Riforme, la nuova Ue riparte con le vecchie, indebite ingerenze
La Commissione Europea perde il pelo, ma non il vizio nel capitolo sull’Italia del rapporto sullo stato di diritto: in cui muove rilievi ridicoli su premierato, Rai e in tema di giustizia
Le riforme chigiane devono avere sull’Europa lo stesso effetto che aveva il cibo sul celebre cane di Ivan Pavlov. Nel senso che, appena un Governo nostrano (soprattutto se di un colore politico ben preciso) si accinge al minimo restyling, ecco che arriva il controcanto comunitario. Puntuale quanto – ora e sempre – del tutto indebito.
Ennesima ingerenza europea sulle riforme italiane
È stato appena pubblicato il rapporto sullo stato di diritto della Commissione Europea. Che, nel capitolo dedicato all’Italia, muove tutta una serie di appunti su alcune delle principali riforme approvate o instradate dall’esecutivo di Giorgia Meloni.
Cominciando, come riferisce l’ANSA, dall’introduzione del premierato. Criticato perché così «non sarebbe più possibile per il Presidente della Repubblica trovare una maggioranza alternativa e/o nominare una persona esterna al Parlamento come Primo Ministro». Ovvero, non sarebbe più possibile quella che Maurizio Gasparri ha definito «logica dei ribaltoni», tradendo la volontà degli elettori come, evidentemente, è ormai diventata abitudine dei Ventisette.
Peraltro, aggiunge Il Sole 24 Ore, Palazzo Berlaymont ha puntato l’indice anche contro «l’uso eccessivo dei decreti legge» che «potrebbe influire sull’equilibrio dei poteri» col Parlamento. Che, detto dall’unica istituzione (pseudo)democratica che detiene sia il potere esecutivo che quello legislativo, suona francamente ridicolo.
Poi, come riporta Libero, ci sono gli allarmi sulla «efficacia del sistema di governance nel garantire la piena indipendenza della Rai». Che appaiono altrettanto ipocriti, considerando che storicamente il servizio pubblico è stato egemonizzato dall’attuale opposizione, senza che l’euro-Governo avesse nulla da eccepire.
Un capitolo a parte lo meritano i rilievi in tema di giustizia, ben riassunti dal Fatto Quotidiano. E sui quali – mettiamo subito le mani avanti – ci sentiamo di rassicurare gli alti papaveri del Vecchio Continente.
I rilievi in tema di giustizia
I primi due riguardano la legge approntata dal Guardasigilli Carlo Nordio che ha innovato il Codice penale, il Codice di procedura penale e l’ordinamento giudiziario. A partire dall’abolizione dell’abuso d’ufficio, che «potrebbe avere implicazioni per l’investigazione di frodi e corruzione». In realtà, questo reato serviva solo a generare quella “paura della firma” che paralizzava l’attività della P.A., considerando che quasi mai sfociava in condanna.
Segue il divieto di pubblicare intercettazioni di terzi estranei alle indagini, visto come «una restrizione della libertà di stampa» e del «diritto dei cittadini a essere informati». Che però non può mai prevalere sull’altro diritto a non essere sbattuti in prima pagina per una sorta di testimonianza de relato (tutta da verificare, per definizione).
Desta preoccupazione anche l’iniziativa di Enrico Costa, deputato di Azione, per impedire la pubblicazione delle ordinanze cautelari, che rischia di esporre i giornalisti a «cause per diffamazione». Sinceramente non si capisce in che modo le due questioni sarebbero correlate, se i cronisti si limitano a riportare contenuti veritieri.
Infine, fari accesi anche sul ddl costituzionale, sempre a firma del titolare di via Arenula, volto a introdurre la separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti. Il report teme possa «incidere sull’indipendenza dei pubblici ministeri», che è vero ma in senso positivo: garantendo l’imparzialità del giudice e quindi, finalmente, i diritti della difesa.
A conti fatti, dunque, la “nuova” Ue è ripartita – malissimo – con le “vecchie”, immotivate ingerenze. Una volta di più, insomma, Bruxelles perde il pelo, ma non il vizio.