Ricovero in isolamento, ma con lo smartphone ho rotto la solitudine: ecco come
Io, Antonio Guidi, vi racconto come uno smartphone mi ha aiutato a resistere durante l’isolamento in ospedale
Isolamento e smartphone, vi racconto la mia esperienza.
Mai come con la pandemia da Sars-coV-2 siamo tornati al Medioevo, ma non quello che è stato l’utero dell’Umanesimo e del Rinascimento; il Medioevo delle paure, della caccia a gli untori, della ricerca del nemico e della strega fin dentro casa. Insomma la faccia cupa di un’epoca di involuzione. Se questo è vero dobbiamo combattere il Covid-19 non solo con gli strumenti sanitari ma anche con quelli della tecnologia.
La solitudine provata durante l’isolamento, quando durante il giorno si può essere visitati solo da un paio di infermieri o medici bardati di bianco dei quali quasi non si vede il volto, è enorme. L’unico pensiero in questa condizione di immobilità è quello della morte. Questo spettro può però essere scacciato o almeno allontanato attraverso i dispositivi che ormai tutti possediamo.
In isolamento con lo smartphone, un sollievo che aiuta a guarire
Io mi sono ritrovato in mano uno smartphone e ho attivato l’azione più terapeutica: la rottura dell’isolamento. Lo lasciavo acceso, attaccato in carica per 10/11 ore, per parlare quando serviva e per sentire rumori, pause, suoni della casa. Voci, pentole, acqua che scorre, campanello che suona.
Non si trattava di fare chiamate compulsive o telefonate ossessive. Piuttosto di mantenere un legame anche senza necessariamente parlare. Il telefono apre un varco tra l’asettico mortifero dell’ospedale e la casa piena di vita. Spesso grandi problemi possono essere allietati da piccole e modeste strategie. Ho portato la mia casa nell’orrenda stanza dell’ospedale. Volevo raccontarlo perché credo sia una testimonianza utile per tutti coloro che sono ricoverati e non solo a causa di questo tremendo virus.