Riforma Cartabia, ecco perché il M5S strepita ma alla fine non morderà
Tensione nel Governo sull’improcedibilità per i processi di mafia e terrorismo (già smentita dal Guardasigilli): ma a pochi giorni dal semestre bianco la crisi è una pistola scarica
Domani, 30 luglio, approderà a Montecitorio la riforma Cartabia della giustizia, su cui l’esecutivo guidato da Mario Draghi ha già posto la questione di fiducia. La norma arriva in Aula accompagnata dalle (solite) scosse telluriche che attraversano la maggioranza e che hanno per epicentro, come spesso accade, il M5S. I cui esponenti, nei giorni scorsi, si sono spinti a evocare la crisi di Governo, anche se poi al dunque non “mordono” mai.
Tensioni sulla riforma Cartabia
«La proposta come originariamente formulata pone problemi serissimi al MoVimento», e «non voglio neppure considerare l’ipotesi in cui non venga modificato il testo». Così si era espresso sulla riforma Cartabia l’ex bi-Premier Giuseppe Conte, attuale leader in pectore pentastellato. Aggiungendo, per buona misura, che «una prospettiva di fiducia alla riforma senza alcune modifiche sarebbe per noi difficile».
Il nodo del contendere è sempre quello relativo alla prescrizione, o meglio all’improcedibilità. Istituto che estingue l’azione penale dopo due anni di appello e un anno in Cassazione, allungabili rispettivamente a tre anni e 18 mesi per “reati gravi”.
Lo scopo, naturalmente, è velocizzare i processi, ma i manettari temono che sotto la tagliola possano finire anche le cause per mafia e terrorismo. E pazienza se la stessa Marta Cartabia, Ministro della Giustizia, aveva precisato che «i procedimenti puniti con l’ergastolo non sono soggetti ai termini dell’improcedibilità».
Il tempo stringe, considerato che dall’approvazione entro fine luglio dipendono i finanziamenti del Recovery Fund. E le tensioni alle (cinque) stelle non aiutano certo il lavoro dei pontieri, soprattutto perché sono intergovernative.
La Lega, per esempio, ha fatto sapere di essere preoccupata «per le perdite di tempo causate dai capricci di Conte e Grillo». E Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, ha dichiarato tranchant che «se Conte insiste per piantare la bandierina, lo faranno anche i garantisti».
“Avvertimenti” uguali e contrari a quelli dei grillini, che con Fabiana Dadone, Ministro per le Politiche giovanili, avevano paventato il ritiro della propria delegazione dall’esecutivo. Anche se sapevano perfettamente che si trattava di una “pistola scarica”.
Il M5S strepita ma non morde
Il motivo sta tutto in due parole: semestre bianco. Il periodo in cui il Presidente della Repubblica non può sciogliere il Parlamento, e che scatterà tra pochi giorni, il 3 agosto.
Va da sé che è il momento meno indicato per “minacciare” la caduta del Governo – soprattutto di uno che avrebbe i numeri per proseguire comunque. Significherebbe infatti autocondannarsi all’irrilevanza politica in un momento cruciale della legislatura, con l’arrivo dei fondi europei e l’imminente elezione del successore di Sergio Mattarella. Un prezzo piuttosto salato da pagare alle ossessioni giustizialiste dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede e al suo “fine processo mai”.
Ecco perché, alla fine, la mossa di Giuseppi può tranquillamente essere derubricata a semplice tentativo di exit strategy. Un modo per uscire dal pantano della riforma Cartabia salvando il più possibile la faccia. Ma col rischio che si finisca ugualmente per concludere, parafrasando il Maestro Franco Battiato, che “sul Conte sventola bandiera bianca”.