Roma Cold Case: omicidio Marta Russo (9 maggio 1997). Fatalità o femminicidio?
Sono le 12:00 del 9 maggio 1997. Marta sta uscendo dalla facoltà di Giurisprudenza di Roma quando, d’improvviso si accascia a terra
Per quanto la V Sezione penale della Corte di Cassazione, il 15 dicembre 2003 abbia condannato in via definitiva Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro rispettivamente a cinque anni e quattro mesi il primo e a quattro anni e due mesi il secondo, assolvendo il terzo imputato Francesco Liparota, anche l’omicidio della ventiduenne e studentessa romana, Marta Russo, deve essere annoverato, a nostro parere, tra i casi irrisolti più clamorosi della storia giudiziaria. Siamo certi, anche la famiglia della povera Marta la penserà così, non certo appagata (come potrebbe!) dal risarcimento di 1 milione di euro ottenuto nel 2011, né soddisfatta dalle miti pene comminate ai due assistenti universitari (all’epoca dei fatti) riconosciuti colpevoli, degne di una semplice condanna per detenzione e porto abusivo di arma da fuoco.
Se poi andiamo a ripercorrere la recente inchiesta dell’Huffington Post, in cui, dopo un ventennio, una voce sconosciuta smentirebbe la teste fondamentale (ndr Chiara Lipari) sottolineando il vuoto delle motivazioni per quella pista scartata del bagno dei disabili, il dubbio che la verità non sia mai stata raggiunta si fa sempre più insistente. Ma, ritorniamo indietro e ricordiamo brevemente a beneficio dei più giovani e dei più distratti.
Cosa è successo quel giorno di maggio
Sono quasi le 12:00 di un giorno qualunque della soleggiata primavera romana, è il 9 maggio 1997. Marta, insieme all’amica Jolanda, è appena uscita dalla facoltà di Giurisprudenza della Sapienza e si dirige verso il cortile. Ha assistito ad una lezione di Diritto Costituzionale: dopo un passato sportivo nella scherma, il suo sogno è quello di diventare avvocato; e, a considerare gli ottimi voti conseguiti, di lì a qualche anno avrebbe potuto raggiungere l’ambito obbiettivo. Improvvisamente si accascia a terra, senza un fiato, senza un lamento. Tra le persone accorse in seguito alle urla disperate dell’incredula amica c’è uno specializzando in Neurologia che, dopo un primo immediato soccorso, si accorge del forellino dietro l’orecchio sinistro macchiato di sangue. Marta Russo muore il 13 maggio, dopo aver lottato con la morte nel reparto di rianimazione di Neurologia, cercando di capire perché un proiettile cal. 22 a punta cava le ha devastato il cervello, e chi lo avesse esploso.
Un caso complicato
Sono le stesse domande che si pone il giovane PM incaricato all’indagine, Carlo Lasperanza. Il Pm, dopo aver cercato di ricostruire i fatti, si affiderà alla Polizia Scientifica e a tutti i mezzi peritali a disposizione. A un mese dal decesso della povera studentessa, il primo di una lunga serie di colpi di scena: gli arresti domiciliari per il Prof. Bruno Romano, reo di favoreggiamento. A seguire, le testimonianze delle altre parti coinvolte, che tra conferme e smentite, contribuiranno non poco a complicare un caso già intricato e inspiegabile. Sono coinvolti l’assistente di Romano, Chiara Lipari, la segretaria di Romano, Gabriella Alletto e l’usciere dell’Istituto, Francesco Liparota che verrà arrestato insieme a Scattone e Ferraro per concorso in omicidio volontario.
Gli atti e le registrazioni dell’indagine provocheranno l’indignazione dell’allora Presidente del Consiglio, Romano Prodi e del suo Ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick. Per l’innocenza dei giovani assistenti universitari si schierano centinaia tra politici, intellettuali, giornalisti e avvocati, addirittura costituendosi in un comitato. A parte Scattone e Ferraro, vengono tutti prosciolti nel corso dei vari processi. Anche i PM Lasperanza e Ormanni accusati di abuso d’ufficio e violenza privata per le modalità con cui avevano condotto gli interrogatori di indagati e testimoni. Per il Lipari bisognerà attendere l’ultimo pronunciamento della Suprema Corte per vederla prosciolta dall’infamante accusa di concorso in omicidio.
Un processo balistico
Un processo che definiremmo “balistico”, basato su perizie complicate e volte quasi esclusivamente alla ricerca della compatibilità piuttosto che alla definizione della verità. Mentre scriviamo di questa assurda quanto drammatica vicenda, i colpevoli giudiziari dell’omicidio si sono ricostruiti una vita, per quanto inseguiti in ogni dove dalla tremenda realtà di una condanna così grave e forse dal rimorso di un gesto assurdamente commesso o dalla dannazione per un’ingiustizia subita (ndr. I due si sono sempre dichiarati innocenti).
E Marta? Marta continua a vivere nel corpo di altri esseri umani, dopo che i familiari hanno deciso di donare i suoi giovani organi; ma soprattutto continua a vivere nel ricordo di chi le vuole bene, come si può voler bene ad una giovane studentessa dell’ateneo romano. Una ragazza che, dopo una breve vita terrena fatta di gioie sportive, di affetti familiari, di amori studenteschi e di speranze professionali, ancora non ha trovato la spiegazione alla sua prematura fine. Eppure, una spiegazione, un movente, esistono. Che sia stato per soddisfare la futile motivazione di un “gioco” perverso, o l’aberrante disegno per vendicare un rifiuto od “un’onta” subita, quello di Marta Russo è stato un femminicidio, perpetrato ai suoi danni da un uomo che uccide le donne, dall’alto di una finestra dell’Università, attraversato, mentre punta l’arma e preme il grilletto (quindi con l’insita volontà di uccidere o consapevolezza di poterlo fare), da quel sordo senso di onnipotenza e di possesso che, per Marta, è stato un soffio che le ha portato via la vita.