Roberto Calasso e l’arte della memoria
Per tutta la vita egli si è dedicato alla costruzione della casa editrice Adelphi
Nell’epoca di internet, dei social network e di tutto quello che ruota intorno a questa dimensione, è sempre più difficile, per la cultura italiana, esprimere personaggi all’altezza della propria tradizione. Per il bizzarro gioco della sorte, nel 2021, ne abbiamo visti andare via addirittura due: Roberto Calasso e Daniele Del Giudice. Molto diversi uno dall’altro, ma molto somiglianti nell’essere due isole di solida roccia in un mare di inconsistenza.
Guardare il passato
Contemporaneamente alla sua morte, avvenuta il 28 luglio 2021 all’età di ottant’anni, Adelphi pubblicava gli ultimi due scritti di Roberto Calasso, “Bobi” e “Memè Scianca”. Si tratta di due libriccini entrambi sotto alle cento pagine, dedicati, in qualche misura, alla memoria.
È doveroso ricordare che l’opera di Roberto Calasso si divide in due ambiti molto corposi. Il primo è il lavoro di editore. Per tutta la vita egli si è dedicato alla costruzione della casa editrice Adelphi, cui si deve un contributo notevole alla pubblicazione di tutta una serie di libri che, in Italia, in qualche modo mancavano.
Dalle “Opere” di Nietzsche, nell’edizione critica a cura di G. Colli e M. Montinari. Ai grandi scrittori della Mitteleuropa: Karl Kraus, H. von Hofmannsthal, A. Schnitzler, Joseph Roth, Adolf Loos, P. Altenberg, Elias Canetti, T. Bernhard, I. Bachmann. Ai grandi classici orientali; ad una significativa “Biblioteca filosofica” e ad un altrettanto significativa “Biblioteca scientifica”. Senza contare tutti i libri unici e inclassificabili, che fanno il marchio della casa editrice.
Il secondo aspetto dell’attività di Calasso è quello di intellettuale e, io direi, di pensatore. Essa si è esplicata in un’opera in undici volumi, priva di un titolo complessivo, che si è interrotta con la morte del suo autore. I volumi comprendono: “La rovina di Kasch”, dedicato al mondo contemporaneo. “Le nozze di Cadmo e Armonia”, dedicato al mito greco. “Ka”, che ha ad oggetto il mito indiano. “K.”, che ha ad oggetto Kafka.
“Il rosa Tiepolo” e “La Folie Baudelaire”, dedicati al grande pittore e al grande poeta. “L’ardore”, che ha ad oggetto l’antichissima sapienza indiana e i suoi riti. “Il Cacciatore Celeste”, dedicato ad aspetti del mito. “L’innominabile attuale”, che riprende la critica della contemporaneità, cui è dedicato il primo volume dell’opera. “Il libro di tutti i libri”, che ha ad oggetto l’Antico Testamento. “La Tavoletta dei Destini”, che tocca il mito mesopotamico.
È difficile parlare di sé
La caratteristica di questi due ultimi brevi scritti, “Bobi” e “Memè Scianca”, è di avere ad oggetto non il passato della grande cultura umana, ma il passato dell’autore stesso.
Bobi era il nomignolo di Roberto Bazlen, il principale dei maestri di Calasso. Triestino, amico di Italo Svevo ed Eugenio Montale, Bazlen scelse di non scrivere. Intellettuale poliedrico, di singolare profondità, dedicò la maggior parte della sua attività a far scoprire libri decisivi agli altri. Fu consulente editoriale di Einaudi e, poi, tra i fondatori di Adelphi. Calasso rende, dunque, omaggio all’uomo senza di cui, probabilmente, egli non sarebbe stato quello che è stato.
La gratitudine è un sentimento alto, tra i più elevati che ci è dato provare in questa esistenza. Un maestro, una guida, un genitore, un amico possono risultare decisivi nella vita di ognuno di noi. In più, Bazlen aveva davvero la capacità di cambiare la sorte delle persone con cui entrava in contatto. Guardando ad Oriente, egli aveva il problema non di comporre la grande opera, ma di “diventare vivo”, come suona la conclusione del libriccino di Calasso. Non è poco, come si può ben capire.
Il secondo libro, “Memè Scianca”, è dedicato da Calasso ai figli, Josephine e Tancredi. Si tratta del racconto di un padre ai propri figli, del mondo incantato e tumultuoso della propria infanzia, nella Firenze della Seconda guerra mondiale e del successivo dopoguerra. Il giovane Roberto cresce stretto tra il padre, Francesco Calasso, importante giurista; la madre, Melisenda, laureatasi su Plutarco; il nonno materno, Ernesto Codignola, a capo dell’importante casa editrice “La Nuova Italia”.
Un episodio e un ricordo determinante svetta su tutti: l’arresto del padre Francesco, immediatamente dopo l’assassinio di Giovanni Gentile. La franchezza e l’indipendenza di Calasso dalla tradizione resistenziale, soprattutto sotto l’aspetto culturale, probabilmente viene anche da lì, dall’essere stato il padre tanto in prima linea, da permettergli di non dover dimostrare nulla di più, sotto quel profilo. Quasi superfluo aggiungere che Memè Scianca è il soprannome di Calasso stesso…
I due libri, “Bobi” e “Memè Scianca” sono, allora, la dimostrazione palmare che quell’oscuro oggetto del desiderio che chiamiamo cultura – di cui tanto più ci si riempie la bocca, quanto meno le persone ne possiedono, ormai, anche solo un’idea sfumata – non nasce soltanto dallo studio e, ancora meno, dall’informazione.
Quanto piuttosto da un impasto, e da un intreccio, di elementi dottrinali e di aspetti personali, difficilmente districabile. Dalla tensione di un’epoca che si incontra con un certo slancio esistenziale. Di tutto questo, Calasso ha saputo offrire un esempio significativo…