Roma e l’Albero di Natale: Spelacchio, Spezzacchio… e che cacchio!
Ma è possibile che ogni anno a Roma vi siano problemi con il Pino di Natale?
L’albero è uno dei simboli più noti e forse uno di quelli su cui si è scritto di più sotto ogni latitudine. Esso è in contatto diretto con i tre livelli del cosmo: quello delle radici, quello del tronco, e quello dei rami. Le radici s’impossessano del mondo sotterraneo seguendo maggiormente una direzione orizzontale; scavano nel profondo, danno stabilità, oppongono resistenza al forte vento, dissetano e alimentano il resto. Il tronco, verticale, si rende ‘responsabile’ della superficie della terra. I primi rami mediano tra la terra e il cielo. Mentre i rami superiori e quelli della cima, sembrano braccia alzate al cielo a ringraziare un eventuale creatore nell’azzurro cobalto che il sole dona allo spazio infinito. Mi sembra Interessante osservare come l’albero riesca a riunire in sé i quattro elementi: l’acqua (nella linfa) la terra (nelle radici) l’aria (che nutre e accarezza le foglie) il fuoco (che sprigiona) se si strofina ad uopo.
A causa delle sue radici che ‘penetrano’ la madre terra in un amplesso sublime e la capacità dei rami di proiettarsi verso l’alto, l’albero simboleggia le possibili relazioni tra il cielo e la terra, tra l’inconscio e la coscienza, tra l’immanente e il trascendente. Potrei scrivere per ore della simbologia dell’albero del suo essere alleato vitale per l’uomo ma oggi mi interessa di più mettere in luce, come, in questa città eterna, da due anni, gli alberi si siano trasformati in essere umani. Alzi la mano chi non si è commosso l’anno scorso, alla storia di Spelacchio? E la alzi pure chi non si sia iniziato a commuovere già, con la storia di Spezzacchio? Ho sempre creduto che gli alberi abbiano un’anima. Al punto che fin da bambino nella ‘Pampa argentina’ nei viaggi lunghi e solitari, scendevo dal cavallo e mi fermavo ad abbracciarli e ringraziarli per il riparo dal sole e dal terribile vento Pampero e dall’acqua improvvisa e abbondante. Non discriminavo le specie. Per me un albero era sempre un albero, un fratello ‘diverso’ strutturalmente e matericamente, ma vivo, quanto e come me.
Spelacchio era un Pino. Spezzacchio è un altro Pino. Non so perché ma in essi vedo il mio defunto fratello, di nome appunto Pino. Non saprei spiegarlo ma sento davvero che sia così. Sento come se mio fratello morendo fosse diventato albero e soffro per lui, per Spelacchio e Spezzacchio! E che cacchio! Ma è possibile che ogni anno a Roma, vi siano problemi con il Pino di Natale? Non vorrei pensare che a causa della nostra storia non troppo lontana, riecheggi, proveniente da qualche dimensione altra, la voce potente e amplificata di qualcuno, dal balcone di Piazza Venezia, che terrorizzi, con i suoi imponenti acuti e contenuti di guerra, questi poveri pini, sradicati, feriti, spezzati, umiliati, derisi, venduti. Perché non addobbare un albero di ferro? O di vetro? O di legno? O un albero creato con effetti luminosi? O che ne so ricreato in tre dimensioni con la realtà virtuale? Perché la realtà vera di questa nostra città ci sta scoppiando tra le mani, come bolle di sapone? E’ triste, ma l’albero (il pino) oggi forse non è più soltanto simbolo di vita, ma di decadenza e morte?