Roma FilmFest 16 – All’insegna del 2: una ragazza con due madri, due amiche birazziali, un’atleta prodigio con due futuri
Nella Sezione Ufficiale un film italiano molto atteso: “L’arminuta”, e un altro statunitense calligrafico ma pretenzioso: “Passing”. In Alice la bella produzione ucraino-svizzero-francese “Olga”
“Selezione Ufficiale”
L’ARMINUTA
film, Italia Svizzera 2021, durata 110’. Regia: Giuseppe Bonito
PASSING
film, USA 2020, durata 98’. Regia: Rebecca Hall
“Alice nella Città“
OLGA
film, Svizzera Ucraina Francia 2021, durata 85’. Regia: Ellie Grappe
“L’arminuta”
Il libro, uscito nel 2017, era stato un successo, coronato dalla vittoria al Premio Campiello e al Premio Napoli.
C’era quindi attesa, per l’arrivo del film sugli schermi della Festa, unico italiano nella Selezione Ufficiale. E bisogna dire che il passaggio è riuscito; itra l’altro con molta fedeltà al romanzo, tantopiù che Donatella Di Pietrantonio, che ne è l’autrice, figura anche come co-sceneggiatrice del film.
Vediamo una ragazzina di tredici anni, dall’aspetto delicato, pensoso, educato, lasciata con sofferenza ma senza troppi complimenti da un uomo in una malandata casa di campagna, affidata alla locale famiglia dai modi a dir poco ruvidi; non ci è detto perchè, ma che è “l’arminuta“, la ritornata. E sappiamo che dovrà stare a vivere lì. Viviamo il trauma e la desolazione iniziale della ragazza, spettatrice – fin dalle prime battute – di scene e dialoghi (in una lingua scarsamente comprensibile) mille miglia lontani dalla sua natura e formazione. L’unico calore in tanta apparente desolazione le viene da Adriana, una bambina dall’aspetto selvatico ma che le mostra interesse, “le sta vicino”. La storia parte da qui e non ve la anticipo; vi dico solo che ha a che fare con due madri ma anche due abbandoni; con apparenze che nascondono altro. Con la difficile e anomala nascita di un legame che intuiamo diventare forte. Una storia di formazione, di sentimenti temprati dalla sofferenza; capiamo che è una storia di crescita.
L’ambientazione nei ’70 del dopo-boom mette a confronto una piccola/media borghesia urbana economicamente assestata con una realtà rurale ancora ferma a valori e modi arcaici. La vicenda è ben raccotata, Giuseppe Bonito – non nuovo al racconto di dinamiche familiari – la dirige con sensibilità, gli occhi suoi e quindi dello spettatore sempre nei punti giusti coi tempi giusti. Ottime le recitazioni, che vedono attori a noi finora non noti (straordinarie le giovani protagoniste, soprattutto Adriana / Carlotta De Leonardis) a fianco a volti conosciuti (Vanessa Scalera, Fabrizio Ferracane, Elena Lietti). Accurate anche le scene, ad esclusione di qualche ricostruzione d’epoca qua e là un po’ da modellino.
Soffriamo però di un disagio sonoro: le battute pronunciate dai villici sono veramente poco comprensibili; in parte lo attribuiremmo ad un lavoro modesto sul suono, in parte all’idioma presunto abruzzese in bocca ad attori che abruzzesi non sono, in parte infine alla divertente scelta di non prevedere sottotitoli italiani, costringendoci a buttare spesso l’occhio su quelli in inglese per capirci di più.
Resta comunque un buon lavoro che consigliamo, e uno spunto di meditazione, dato che trattare i bambini “come pacchi”, per dirla con la giovane protagonista, senza neanche interpellarli, è un atteggiamento che purtroppo resta attuale.
“Passing”. Una forma elegante avvolge un contenuto confuso e velleitario
Incerto esordio alla regia dell’inglese Rebecca Hall, nata bella e brava attrice, lanciata come protagonista di Vicky, Cristina, Barcelona di Woody Allen che poi la volle ancora in Un giorno di pioggia a New York; dopodichè lei – diventata attivista su vari fronti del politicamente corretto – lo rinnegò in occasione della sassaiola #MeToo nel frattempo montata contro il regista, dicendosi pentita di aver collaborato con lui.
Perché incerto? Perché, a fronte di una elegante confezione formale in bianco e nero con interessanti e personali movimenti di macchina, spreca poi un soggetto promettente e intrigante nelle prime scene, imbastendo una confusa metafora di temi rezziali. Siamo a New York, anni ’20 del ‘900: lo spunto è l’incontro, dopo anni, di due amiche di colore che in modi diversi si lasciano credere “bianche”, una anche dal proprio marito razzista. Qui il tutto scivola – involontariamente – nel paradosso, lo spettatore è incredulo e il disagio sociale provato dalle due – che dovrebbe suonare atto d’accusa per una società ancora non-inclusiva – perde ogni credibilità.
Ciò non ha impedito un peana di commenti entusiastici della critica al recente Sundance Film Festival. I tempi che corrono.
“Olga”. Ancora un bel film da Alice nella Città
Alice è un curioso contenitore: rivolta a bambini e ragazzi (anche se seguita da molti adulti, essendo i film stati prodotti non pensando necessariamente a un pubblico giovanile) – la selezione predilige sadicamente soggetti di dolore, emarginazione, malattia… nella bizzarra convinzione che ciò si rivelerà educativo o catartico per i giovani virgulti. Eppure è in questa rassegna che in certe annate della Festa ci imbattiamo nei titoli che ci restano di più.
E’ il caso di questo Olga, in cui la macchina da presa – e noi – tallona, da vicino ma senza sentimentalismi o trovate emotive ad effetto, le giornate di una promettentissima ginnasta di Kiev, nell’arco di tempo 2013-14 noto come “Euromaidan” che vide insorgere e poi deflagrare la protesta contro il presidente filorusso dell’Ucraina Janukovyč, con annesso bagno di sangue nelle piazze. La madre di Olga è una giornalista d’assalto, e come tale prevedibilmente esposta alle ritorsioni del potere corrotto. La forza del film sta nel farci entrare nel dramma di una quindicenne che in un’età e un momento delicati è presa tra due fuochi: da un lato vede schiudersi le porte di un futuro atletico di successi internazionali (si prepara agli Europei in Svizzera dove è stata invitata dalla nazionale di quel Paese, e sarà certamente selezionata per le Olimpiadi); ma dall’altro i crescenti pericoli corsi a Kiev dalla madre, sempre più bersagliata da intimidazioni e minacce, la distolgono dalla seria disciplina imposta dall’allenamento. E i momenti sportivi sono di grande bellezza; l’obiettivo esalta, inframezzando dettagli e viste dalle angolazioni più giuste, la purezza estetica dell’esercizio fisico ben eseguito. Le protagoniste non sono attrici “che fanno le ginnaste”, ma autentiche ginnaste prestate al cinema (con ottimi risultati anche recitativi).
Un film che andrà certamente nelle sale (forte anche del premio all’ultimo Festival di Cannes, nella sezione della Settimana della Critica), e che vi raccomando.