Roma FilmFest 16 – Giornata dominata dal Cyrano-musical. E illuminata dalla presenza del mito Fanny
Il Cyrano di Joe Wright – audace nel rileggere il cliché del personaggio di Rostand che tutti abbiamo in mente – era il titolo del giorno. Ma come non restare stregati dalla presenza e l’appeal senza tempo di Fanny Ardant, ancora protagonista di una storia d’amore…
“Selezione Ufficiale”
CYRANO
film, UK USA Canada Italia 2021, durata 124’. Regia: Joe Wright
LES JEUNES AMANTS
film, Francia Belgio 2021, durata 112’. Regia: Carine Tardieu
FARHA
film, Giordania Svezia Arabia Saudita 2021, durata 85’. Regia: Darin J. Sallam
“Cyrano”
Raccontarvi di che parla Cyrano sarebbe ferire il vostro orgoglio. Meglio allora dirvi “come” Joe Wright lo ha riletto.
Lui è quello di La donna alla finestra, L’ora più buia, Anna Karenina (quello con Keira Knightley); con una sortita di un episodio nel Black Mirror televisivo.
Il Cyrano de Bergerac di Rostand non è certo un uomo avvenente; anzi, pur essendo il fine inventore di aforismi e frasi poetiche e l’abilissimo spadaccino che sappiamo, non ha alcuna fiducia che ciò gli basti a conquistargli l’amore una donna. Ma Wright non gli ha fatto il solito nasone, ha osato di più: affidando la parte nientemeno che a Peter Dinklage, il Tyrion Lannister de Il trono di spade; il più famoso non-alto dello schermo, diciamo perché non conosciamo il vocabolo politicamente corretto che sicuramente oggi esisterà. Ma non vedetela come un ammiccamento ai tempi che corrono: è una scelta felice, una trasfigurazione che, grazie alla bravura e plasticità somatica di Dinklage, funziona, fino a farcelo vedere con occhi diversi. Semmai ossequio ai moderni rigori hollywoodiani è stato affidare la parte del giovane cadetto di cui Roxanne crede di innamorarsi ad un giovane belloccio afroamericano; anche se – qui come nell’originale letterario – il personaggio resta perennemente in ombra rispetto al suo angelo custode Cyrano, che (e qui ci vuole) giganteggia.
Luci e ombre del film
Tessute le doti di Dinklage, bella e brava anche la carnosa Haley Bennett nella parte di Roxanne, che conferisce al ruolo una tempra in più dell’originale. E giacchè siamo alle interpretazioni, pregiata è quella di Ben Mendelshon nel ruolo minore del Conte De Guiche.
L’altra grande libertà che il film si prende è il musical. I personaggi ogni tanto smettono di parlare e cantano. Questo non ci turba – siamo anzi seguaci del genere; ma va detto che purtroppo è quella musica che proprio non va. Pensate a qualcosa di disneyano; ma senza andare ai classici immortali che canteremmo all’infinito: pensate piuttosto a quei titoli degli ultimi anni in cui le canzoni sono tutte uguali, sdolcinate, interpretate con piglio da spot pubblicitario. Ecco, quello.
Un vero peccato, perché – e qui lo sottolineo – il film è un grande spettacolo visivo, un tripudio di scene avvolgenti, di coreografie spumeggianti, di citazioni dei tic dell’epoca rappresentata, senza mai però strafare. Tanto è vero che alla fine magari vi toccherà di asciugarvi furtivamente una lacrima.
Andate a vederlo e godetevelo. Si affianca, senza fare a gara, al bell’antecedente di Rappeneau del 1990, con Depardieu.
“Les jeunes amants”. Ma Fanny Ardant è giovane sempre
Dimenticheremo forse Les jeunes amants, anche se il film ha la sua originalità: l’innamoramento insolito, che tenacemente sfida la sorte, di un medico quarantacinquenne (che ha per moglie la bella Cécile de France…) con la settantenne Shauna; Fanny Ardant, appunto. Ma non dimenticheremo la bellezza e la classe senza tempo di Fanny, una delle ultime vere dive; dopo di noi il diluvio. Bellezza e classe che non solo illuminano ogni scena del film, ma tali da lasciare una scia sul red carpet della Festa; i suoi abiti andrebbero fatti studiare a chi combina quelle mises pacchiane addosso alle star soprattutto d’oltreoceano.
Il film non emoziona – e dato il soggetto e la protagonista è una pecca – ma è intelligente e sensibile, muovendosi con tatto e buon gusto fra le pieghe di un tema delicato; lo si guarda volentieri.
“Farha”. Compitino di routine senza nerbo
Il ritiro degli inglesi dalla Palestina nel 1948, e la loro momentanea sovrapposizione con le sortite delle truppe israeliane, aprirono la stagione della precarietà della sopravvivenza dei palestinesi nella loro terra e dell’asprezza nei rapporti coi loro vicini.
Il film racconta tutto questo focalizzandosi su un episodio: al centro, la quattordicenne Farha che, contrariamente all’uso per le giovani donne di quella cultura, non vuole un precoce matrimonio combinato, bensì continuare gli studi trasferendosi in città. Il padre decide di assecondarla, ma poi succede il finimondo, e con quello la fine dell’innocenza.
Purtroppo alle intenzioni fa seguito uno sviluppo debole e di routine, che si appiattisce ulteriormente proprio quando i fatti consentirebbero di giocare con le emozioni; e lascia perplessi veder dipingere i soldati inglesi come sanguinari sterminatori di bambini. Una regista che ha bisogno di crescere.