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Roma e i senza dimora: il decoro urbano non si tutela con i divisori anti-clochard

Alcune città europee hanno adottato modelli di successo: e Roma non può scegliere la via della ghettizzazione silenziosa

Panchina con divisorio metallico

Passeggiando per Roma, tra le piazze monumentali e le strade storiche, capita sempre più spesso di imbattersi in panchine dotate di divisori metallici. Una scelta apparentemente innocua per l’arredo urbano, ma che cela un altro intento: impedire ai senza dimora di sdraiarsi, riposare, trovare un rifugio temporaneo. Un simbolo della lotta al degrado che, però, finisce per colpire solo chi non ha alternative.

Roma e l’eterno problema dei senza dimora

Roma non è nuova nel tentativo di risolvere la questione dei senza tetto. Secondo le stime più recenti, sono migliaia le persone che ogni notte trovano riparo sotto i portici, nelle stazioni ferroviarie, nei sottopassi e, appunto, sulle panchine pubbliche. Un esercito invisibile fatto di storie complesse, di fallimenti, di difficoltà economiche e personali.

I divisori anti-clochard rappresentano una risposta superficiale a un problema profondo. Non si risolve l’emergenza abitativa impedendo il sonno a chi non ha un letto. Si tratta di una soluzione ipocrita, che risponde a esigenze estetiche senza affrontare le cause del problema: l’assenza di un sistema strutturato di accoglienza, la mancanza di politiche abitative inclusive, la difficoltà di reinserimento lavorativo e sociale.

Il decoro urbano tra diritti e necessità

La tutela del decoro urbano è una necessità per ogni amministrazione cittadina, ma deve convivere con i diritti umani fondamentali. La presenza di bivacchi, sporcizia e situazioni di degrado non si risolve con barriere architettoniche punitive, ma con interventi mirati, basati su accoglienza, assistenza e reinserimento sociale.

Alcune città europee hanno adottato modelli di successo:

Housing First: un approccio che prevede l’assegnazione immediata di un alloggio ai senza dimora, accompagnato da supporto psicologico e sociale.

Dormitori diffusi e strutture di emergenza: piccoli centri di accoglienza distribuiti nel territorio per evitare la concentrazione in poche zone critiche.

Piani di reinserimento lavorativo: progetti di formazione e occupazione per permettere ai senza tetto di ricostruire la propria autonomia economica.

A Roma servirebbe un piano d’azione che coinvolga Comune, Regione, associazioni e cittadini. Non solo per risolvere l’emergenza abitativa, ma per restituire dignità a chi vive ai margini.

Dal simbolo di esclusione a quello di accoglienza

Immaginiamo un altro tipo di panchina. Non una con divisori metallici per allontanare, ma una con coperture per proteggere dalla pioggia, con sistemi di riscaldamento nei mesi freddi, con spazi dedicati all’assistenza sociale. Esistono esempi virtuosi in altre città del mondo, dove il design urbano non è solo deterrente, ma anche strumento di inclusione.

Roma, la città dell’accoglienza per eccellenza, non può scegliere la via della ghettizzazione silenziosa. Servono scelte coraggiose, che affrontino il problema alla radice, anziché spostarlo di qualche metro più in là. Il decoro urbano non si tutela escludendo, ma includendo. E solo un piano ragionato, umano e sostenibile può trasformare la Capitale in una città che accolga davvero tutti.