Roma a rischio alluvione: è costruita su aree che erano paludi e acquitrini
“Roma è particolarmente esposta. Ci sono circa 360 mila romani a rischio alluvione”: si sta facendo il necessario per difendere la città?
Violenti piogge, temporali, acquazzoni si sono abbattuti sulla città e sulla regione. Negli occhi tutti hanno l’alluvione in Romagna. Roma è costruita su aree che erano paludi e acquitrini e il Tevere, in passato, l’ha inondata più volte. Si sta facendo il necessario per difendere la città?
Il Dipartimento di Protezione Civile di Roma e della Regione Lazio in queste ultime settimane più volte ha diramato bollettini di allerta a causa di violenti temporali e nubifragi sulla Capitale. Temperature piuttosto elevate, comprese fra minime di 16 gradi, a Rieti e a Viterbo e massime di 26 gradi a Roma.
E l’allerta gialla per criticità idrogeologica riguarda tutte le zone della Regione. Dai Bacini costieri nord, il Bacino medio Tevere, l’Appennino di Rieti, Bacini di Roma, l’Aniene, Bacini costieri sud e il Bacino del Liri: tutti i territori laziali sono stati colpiti nelle scorse settimane da forti precipitazioni.
Roma è particolarmente esposta
Dall’Emilia Romagna arrivano immagini di devastazioni per le continue ondate di maltempo che stanno colpendo la regione e la popolazione è costretta ad affrontare disagi durissimi per le alluvioni e l’inagibilità di appartamenti, casali e aziende.
Mentre succede tutto questo anche a Roma c’è un rischio alluvione. Lo dice Erasmo de Angelis, già sottosegretario ai Trasporti e a capo della struttura Italia sicura creata dal governo guidato da Matteo Renzi. Il centro d’Italia è anche a rischio di inondazioni? “Sì, Roma è particolarmente esposta. Ci sono circa 360mila romani a rischio alluvione. Con Italia sicura mettemmo a gara opere per contenere la piena dei fiumi che dalla Toscana e l’Umbria, come il Paglia, scaricano nel Tevere. Molte devono ancora partire”.
Roma è sempre stata inondata
Nella sua lunga storia Roma si è sempre inondata. Un tempo erano molto frequenti perché durante la stagione delle piogge il livello delle acque del Tevere si alzava di parecchio ma Roma non aveva argini alti come quelli attuali. Il fiume poteva tracimare e allagare i quartieri cittadini. L’area del Velabro era in origine paludosa e soggetta alle inondazioni. Secondo la leggenda fu qui che si sarebbe arenata la cesta coi gemelli Romolo e Remo, dopo aver navigato nel Tevere, per essere poi recuperata dalla cosiddetta lupa. Lupe per i romani erano chiamate le prostitute, che infatti prestavano servizio nei “lupanari”. Molto probabilmente quei due bambini o erano figli di una “lupa” o grazie a lei sono sopravvissuti. Da qui viene facile la battuta su certe offese abituali dei romani.
I vari Re di Roma fecero costruire delle cloache, dei canali di scolo, proprio per bonificare le vallate comprese tra i colli. La stessa Cloaca Massima, la più antica fogna al mondo, ancora funzionante dopo 2000 anni, venne realizzata per bonificare l’area del Foro, del Circo Massimo e della Suburra. Non dobbiamo dimenticare che Roma sorge in Maremma che è terra di paludi e di acquitrini. Si dovette aspettare i primi del ‘900 per dare inizio alle bonifiche dell’Agro romano, con una legge del 1911, per recuperare terreni all’agricoltura.
Le cloache servirono a convogliare tutte le acque al fiume
Tuttavia le cloache romane avevano il grave difetto di sboccare direttamente nel Tevere per cui, tutta l’immondizia e tutti i rifiuti organici della città finivano nel fiume, che diventava a sua volta una cloaca. Nel periodo Repubblicano e successivamente in quello Imperiale, le cloache da opere preminentemente idrauliche, costruite cioè per la bonifica del suolo, vengono trasformate in opere idraulico–igieniche, atte a smaltire le acque superficiali e quelle usate dai Romani per bere, per mezzo dei grandiosi undici acquedotti.
Succedeva che nel periodo delle grandi piogge sia l’acqua del fiume, che s’ingrossava a monte, sia quella delle piogge che arrivava dalle cloache, finiva nel Tevere. Il livello si alzava e l’acqua tornava indietro per le fogne fino in centro. Fu così che si allagò più volte anche il Pantheon.
Fin dall’antichità si è sempre saputo che l’unica maniera per non far allagare Roma era di tenere pulite le vie di scolo delle acque reflue e di evitare che i rifiuti si accumulassero lungo questi canali e lungo le strade per far defluire al meglio la pioggia. Il Velabro mantenne la sua funzione di centro commerciale fino al VI secolo, quando una disastrosa alluvione del Tevere ricordata nel 589 d.C., addirittura rialzò il livello del terreno, apportando i detriti del letto del Tevere ormai non più bonificato dalla caduta dell’Impero.
Come si difendevano dalle inondazioni gli antichi romani
Una difesa dalle inondazioni della città di Roma era costituita da una maggiore larghezza dell’alveo del fiume rispetto all’attuale, pari a circa 130 m, visto la lunghezza dei ponti del tempo. L’alveo del fiume aveva inoltre una pendenza maggiore di adesso. La foce stessa era 4 km prima dell’attuale, come si capisce dalla posizione degli scavi di Ostia antica. Traiano aprì il canale di Fiumicino proprio per far defluire le acque delle inondazioni a mare. Loro ci pensavano e facevano grandi opere per risolvere i problemi …loro.
Gli argini attuali proteggono sufficientemente il Centro
Anche i detriti degli incendi, che distrussero molte delle costruzioni in legno della città imperiale, vennero utilizzati contro le alluvioni. Per esempio per rialzare intere aree depresse. I detriti dell’incendio del 64 d.C., quello attribuito a Nerone, servirono per colmare la palude Caprea (Sant’Andrea della Valle), il Velabro, il Foro dove la via Sacra venne alzata di due metri e Campo di Marzio di tre. Tutto quello che restava di incendi o terremoti o distruzioni veniva impiegato per ricostruire o per alzare. Quando crollava un edificio i detriti li utilizzavano per ricostruirci sopra. Per questo quando si scava a Roma si trovano più strati di costruzioni, una sull’altra.
Oggi il Tevere ha una profondità di 6,5 metri e gli argini si trovano 9 metri più in alto della superficie del fiume. Quindi il Tevere dovrebbe ingrossarsi fino a quell’altezza per poter esondare ma sappiamo che al massimo arrivava a 12 metri, quando allagava la città nei tempi antichi.
Piazza di Spagna, caditoie invase da bottiglie di plastica
Le caditoie servono per il deflusso della pioggia e sono posizionate in punti strategici delle piazze e delle vie proprio per assolvere al meglio a questa funzione. Ma se non le si mantengono pulite e libere non servono a niente. Una di queste caditoie, posizionata davanti alla scalinata di Trinità dei Monti a piazza di Spagna è stata trovata letteralmente invasa dai rifiuti e dalle bottigliette di plastica.
Il problema è che non è l’unica. Sono tutte intasate da foglie, sporcizia, residui di plastica, in uno stato tale da non poter ormai essere utilizzata per lo scopo per cui sono state progettate, cioè lo scolo delle acque piovane.
Una manutenzione deve essere continua e approfondita
L’assessorato capitolino ai lavori pubblici ha annunciato di aver provveduto alla manutenzione e alla pulizia accurata delle caditoie che si trovano lungo il perimetro della fontana della Barcaccia del Bernini, al centro di piazza di Spagna. L’operazione è stata particolarmente impegnativa, ha spiegato l’ufficio del Campidoglio, proprio a causa dell’altissimo numero di bottiglie di plastica e dell’immondizia trovata all’interno dei tombini. Se questo tipo di mantenimento non viene fatto con costanza, al prossimo temporale la piazza si allagherà di nuovo.
L’assessora ai Lavori pubblici, Ornella Segnalini, ha spiegato: “Bottiglie e spazzatura nelle caditoie sono un ritrovamento gravissimo. Non solo perché compromettono la funzionalità dei canali di scolo, ma anche per una questione di igiene, decoro e civiltà. Oltre ai lavori di pulizia di Ama, il nostro Dipartimento ogni giorno interviene su tutta la città per la manutenzione delle caditoie, ma quello che è stato trovato ai piedi della scalinata e della Barcaccia va ben al di là di una normale pulizia. Il nostro lavoro prosegue per una corretta e continua manutenzione della città”. In pratica l’assessore richiama cittadini e turisti a una forma di collaborazione, per esempio non tirando l’immondizia in terra, bottigliette comprese.
Il Piano contro il dissesto idrogeologico che fine ha fatto?
Intervistato da ‘Il Messaggero’, Erasmo De Angelis ha spiegato: “Alluvioni e temporali autorigeneranti sono eventi difficili da anticipare ma l’Italia è particolarmente esposta. Ha il più alto tasso di precipitazioni d’Europa: 300 miliardi di metri cubi annui che si riversano in più di 7mila corsi d’acqua torrentizi”.
A proposito del piano nazionale contro il dissesto idrogeologico ha aggiunto: “I fondi ci sono ancora, circa 8 miliardi. Li ha stanziati il nostro piano, Italia sicura, 7 anni fa. La struttura centrale è stata dismessa, una parte dei fondi è finita nel Pnrr. Tutto fermo. Avevamo previsto 12 mila progetti da Nord a Sud, interventi per 30 miliardi di euro in 10 anni, gare no-stop”.
Secondo De Angelis non è solo colpa della burocrazia: “Queste sono decisioni politiche. Serve una struttura permanente a Roma, di tecnici, che abbia un orizzonte più lungo di un governo. Oggi invece le competenze sono sparse fra i ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente e la Protezione civile, che non fa prevenzione”.
Se al Governo pensano di procedere così invece di risolverli i problemi li aggraveranno.