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Roma Capitale: ci sono i segni di un risveglio urbano ma prima dobbiamo cambiare noi

La Capitale ha iniziato a mettere ordine in alcuni angoli e a ricordare che vivibilità non è un concetto astratto, ma qualcosa che si costruisce metro per metro

Cassonetti

Camminando per le strade di Roma, oggi si notano dettagli che, fino a poco tempo fa, sembravano fuori posto, quasi visionari. Cestini nuovi vicino alle fermate dell’autobus, paletti di sicurezza che segnalano con più evidenza le strisce pedonali, luci intermittenti che invitano all’attenzione.

Piccoli segnali nella Capitale, grandi significati

Dettagli, sì, ma che fanno la differenza. Perché non si tratta solo di decoro urbano: parliamo di stimoli visivi e pratici che vogliono parlare direttamente al cittadino, in modo discreto ma deciso.

Non è una rivoluzione, e nemmeno una svolta epocale. È più un sussurro: Roma sta cercando di rialzarsi, ma lo fa con lentezza e fatica. La città ha iniziato a mettere ordine in alcuni angoli, a suggerire comportamenti, a ricordare che vivibilità non è un concetto astratto, ma qualcosa che si costruisce metro per metro.

Cestini nuovi e vecchie abitudini

I nuovi contenitori per i rifiuti, piazzati strategicamente vicino ai punti più affollati – fermate del bus, incroci trafficati, aree pedonali – sono un tentativo evidente di rieducazione urbana. Non sono solo oggetti utili, ma piccoli messaggi: “Qui puoi farlo. Qui è il posto giusto”.

Eppure, come spesso accade, l’oggetto da solo non basta. Il vero banco di prova sarà la costanza: la loro manutenzione, la frequenza con cui verranno svuotati, il modo in cui verranno rispettati. Un cestino pieno è inutile quanto un marciapiede sporco. E qui entra in gioco il cittadino.

Perché Roma, inutile girarci intorno, soffre da anni per una piaga che va oltre la burocrazia o le carenze strutturali. È un problema culturale, prima ancora che logistico. I rifiuti non cadono dal cielo. E se i cassonetti sono circondati da sacchetti abbandonati, è perché qualcuno ha scelto di lasciarli lì.

Attraversamenti pedonali e visibilità

Un altro piccolo ma eloquente passo è stato fatto con la segnaletica pedonale. Dove prima c’erano solo strisce sbiadite, oggi si iniziano a vedere cartelli verticali, luci lampeggianti, dispositivi pensati per proteggere chi attraversa. Soprattutto la sera, questo tipo di indicazione può fare la differenza tra un attraversamento sicuro e un rischio evitabile.

Eppure anche in questo caso il problema si fa più profondo. Perché non bastano i segnali: serve che chi guida li rispetti. Serve che chi parcheggia, soprattutto con i furgoni, eviti di occultare la visibilità degli attraversamenti. Serve, insomma, un cambio di sguardo: un ritorno alla responsabilità individuale.

Ama e il peso dell’inciviltà

Chi lavora per mantenere la città pulita – gli operatori dell’Ama, spesso bersaglio facile di frustrazioni generalizzate – si ritrova ogni giorno a dover rimediare a gesti compiuti da altri. I cosiddetti “squaletti”, le squadre mobili dedicate alla raccolta dei rifiuti fuori posto, non dovrebbero essere la norma. Dovrebbero essere un intervento d’emergenza, non il quotidiano.

E invece sono costretti a rincorrere l’inciviltà. Se non ci fossero loro, molte zone sarebbero ancora più compromesse. Ma questo impegno continuo, che si mangia risorse e tempi operativi, sottrae energie ad altre attività fondamentali: la pulizia profonda dei marciapiedi, la rimozione dei rifiuti più ostinati, la manutenzione di aree trascurate.

Il cassonetto “moderno” e il rifiuto culturale

Un dettaglio interessante è l’introduzione dei nuovi cassonetti, senza pedale ma con un sistema semplificato per l’inserimento dei sacchetti. Una tecnologia semplice, intuitiva, quasi banale. Eppure, molti sembrano non averla nemmeno notata.

Perché il problema non è lo strumento, ma l’approccio. Serve provarci, serve la volontà di capire. Chi non apre il coperchio, spesso non è ostacolato dalla difficoltà, ma dalla pigrizia. O, peggio ancora, da un’idea distorta: che se la città è già sporca, allora un sacchetto in più non farà la differenza.

Roma e il suo eterno compromesso

Roma è una città che da sempre vive su un equilibrio fragile tra meraviglia e degrado. I suoi problemi non sono mai solo tecnici: sono fatti di abitudini, di atteggiamenti radicati, di relazioni tra persone e spazio pubblico. È facile incolpare l’amministrazione, e spesso con ottime ragioni. Ma c’è un confine oltre il quale la responsabilità torna a essere condivisa.

Un gesto semplice – come buttare il sacchetto dove va, come rallentare davanti a un attraversamento, come sollevare un coperchio leggero – è il vero atto politico in una città che vuole cambiare. Roma può migliorare, sì. Ma non migliorerà da sola.

E forse, se cominciassimo tutti con un po’ più di attenzione, senza aspettare che “qualcun altro” faccia il primo passo, ci accorgeremmo che questa città ha ancora voglia di essere all’altezza della sua bellezza.

Goffredo Martini