Ritornano i “The Flippers” al Cotton Club di Roma
Invece di andare ai giardinetti o a giocare a bocce insieme ai pensionati, l’allegra brigata (allegra? si fa per dire) si è rimessa a suonare
Sabato 20 febbraio al Cotton Club di Roma, ritornano i Flippers, Incredibile ma vero, la band dei Flippers, che nei lontani anni Sessanta truffò l'Italia vendendo qualcosa come quattro milioni di dischi e suonando per intere stagioni in locali storici come la Bussola, il Sing Song, la Capannina di Forte dei Marmi, il Barracuda di Santa Margherita Ligure, l'Excelsior di Venezia e via di questo passo, è tornata sulla scena. E' come ritrovare Bernadette che fa l'infermiera al policlinico, Beethoven che lavora alla Maico o un settantanovenne che fa i 100 metri a ostacoli.
Ma purtroppo è la realtà: invece di andare ai giardinetti o a giocare a bocce insieme ai pensionati, l'allegra brigata (allegra? si fa per dire) si è rimessa a suonare e viene pagata per farlo. La trovate a Roma, al Cotton Club, oppure in giro per l'Italia in teatri e se volete rovinarvi una serata potete anche andare a sentirli. Intanto ecco la loro storia, un pò di vecchio ciarpame e, dulcis in fundo, la notizia dell'uscita di un doppio album antologico e di un live registrato durante un concerto due estati fa…
A volte ritornano, e stavolta a tornare sono The Flippers, una band i cui componenti vengono tutti dal jazz e che nei primi anni Sessanta mieteva successi mescolando generi a prima vista molto distanti (per esempio alcuni celebri e antichi brani di jazz tradotti in versione cha-cha-cha, twist, surf, hully gully e chi più ne ha più ne metta) in dischi come Muskrat Ramble cha cha cha (fu il loro primo single e vendette 240 mila copie in una settimana), Jada, Il cha cha cha dell’impiccato (dal testo così cretino che Jimmy Fontana e Gianni Meccia, che lo cantavano in coro con la band, fecero cancellare i loro nomi con un tassello nero dalla copertina del 45 giri), I Watussi (realizzato insieme al cantautore Edoardo Vianello, un milione di copie vendute del singolo) e così via nonché in varii album richiestissimi.
Hanno partecipato come musicisti a diversi film, da Totò, Peppino e la dolce vita e altre pellicole del Principe De Curtis al “musicarello” Io bacio tu baci (con Mina, Celentano e tanti altri compreso Jimmy il Fenomeno, vera e propria leggenda nel mondo del cinema italiano), e con I Watussi sono addirittura scesi in gara insieme a Vianello in un Cantagiro nel quale arrivarono secondi, dopo una strenua battaglia con Peppino di Capri, che risultò vincitore.
Sì, The Flippers venivano dal jazz, e ancora oggi, in età quasi veneranda, continuano a essere legati al jazz (ma anche ai loro vecchi hit, che complessivamente vendettero oltre 4 milioni di copie), tanto che da qualche mese si sono rimessi a suonare, sia per divertimento che per un’incontrollabile e insana voglia di swing e di musica che farebbe andare Freud in brodo di giuggiole, e se ne vanno in giro per i club romani e di altre città. Sempre per la serie incredibile ma vero, le loro performance vengono addirittura pagate, e pure bene.
La formazione, fino alla tarda primavera 2005, è stata quella originale al completo, con Max Catalano alla tromba, Romolo Forlai al vibrafono, Jimmy Polosa al piano (fu uno dei membri fondatori, e dopo di lui è entrato nel gruppo Franco Bracardi), Maurizio Catalano alla chitarra e Fabrizio Zampa alla batteria. Ai vecchi tempi il loro vocalist, clarinettista e sassofonista era Lucio Dalla, che restò con la band un paio d'anni e cantava in inglese, inventandosi le parole, gli hit di Ray Charles a cominciare da Georgia On My Mind. Jimmy Polosa, che fu il primo pianista del gruppo, venne poi sostituito da Bracardi, diventato poi compagno di palco di Maurizio Costanzo e purtroppo scomparso nel 2005. Dalla sua "rifondazione" alla band si sono aggiunti altri due musicisti: sono il clarinettista e sassofonista Maurizio Moscatelli e il bassista Lallo Pascucci. Dalla scorsa estate, infine, un nuovo e giovane trombettista, Benedetto Amoroso, ha sostituito Massimo Catalano che si è preso (più per pigrizia che altro) una pausa di riflessione.
Ciascuno dei vecchi e nuovi Flippers nella vita fa altre cose: Catalano fa Catalano e passa le sue giornate a Amelia, dove vive da anni. Jimmy Polosa si occupa di supercomputer e tiene conferenze in mezzo mondo. Zampa fa il giornalista e lavora dal lontano 1970 al quotidiano Il Messaggero. Maurizio Catalano faceva il discografico e adesso si prepara a fare il giro del mondo in barca a vela. Forlai continua a coltivare la musica fra Roma e il suo castello nelle campagne marchigiane, a San Severino. Lallo Pascucci e Maurizio Moscatelli insegnano musica nelle scuole.
Benedetto Amoroso fa la spola con la valigetta della sua fedele tromba fra Roma e Palermo, che è la sua città. L'attuale repertorio di The Flippers è quasi da modernariato, con standard e classici del jazz e dello swing e brani doc italiani e stranieri opportunamente rivisitati e riarrangiati con suoni attuali, e ovviamente comprende, per la serie l’erba cattiva non muore mai, anche i cavalli di battaglia dei lontani anni Sessanta.
Dal vivo, infatti, la band propone un concerto di un’ora e mezza o due che si muove fra classici d’annata, standard tradizionali e brani doc: molto buon vecchio swing (A Fine Romance, It Had to Be You, Fly Me To The Moon, All of Me, The Way You Look Tonight nonché pezzi di Duke Ellington come Don’t Get Around Much Anymore o la versione originale di quel It Don’t Mean a Thing il cui remix, grazie a uno spot televisivo, è recentemente diventato un hit), evergreen di Louis Armstrong (La vie en rose, Hello Dolly), alcuni cha cha cha dei Flippers e di altre formazioni (Muskrat Ramble cha cha cha, Jada, Turna a Surriento, Patricia, A lo loco, Un poquito de tu amor, Tea for Two), qualche ragtime (come The Entertainer), qualche piccolo viaggio nella memoria degli anni ’60 (Marino Barreto, Fred Buscaglione, Bruno Martino), nel jazz di Benny Goodman e Lionel Hampton (Stardust, How High The Moon) e in bellissime composizioni che fanno parte delle colonne sonore di cult movies (come Mon oncle di Jacques Tati, Shining di Stanley Kubrick, Blade Runner di Ridley Scott) o anche dei cartoni animati di Disney, la consueta dose di blues e così via.
Oltre a offrire molta musica le performance dei Flippers sono anche un piccolo spettacolo che racconta con humour le avventure e le disavventure di una band che suonava nei night club di un’epoca contraddittoria, spesso buia ma in fondo anche divertente come gli anni Sessanta, che il pubblico giovane non conosce ma sulla cui storia è quasi obbligatorio farsi molte liberatorie risate: i sette musicisti, o almeno quelli di loro che hanno vissuto quel periodo, rievocano con la giusta dose d'ironia le loro disavventure, e insieme alle peripezie del gruppo tracciano un curioso quadro di anni nei quali l'Italia viveva un inesistente e finto boom economico, un periodo in cui la censura era pesantissima, ai gestori dei locali mancava solo la frusta, farsi una canna era fantascienza, il sesso era un reato penale e le ragazze che la davano erano praticamente introvabili.
Forse non ci crederete, ma i loro racconti e la loro musica sono qualcosa che i ragazzi di oggi non conoscono e sui quali è impossibile, soprattutto per i giovanissimi, non ridere o alla meno peggio non sorridere. E loro, incredibile ma vero, si divertono molto e per di più vengono addirittura pagati profumatamente per farlo. Come dire il massimo della vita.