Roberto Bolaño, cinquant’anni di vita: un romanzo per uomini postumi
Scrittore di lingua spagnola, nato cileno, messicano di adozione, morto a Barcellona, ha tutti i tratti del narratore puro
Roberto Bolaño si è imposto all’attenzione internazionale e italiana attraverso i suoi romanzi, tra cui svetta 2666 (Adelphi), gigantesca summa narrativa composta di cinque pannelli.
Scrittore di lingua spagnola, nato cileno, messicano di adozione, morto a Barcellona, ha tutti i tratti del narratore puro. Sebbene i suoi cinquant’anni di vita, forse pochi in un’epoca come la nostra, non abbiano contribuito a che egli sviluppasse il suo volo.
Roberto Bolaño e la letteratura
Tra le sue opere più significative, subito a ridosso del capolavoro principale, cui si accennava, merita di essere meditato e ricordato “I detective selvaggi” (1996, ed. it. Adelphi). Si tratta di un atto di amore, purissimo, verso la letteratura.
Come nel caso di Borges e del Calvino di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (1979), di un autentico capolavoro metaletterario. Il cuore narrativo del libro è, infatti, il movimento realvisceralista, ultimo residuo di avanguardia in terra centro-americana, che trasfigura la gioventù dello scrittore.
Ma è sufficiente la sua fecondità sul piano estetico e metaletterario, a rendere questo libro tanto interessante? In realtà c’è qualcosa di più e questo elemento investe lo statuto, si potrebbe dire ontologico, del contemporaneo.
Post-modernità e oltre
Sebbene giovani verso la metà degli anni ’70 del Novecento, i protagonisti del libro hanno vissuto le esperienze che sono state anche quelle della generazione successiva. Quella che, nella seconda metà degli anni ’70 del Novecento, ci è nata – e alla quale anche l’autore di questa nota appartiene.
È un’epoca in cui il nichilismo domina feroce, in cui, per usare pensieri di Nietzsche, Dio è morto, i valori supremi si svalutano, la fede nel Dio cristiano è diventata irricevibile.
Non solo, è un’epoca oppressa dalla conclusione della guerra fredda, dal crollo del Muro di Berlino, dalla fine dell’Unione Sovietica, dal conflitto nel Golfo.
Soprattutto è un’epoca in cui il benessere consumistico è una fascia adesiva che non lascia respirare, in cui sono i programmi televisivi ad essere modello della realtà e non viceversa.
Così i giovani che si affacciano al mondo, sono morsi da una fame di vita autentica, che i nostri genitori non avevano conosciuto. Ora che anche l’utopia della rivoluzione si è rivelata uno specchietto per le allodole.
Le trasgressioni dell’alcol, delle droghe, del sesso, della grande tradizione della musica rock, si offrono soccorrevoli. Con i rischi del caso. Non solo, ma c’è qualcosa di più dietro tutto questo. Quello che il giovane Nietzsche della “Nascita della tragedia” (1872) ha chiamato il dionisiaco.
L’esperienza grandiosa dei Misteri eleusini, per come era stata conosciuta dagli antichi Greci. Ossia l’unica dottrina della Liberazione, dalla realtà e dall’Io, che la tradizione europea e occidentale abbia conosciuto e che è tanto frequente e importante nella cultura orientale.
La contraddizione con il Cile di Pinochet o con l’Italia di Berlusconi è, come si può ben immaginare, stridente, quasi fatale.
La verità del canto
Quasi fatale, ma non per la mente di Bolaño, che si erge solitaria nel suo canto. Bisogna aver sperimentato moltissime soluzioni narrative, aver scritto molto e molto riflettuto sulla letteratura, prima di scrivere così.
Bisogna, soprattutto, aver vissuto con tutta la lucentezza la pericolosità e l’intensità di un amore disperato, per abbandonarsi, con lucidità, alla fine e alla disperazione. Quella di chi, per mantenersi, ha fatto anche il guardiano notturno in un campeggio.
Eppure così voleva la legge esistenziale ed estetica dell’infrarealismo che, nel romanzo, diviene il ‘realvisceralismo’. Quella di chi attaccava Octavio Paz, come, nella nostra letteratura, Pasolini attaccava Montale.
Ma se Pasolini viveva tutto all’interno di logiche, anche ideologiche, novecentesche – e la risposta di Montale, con la “Lettera a Malvolio”, sarà feroce – Roberto Bolaño si affaccia dall’altra parte, vede il nostro mondo.
Ne dà una descrizione, per usare un termine importante della filosofia del Novecento, “fenomenologica”. L’uomo è una piccola rotella, un piccolo aggregato di anima e corpo, in balìa delle grandi onde storiche della globalizzazione.
Spiegare tutto ciò a chi non l’ha vissuto, non è facile, ma chi lo ha dentro di sé per averlo sperimentato, si getterà, con foga e gratitudine, sulle pagine di Bolaño. Senza grandi rimpianti, a ben vedere.
Una mediazione possibile
Poiché, rispetto alle nostre generazioni, coloro che costruirono le Piramidi o il Partenone, i soldati di Spartaco crocifissi, i milioni di morti nei lager e nei gulag, hanno sperimentato, sulla loro pelle, tutta la durezza della condizione umana. Di fronte a tutto questo, la nostra esperienza appare una discreta vacanza, con qualche momento da non dimenticare.