Ristorante Sushisen, nascosta tra le “stelle” della capitale, piccola perla, ponte tra Oriente e Occidente
Da Sushisen si celebra una cucina sorprendente, di altissimo livello, che offre un’esperienza unica, con ingredienti altrove introvabili
Mentre la Capitale è in fermento per l’ormai avviato rilancio dell’haute cuisine grazie agli strabilianti investimenti di gruppi internazionali (e non solo) nel centro storico della città eterna, esiste però un luogo più defilato, lontano dai lustrini dei grandi marchi, dove da anni si respira e si assapora una cucina sorprendente, di altissimo livello che rappresenta il vero ponte tra oriente ed occidente.
I progetti gastronomici top nel centro storico della Capitale
Potremmo elencarne molti di progetti gastronomici top che stanno caratterizzando la nostra vituperata città. Tra quelli già in essere,ad esempio, “Orma” di Roy Caceres, in Via Boncopagni (partito nel Maggio 2023), seguito subito dopo dalla trionfale apertura de “Il Ristorante – Niko Romito” all’interno del Bulgari Hotel (Giugno 2023), peraltro insignito del premio Best Hotel in the World 2024 dall’associazione di viaggi di lusso Virtuoso Traveler.
Fino ad arrivare a quelli in rampa di lancio, tra cui spiccano due nomi in assoluto: “Il Ristorante Alain Ducasse” all’interno del “Romeo Roma Hotel” in Via di Ripetta che, oltre alla consulenza dell’eminente chef, sarà impreziosito anche dalla presenza dell’impareggiabile Umberto Giraudo nel ruolo di brand ambassador (lo ricordiamo incoronato, tra l’altro, come miglior maitrè del mondo nel 2012 con il “Gran Prix dell’Art de la Salle” attribuitogli dall’Acadèmie Internationale de la Gastronomie).
Aperto da inizio anno, dopo aver superato le molteplici lungaggini burocratiche presumibilmente dovute anche ai vincoli del palazzo storico in cui è incastonato, sembra essere ormai imminente l’inaugurazione ufficiale (forse proprio nella data più “dolce” dell’anno). Da segnalare poi anche il “Ristorante by Carlo Cracco” presso l’Hotel Corinthia di Roma in piazza del Parlamento, all’interno del Palazzo Ottocentesco, ex sede della Banca Centrale Italiana, anch’esso di prossima apertura (probabilmente estate 2025).
Si tratta indubbiamente di progetti di altissimo profilo attraverso i quali hotel di lusso investono in una partnership con chef di livello mondiale per impreziosire il proprio brand; hotel e ristoranti, però, decisamente non per tutti (o sarebbe meglio dire solo per pochissimi).
E proprio in questo momento di slancio, senza nulla togliere al livello ineguagliabile di simili iniziative (che, peraltro, hanno il merito di risvegliare il prestigio della capitale), si sente il bisogno di ricordare che la Roma culinaria non è solo questo.
Sushisen, il miglior ristorante giapponese della Capitale
Tra i tantissimi ristoranti di fascia medio-alta che meriterebbero una menzione, infatti, ce n’è uno in particolare, che si caratterizza per la sua unicità.
In un contesto “normale”, a pochissimi passi dalla Piramide Cestia, con un entrata low profile, in Via Giulietti 20, dobbiamo scendere qualche gradino per ritrovarci in quello che oggi (ma in realtà da diversi anni) può essere considerato il miglior “ristorante giapponese” della capitale.
Qualcosa di molto lontano dal proliferare, negli ultimi anni, di numerosissimi ristoranti asiatici, spesso “cinese e giapponese insieme”, con una combo che attrae gli avventori ma fa rabbrividire chi ha un minimo di rispetto per il valore delle identità.
Stiamo parlando del ristorante “Sushisen”, un vero ristorante giapponese (con la “G” maiuscola), unico a Roma ma probabilmente anche in Italia, per il livello delle materie prime impiegate, l’attenzione ai dettagli e l’unicità delle spezie e degli aromi, frutto di una ricerca maniacale nei luoghi di origine. Ma anche per la dedizione ultraventennale della famiglia Este (italo giapponese) e soprattutto per la maestria di uno dei sushi chef top in Italia, il pluripremiato Eiji Yamamoto, una sorta di “uomo scrigno” dove risultano sapientemente mixate tecnica sopraffina e creatività esplosiva.
Il patron Giuliano Kunihiro Este un “Caronte della gastronomia primaria”
Nel lontano 2003 la famiglia Este – Okochi (papà ingegnere italiano e mamma giovane giapponese in Italia per studiare arte) apre questo ristorante che è stato il primo a Roma a proporre gli ormai famigerati “rolls”; il successo è stato immediato, anche grazie alla partecipazione dello chef Miyagawa (ex Nobu), sia per la novità proposta che per la qualità dei prodotti, un marchio distintivo ab origine. Da allora Sushisen, passato sotto la guida di Giuliano Kunihiro Este, giovane figlio della coppia, si è notevolmente evoluto, mantenendo però la sua identità originaria.
Giuliano, infatti, che fin da ragazzo ha fatto esperienza in sala, ha poi ereditato le redini del locale riuscendo ad imprimere, specie negli ultimi 10 anni, una svolta sorprendente, grazie alla profonda conoscenza dei due mondi, fusa nella sua identità italo giapponese; una sorta di “Caronte della gastronomia primaria”.
Giuliano Kunihiro Este, Chef Eiji Yamamoto, Avv. Marco Tocci
Sushisen, non solo per gli amanti della cucina giapponese di alto livello
Non v’è dubbio che oggi Sushisen costituisca un consolidato punto di riferimento per tutti gli amanti della cucina giapponese di alto livello ma anche per chi apprezza le contaminazioni con l’haute cuisine italiana di cui sono testimonianza, ad esempio, le pregresse collaborazioni di Eiji Yamamoto con chef di prim’ordine come Francesco Apreda e Giuseppe Di Iorio (entrambi stellati).
Ma in realtà c’è molto di più…
Da un certo punto di vista, basterebbe notare la coda che, ancora oggi, sistematicamente, si crea fuori dal locale, con tutti gli sprovveduti avventori che non hanno prenotato e che accettano di attendere anche un’ora per potersi sedere semplicemente ad un posto del kaiten-zushi; il famoso “nastro” dove i bocconcini prelibati, creati a vista dai sushi chef del locale e collocati su piattini tematici, vengono trasportati davanti agli occhi dei clienti che li catturano al volo, facendosi spesso guidare dall’istinto visivo.
Basterebbe anche sapere che occorre almeno una settimana di anticipo (due per il week end) per prenotare un tavolo nella sala riservata (e accuratamente separata dalla “zona kaiten”, decisamente più pop), dove si è elegantemente serviti, senza che nessun dettaglio venga mai lasciato al caso: luci soffuse, calici e tovagliato con stoffe dedicate, appositamente ricercati in Giappone, ci parlano d’oriente e ci predispongono ad assaporare “il piatto”, così come le varie spezie pregiate esaltano al massimo, senza mai coprirlo, l’ingrediente principale di ogni portata.
Dati non proprio irrilevanti in un momento comunque complesso per la ristorazione capitolina, dove moltissimi progetti, anche interessanti, faticano a decollare ed è complicatissimo unire la qualità della ristorazione a numeri commerciali soddisfacenti.
La “degustazione dello chef”; l’unico modo per entrare davvero nella mente e nel cuore del Patron e dell’Executive Chef
Ma come detto Sushisen è molto di più di quello che sembra e per comprenderne davvero l’unicità dobbiamo andare più a fondo, lasciando per un attimo da parte il pur sfizioso (e funzionale) tablet delle ordinazioni e scegliere l’opzione “degustazione dello chef”; l’unico modo per entrare davvero nella mente e nel cuore del Patron e dell’Executive Chef.
Un’accoppiata fantastica, laddove Giuliano ricerca e seleziona, prevalentemente in Giappone (ma anche in Italia), materie prime e prelibatezze più uniche che rare (come, ad esempio le “jyumi” c.d. “10 spezie” che ritroveremo nella degustazione più avanti citata, oppure le sfoglie di alghe, c.d “Shiraitakombu”), per poi consegnarle nelle sapienti mani di Eiji Yamamoto; lo chef, a sua volta, le lavora, sperimenta e le trasforma, prima di farle tornare, sotto forma di “piatto finito” (con una mise en place, peraltro, di altissima classe) all’assaggio del Patron che ne certifica la riuscita.
Non volendo spoilerare tutti i capolavori della casa, ci limitiamo a raccontare “solo” quelli degustati nella nostra ultima visita.
Takarabako
Un sorprendente amuse-bouche con carpaccio di spigola, broccoletto suage e noci tostate che apre le danze, seguito dal kushi style (uno spiedino di sashimi di salmone norvegese, gambero rosso di Sicilia e mazzancolla in vinaigrette allo yuzu) e dal c.d. Takarabako (letteralmente “scatola del tesoro”) un contenitore in legno di hinoki che si apre, svelando piccole gemme di piacere (nel nostro caso: sashimi di salmone, gambero, dressing al limone e tartufo; polpettina di pesce bianco e gambero; tartare di ventresca di salmone, gambero, avocado, riduzione allo zenzero e soia).
Nido d’amore
Senza parole ci lascia il “cannolo croccante” (con prosciutto di tonno rosso, riso soffiato, cream cheese in spuma e caviale di mostarda) sia per l’effetto estetico che per la tecnica di lavorazione che esprime; un’esplosione di sapori unita al contrasto di consistenze: la morbidezza della spuma che esalta il gusto del tonno, avvolto dalla fragranza della sfoglia (talmente sottile da sembrare irrealizzabile) che contiene il preziosissimo bocconcino.
Poi il “nido d’amore”, questa volta con spuma di salsa di soia bianca al prosecco, the Matcha, capesante, uova di salmone e tartufo nero, ma fantastico in ogni sua versione (la precedente era in spuma di ricciola, caviale e tartufo nero); per proseguire con la tartare di salmone norvegese, uovo “onsen” a 68° (come nelle terme giapponesi), perle di olio evo al tartufo bianco, le 10 spezie jyumi, polvere di yuzu e lamelle di tartufo nero; semplicemente sublime.
Nigiri
E così via, lungo un percorso multisensoriale, caratterizzato anche da un tocco di sushi tradizionale, dai 3 nigiri (tonno rosso con tartare di toro e caviale siberiano; spigola con tartare di capesante, zenzero e tartufo nero; salmone con tartare di toro, Moromisso e tartufo nero), dal black code (merluzzo nero dell’Alaska marinato 120 ore, con noci e pasta fillo) e infine da un assaggio di wagyù (grado A, livello 5, il massimo della qualità, con marezzatura 10/12); un carpaccio appena scottato alla fiamma, dal gusto intenso, avvolgente ed appagante, esaltato dalla salsa di Sukiyaki e servito con l’accompagno di “sali” a scelta (ben 18 tipi, di cui 6 aromatizzati, 6 provenienti dalle varie isole del Giappone e 6 dal resto del mondo).
Wagyù
Un percorso le cui sensazioni non sono descrivibili a parole, neanche attraverso una lingua forbita come la nostra, che trova la sua degna conclusione in un delicatissimo predessert (shot di melone bianco, yogurt e sake) e nel dolce finale “d’autunno” by G. Bellantoni (mousse di cioccolato bianco, castagna e vaniglia tahiti con cuore di pera williams e daqouis alle mandorle).
Dolce finale “d’autunno”, by G. Bellantoni
Il tutto annaffiato da un fantastico Sauvignon Blanc neo zelandese (Waipara Springs) dall’aroma esplosivo e, già di per sé, appagante, abbinato con un assaggio di sake (Hyaku Moku), invecchiato ben 17 anni (!!); come accompagnamento del dessert, invece, un affascinante Banyuls Grand Cru 2008 uno dei “vini del vecchio mondo” a fare da trait d’union tra passato e presente.
La cantina e i sommeliers, altro fiore all’occhiello del ristorante.
Eh si, perché il ruolo significativo che questo locale riconosce al nettare degli dei, è testimoniato dalla presenza, non solo di un’eccellente cantina e di una cella frigorifera importante, ma anche di ben due sommeliers tra i più sorprendenti della capitale: lo storico Riccardo Viglianelli, accanto al quale la lungimiranza del Patron ha fatto crescere il giovane e talentuoso cugino giapponese Takeshi Okochi che ha forse ormai raggiunto il maestro.
Entrambi, profondi conoscitori del mondo vinicolo, riescono ogni volta a carpire il gusto più recondito del cliente ed abbinarvi un vino entusiasmante, difficile da dimenticare; è quello che è accaduto proprio al sottoscritto qualche anno fa quando Riccardo mi fece scoprire un Riesling tedesco, del territorio della Mosella, il Markus Molitor; un vino che esprime subito una straordinaria profondità aromatica e una grande eleganza per poi sprigionare una struttura sorprendente, insolita per un bianco, frutto della bassa resa che lo caratterizza. Ad oggi, ancora il mio bianco preferito in assoluto come abbinamento al sashimi o comunque al crudo di alta qualità.
Sushisen, una perla da raccogliere…
In conclusione, solo Giuliano può spiegarci quanta attenzione e dedizione al lavoro e quanta passione maniacale nel curare il dettaglio, ci siano dietro tutto questo; in poche parole l’essenza di Sushisen può essere riassunta così: “altissima qualità delle materie prime ed unicità di alcune di esse, sapiente tecnica di lavorazione che proviene da oltreoceano, perfetto connubio tra passione e sperimentazione”.
Una buona ragione per provarlo? Vivere davvero un’esperienza sensoriale con la “degustazione dello chef” ma anche semplicemente scoprire alcuni piatti che rimarranno, per sempre, nel nostro cuore e nelle nostre percezioni gustative.
Ecco perché tra le tante stelle della capitale, belle da vedere, Sushisen è una vera perla che non si può non raccogliere!
Marco Tocci
Avvocato, patrocinante in Cassazione, esperto in diritto immobiliare e in food law, quale amante e conoscitore della buona tavola, da anni si diletta a testare i ristoranti più sorprendenti, convinto che il cibo di qualità sia quasi un obbligo per la salute del corpo e ancor di più per la gioia dell’anima.