Roma, edilizia e dissesto idrogeologico
Tutte le volte che piove, l’Italia e Roma cedono: è il dissesto idrogeologico. Solo un fenomeno naturale, o c’è la mano dell’uomo?
Tutte le volte che piove, mezza Italia e mezza Roma cedono. Gli argini crollano, quartieri vengono interamente allagati, palazzine danno segni di crollo e muri franano. Ed è questo un disastro che ha un nome ed un cognome: dissesto idrogeologico.
Quell'insieme di allegre picconate che diamo al suolo, erodendolo progressivamente con costruzioni ed urbanizzazione feroce, porta infatti quell'infelice nome. Roma, in questo, ha una sola fortuna: non è in collina e non è una zona a forte rischio sismico. Se lo fosse, probabilmente vivremmo in una città post apocalittica, giacché questa città fagocita ogni giorno chilometri quadrati su chilometri quadrati di terreno, asfaltandolo e costruendovi sopra quartieri su quartieri, come se non ci fosse un domani.
Siamo poi la patria (quantomeno dell'Italia centrale) degli appalti truccati, dei condoni, dell'edilizia abusiva e selvaggia, delle grandi opere mai finite e del massacro più selvaggio del nostro territorio. Il tutto fa ovviamente si che questa città presenti una crescita sregolata simile ad una neoplasia edilizia. E in questo è interessante notare di come, oltre al danno idrogeologico, ci si appresti a creare una bolla economica dell'edilizia notevole, giacché una buonissima parte degli appartamenti selvaggiamente costruiti in ogni minuto di ogni ora di ogni giorno, rimane sostanzialmente sfitta. E chi è che oggi ha da parte tre/quattrocentomila euro per prendersi una di quelle belle e modernissime case? O quale banca dà oggi mutui a chi – la maggior parte – prende mille/millecinquecento euro al mese? A poco vale anche darle anche arredate per stimolare i compratori: i soldi non ci sono. Punto.
Dunque costruiamo, e creiamo danni enormi al suolo ed all'economia, solo perché questo attiva circuiti economici di interesse per alcuni palazzinari, che dando in garanzia appartamenti e case sfitte ed invendibili – ma aventi un valore reale – chiedono altri soldi con cui costruire di nuovo altri appartamenti e case che saranno a loro volta sfitte ed invendibili, ridandole poi in garanzia. Quando i soldi finiranno, o quando le banche si renderanno conto che non riavranno più indietro i "loro", a pagare sarà allora il buon pantalone, che con tanta parsimonia aveva messo in banca i propri risparmi. Non è allarmismo, è più o meno quanto è successo in America qualche annetto fa, quando ci fu la bolla dell'edilizia.
Ma pantalone non si ritroverà solo a dover pagare economicamente i danni economici causati da quella gente arricchita negli anni del boom edilizio romano dei decenni scorsi che va in giro con macchine da centomila euro, ma anche quelli, appunto, idrogeologici. Basta infatti fare un salto dopo il Raccordo per vedere che quei fantastici quartieri affondano nel fango e nella pioggia quando fanno due gocce, e che la gente è costretta a rintanarsi nelle soffitte. E sorvoliamo poi sui sistemi infrastrutturali che si sarebbero dovuti fare, e che pure sono scarsi.
Dunque, a ben vedere, non sarebbe forse il caso di tirare il freno a mano e mettere un punto a tutta questa storia? E allora facciamolo questo volumi zero su Roma, creiamo, con semplicità, un meccanismo che dia lavoro agli edili non tramite la macinazione continua e febbrile di verde e di ambiente, creando così danni enormi, ma tramite la ricostruzione e la ricostruzione.