, quando i vecchi pilastri o le vecchie stampelle sono inutilizzabili, è paradossalmente più fattibile: il blocco è stato messo in moto da altre forze, il pesante attrito statico si evolve in quello, più leggero, dinamico; ci vuole meno forza, anche psicologicamente, e d’altro canto in alcuni casi il moto è inevitabile, è già avviato per ragion di cose.
L’occasione per un cambio di marcia è storica
L’occasione è storica: in questo (e solo in questo; ma è poco?) il virus può averci aiutato, ci dà – collettivamente e individualmente – una chance. Sta a noi società coglierla, e – con tutte le difficoltà legate al nuovo – trasformarla, dare finalmente corpo a tante chiacchiere e proponimenti che facevamo senza crederci; come ai postumi di un sogno, come ha scritto Gian Maria Tosatti. Darci, anche moralmente, a tutti i livelli lo sfizio e la carica della scommessa. Oppure lasciarla cadere, rattoppando e ravvivando i vecchi vestiti – che per svariate ragioni ci vanno ora un po’ stretti ma ci rassicurano perché sono quelli che ci sono familiari – e imbellettando la vecchia maschera, dicendo che ci piaciamo così.
Covid-19: lo tsunami in cosa ci ha cambiati?
Non è facile capire che strada imboccheremo, se avremo coraggio forza e freschezza di testa per puntare sull’opportunità (ammesso che alternative esistano). Ma i grandi movimenti non è detto che debbano per forza partire dall’alto, che non possiamo controllare. L’energia dal basso, vulcanica, la somma delle energie e volontà di tanti di noi, può essere più forte, e alla fine indurre anche l’alto a prendere certe strade.
Nulla sarà come prima? E se sì, è un bene o un male? Cosa va salvato del vecchio carrozzone? Come sarà il restyling? Lo tsunami ci ha cambiati? E cosa siamo disposti a cambiare, personalmente?
Ogni risposta è legittima, avrebbe il suo perché.
Foto di Elisa Gestri
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