Roma, da Rutelli alla Raggi: 30 anni. Il meglio e il peggio di F. Febbraro
Riassumere Roma in un articolo. 50 anni di storia cittadina è impossibile ed è anche rischioso per le critiche che può scatenare un’analisi troppo sintetica
Qualche giorno fa, su l’Occidentale, Claudio Togna, tracciando un bilancio dell’esperienza di Governo capitolino del Movimento Cinquestelle, sosteneva che governare Roma è da sempre un’impresa ardua. E che tuttavia può diventare disperata, se la Città viene affidata a una sorta di “trovatella”, senza arte né parte. Virginia Raggi, quando divenne Sindaco di Roma non aveva nessuna esperienza di governo. E come la gran parte degli esponenti del Movimento, non aveva alle spalle nessuna gavetta politica.
Roma, il sindaco Raggi non è una sprovveduta
Ma non era certo una sprovveduta, potendo vantare il titolo di Avvocato e un biennio di esperienza come Consigliere comunale. Non aveva però l’esperienza per governare Roma ed è inutile negare che l’incapacità di sovrintendere a tutti i complessi processi che riguardano l’Amministrazione capitolina ha pesato sull’inesperienza. Roma, ricordiamolo, quantomeno per estensione, è una delle più grandi città d’Europa. Ma i mali di Roma hanno radici antiche e questa non è certo la prima Amministrazione incapace di affrontarli.
Gli antichi mali di Roma
Riassumere in un articolo cinquant’anni di storia cittadina è impossibile ed è anche rischioso per le critiche che può scatenare un’analisi troppo sintetica. Ma volendo correre il rischio, possiamo sostenere che i due nemici principali di Roma siano stati la speculazione fondiaria e l’abusivismo edilizio. Le Amministrazioni centriste del dopoguerra, a guida democristiana, alimentarono un esagerato clientelismo e una succube connivenza con la speculazione fondiaria, che generarono disordine amministrativo e corruzione diffusa. Ma il colpo di grazia alla Città arrivò col dilagante e in parte inarrestabile fenomeno dell’abusivismo edilizio.
L’abusivismo edilizio difeso da tutti
Una quota parte di responsabilità, inutile negarlo, va data anche all’opposizione comunista che negli anni ‘60, in mancanza di una seria politica abitativa pubblica, difese le classi più povere che per la “necessità” di una casa a basso costo, violavano la legge. Quella necessità poteva essere soddisfatta solo costruendo la casa con le proprie mani su lotti di terreno non edificabili e situati nei posti più periferici del territorio cittadino. La “necessità” che politicamente giustificava l’abuso, finì poi negli anni ’70, in buona parte grazie anche al Piano ISVEUR. Ma l’abusivismo edilizio non finì e cambiò da abusivismo di necessità in abusivismo di “opportunità” e successivamente in una individuale, ma molto diffusa, “speculazione” edilizia.
Gli effetti del fallimento urbanistico
Non aver bloccato quell’espansione incontrollata, produsse due effetti micidiali: il fallimento del Piano Regolatore e l’ulteriore espansione radiale e a “macchia di leopardo” della città. Il PRG del 1964 tra i tanti difetti aveva il pregio di poggiare sull’idea, tanto giusta quanto inattuabile per via del costo proibitivo degli espropri, dell’Asse Attrezzato. Un’arteria viaria veloce sulla quale avrebbero dovuto poggiare tutte le attività direzionali, organizzando in modo più razionale la città, bloccando proprio l’espansione radiale. L’abusivismo è il peggiore nemico delle città, quindi dei cittadini. E’ un fenomeno che, uccidendo la programmazione, costringe gli Amministratori pubblici ad adottare provvedimenti tampone che alla fine gravano sulle tasche di tutti i cittadini.
Le continue sanatorie degli ultimi trent’anni, legittimando gli abusi, hanno riconosciuto agli abusivi gli stessi diritti, in termini di servizi, di coloro che hanno rispettato la legge. Questo fatto non sarebbe particolarmente grave se, come nel caso di Roma, non avesse come conseguenza l’obbligo di portare servizi essenziali nei punti più sperduti del territorio, con un costo proibitivo.
Gli affari d’oro che hanno rapinato Roma
L’abusivismo è esploso facendo fare affari d’oro, senza nessuna contropartita per la collettività, ai proprietari terrieri che hanno potuto speculare lottizzando e vendendo terreni che per il PRG erano inedificabili. In quelle zone è stato giocoforza realizzare e portare poi la rete idrica e fognaria e organizzare la raccolta dei rifiuti e il trasporto pubblico. Con un costo imprevisto e insostenibile per la collettività, tanto in termini di realizzazione quanto di manutenzione e gestione del servizio. Per avere un’idea del costo per la collettività basti pensare all’estensione della rete viaria comunale, con 5000 km di strade, che spesso attraversano zone disabitate per raggiungere i quartieri più periferici.
Questa struttura territoriale aumenta anche la difficoltà di realizzare una rete metropolitana dignitosa a un costo ragionevole, perché deve servire un territorio a densità fortemente variabile, quindi con un bilancio potenzialmente deficitario. A questi costi squisitamente monetari aggiungiamo poi l’altrettanto elevato costo sociale di chi vive da decenni in quartieri disordinati, privi dei servizi di base, quindi degradati.
Il Comune di Roma e le risposte di Petroselli
Una prima risposta venne data dalle Giunte di Sinistra nella metà degli anni ’70, con il recupero igienico sanitario – acqua, luce e fogne – delle periferie. Successivamente, per dotare di ulteriori servizi i nuclei spontanei, decisero di affiancare ad essi i nuovi interventi di edilizia residenziale pubblica. I consorzi edilizi avrebbero così realizzato quel meccanismo sinergico che avrebbe garantito ad entrambi gli insediamenti tutti i servizi necessari: scuole, asili e verde pubblico attrezzato. Una scelta quasi obbligata, che tuttavia faceva aumentare ulteriormente il numero dei cittadini residenti nelle parti più estreme della città, che sarebbero stati costretti, per la mancanza di una veloce rete ferroviaria urbana, all’uso del mezzo privato per raggiungere i luoghi di lavoro, rimasti, a dispetto delle previsioni del PRG, nelle zone più centrali.
Una serie di scelte giuste e comprensibili sul piano sociale e politico, ma decisamente negative sotto il profilo della politica urbana. Se nell’analisi dei problemi di Roma non consideriamo questo peccato originale che è “il male dei mali” non riusciamo a capire la difficoltà di amministrare Roma e di immaginare per essa un futuro migliore.
Le risposte di Francesco Rutelli
La seconda risposta venne dalla Giunta Rutelli, che cercò la soluzione nei progetti ambiziosi, che rilanciavano e rinnovavano la città. Nella periferia con interventi di “aggregazione” come le “cento piazze”, i “punti verde qualità” e i nuovi centri sportivi comunali affidati per la gestione ai concessionari privati ; nel centro cittadino con i progetti per la Roma “da vivere e da godere”: l’Auditorium di Renzo Piano, centro culturale e architettura d’eccellenza; il recupero dei portici di Piazza dell’Esedra, della Galleria Colonna, la nuova Fiera di Roma e la “Nuvola” di Fuksas e i dehors di via Veneto, che dovevano rilanciare la via della “dolce vita”. Il tutto oggettivamente favorito dalla straordinaria ed unica opportunità offerta dal Giubileo dell’anno 2000. Una serie di scelte rese possibili anche dalla presenza di una struttura amministrativa e dirigenziale di tutto rispetto, motivata, esperta e capace.
La sfida della mobilità
Ma l’idea più forte per il futuro della Capitale era quella di sciogliere il nodo scorsoio della mobilità, che da sempre stringe il collo di Roma. Le idee di Walter Tocci, che per le indubbie capacità propositive va annoverato tra i migliori assessori, furono: la “cura del ferro”, cioè la costosa ma indispensabile creazione di una rete urbana ferroviaria; il “parcheggiare meno, parcheggiare tutti”, cioè la tariffazione delle strisce blu per favorire la rotazione nella sosta e condividere il diritto al parcheggio; il “Piano Urbano Parcheggi” che intendeva liberare le strade dalla sosta selvaggia per fare scorrere più rapidamente i mezzi pubblici. La fine ingloriosa di alcuni di quei progetti è tristemente nota, ma quelle idee avevano una forza dirompente e rigenerante straordinaria. Idee alle quali si aggiunse – e non è poca cosa – una onestà e una capacità amministrativa dell’intera macchina, mai viste prima.
Il fallimento del modello Roma
Veltroni capitò sulla cresta di quell’onda innovatrice, realizzando i progetti voluti da Rutelli, ma aggiungendone anche di nuovi, rafforzando l’immagine di Roma come Capitale internazionale della cultura e della moda, dando lo spunto a quello che venne definito, con un pizzico di esagerazione, il “modello Roma”. La definizione concreta di quel modello venne stupidamente interrotta dall’ambizione di Veltroni e del PD di puntare al Governo del Paese. Un’altra scelta infausta per la Città. Ma non sarebbe stata una scelta così grave se a governare Roma, come si pensava, fosse tornato Rutelli. Tuttavia, nonostante sia stato il miglior sindaco della storia di Roma, Rutelli, dio solo sa perché, non è stato mai amato dai romani.
Alemanno o Aledanno?
Al momento del ballottaggio, anche sulla spinta emotiva della terribile vicenda dello stupro e assassinio della povera Giovanna Reggiani alla stazione di Tor di Quinto, i romani preferirono Alemanno. Con le conseguenze che tutti sappiamo. Con Alemanno rientrò dalla finestra ciò che per anni era stato tenuto fuori dalla porta: corruzione, pressappochismo, progetti che penalizzavano la città, inclusa la sballata localizzazione dello Stadio della Roma. Dulcis in fundo arrivò la mazzata dell’allora cosiddetta Mafia Capitale.
La meteora impazzita di Marino
L’incapacità e il malaffare produssero la sconfitta di Alemanno alle successive elezioni, con un plebiscito a favore di Ignazio Marino, fino ad allora sconosciuto alla maggioranza dei romani. Marino, aveva un compito arduo ma qualche buona idea. Purtroppo, per supponenza o per presunzione, pensò che il merito della vittoria fosse tutto suo e decise di governare la città ignorando il Partito che lo aveva fatto eleggere. Il risultato, anche per incapacità amministrativa e per stupidità personale, fu una serie di errori, banali, ma gonfiati a dismisura dalla stampa, che indussero il PD a scegliere il suicidio politico.
L’inadeguatezza di Virginia Raggi e le indagini sul condono
Il resto è storia recente, cioè la storia dell’Amministrazione Raggi. Tanta buona volontà, alcune scelte giuste, molta incoerenza, la palese assenza di un progetto organico e una modestia amministrativa che ha generato spesso un evidente stato confusionale. Circostanze che su una città che era già in ginocchio, hanno prodotto danni che appaiono irreparabili. Persino l’onestà amministrativa, giustamente rivendicata dai Cinquestelle, ha finito per scricchiolare paurosamente, con la vicenda Marra, l’intervento della Magistratura sul progetto dello Stadio e, più di recente, gli arresti e le indagini sulla gestione dell’Ufficio Condono.
La colpa è chiaramente personale dei corrotti, ma in questi casi c’è sempre una corresponsabilità di chi avrebbe dovuto vigilare, togliendo ai corrotti gli strumenti per agire. Nel caso del Condono rendendo il servizio efficiente, rapido e trasparente. Il problema, purtroppo, non è solo dell’Ufficio Condono, che oggi emerge per la scoperta della corruzione, ma della paralisi che regna sovrana ovunque. E la paralisi, cioè la mancanza di risposte alle istanze dei cittadini, apre sempre le porte alla corruzione. Il discorso sull’organizzazione della macchina capitolina è complesso e non lo affronteremo in questa occasione, perché qui interessa di più guardare al futuro.
Roma Capitale. Ora serve uno bravo?
Claudio Togna ha concluso il suo articolo affermando che per governare Roma “servirà uno bravo”. Magari fosse così! Purtroppo, non basta uno bravo. Serve innanzitutto un’idea che dica chiaramente ai romani dove vogliamo portare questa città e con quali strumenti. Serve poi un’intera squadra di bravi amministratori capaci di attuarla. Un’idea forte per Roma, con gente all’altezza del compito, tanto nella Giunta quanto nella macchina amministrativa. Servono Assessori capaci, che non eseguano solo il compitino affidandosi all’onestà, che non è un requisito ma un presupposto. E servono soprattutto dirigenti e funzionari, ai vari livelli, capaci, coraggiosi e determinati, oltre che onesti.
Le domande che rischiano di avere la peggiore risposta
Ma le domande che abbiamo sono note: dove sono le persone capaci di proporre un’idea forte per Roma, che sia anche un programma e non solo uno slogan o una promessa attraente? In quale partito o in quale coalizione possiamo trovarli gli amministratori capaci di attuarla? Dove si nascondono – perché se si nascondono lo fanno molto bene – i dirigenti sulle cui gambe dovrebbe marciare e arrivare al traguardo questo progetto? Provate a darvi le risposte e se non le trovate iniziate, come me, a preoccuparvi dell’ennesimo voto di protesta e di rabbia, che potrebbe consegnare, ancora una volta, questa città nelle mani sbagliate, facendola sprofondare, stavolta definitivamente, in un abisso dal quale riemergere sarebbe quasi impossibile.