Roma ha il primato dei senzatetto in Italia. Alcuni con l’elemosina fanno 200 euro al giorno
A Roma, nonostante i senzatetto siano più di 22 mila, i posti destinati all’accoglienza sono meno di 3 mila
Roma ha il primato dei senzatetto in Italia ma il fenomeno è internazionale. Dove non li vedi vuol dire che usano mezzi poco umani per nasconderli alla vista degli abitanti. La loro presenza ci ricorda che potremmo un giorno finire come loro. La cosa non ci fa piacere e risolviamo con l’elemosina.
Roma è la città con il più alto numero di barboni. Si deduce da una indagine Istat del 2021. In Italia i senzatetto sono 96.197, di questi il 23%, circa 22.000 individui, si trovano nella Capitale. Rispetto al totale ci sono 65.407 uomini e 30.790 donne. Di tutti i clochard presenti in Italia il 38% sono stranieri, di questi circa la metà sono africani.
Quindi sfatiamo subito che i migranti vengano a fare la fine dei barboni da noi. Il rischio c’è intendiamoci, ma fare il senzatetto è al tempo stesso una sfortuna e una decisione. Chi viene dai paesi poveri del sud del mondo già faceva la fame laggiù, non sceglierebbero mai di farla anche qui. Anzi sono disposti a fare qualsiasi cosa pur di mettere insieme due soldi e costruirsi un domani.
È una brutta immagine ma anche un segnale per la società
Il 23% è una percentuale notevole. Soprattutto se confrontato con le percentuali delle città che seguono: Milano 9%, Napoli 7%, Torino 4,6%, Foggia 3,7% e Genova 3%. Via via ci sono tutte le altre. Il problema è serio e certamente non fa bene all’immagine di una città vedere gettati agli angoli della strada persone abbandonate a sé stesse, dormienti o che chiedono l’elemosina, con vestiti sudici, malate, tristi, sole.
A Roma, nonostante i senzatetto siano più di 22mila, i posti destinati all’accoglienza sono meno di 3mila. Il Campidoglio, nell’ultimo anno, ha aumentato il numero dei posti letto notturni nel circuito comunale di 330 unità, ed entro il 2026 si prevede di ampliarli di mille unità. Ma quello che io mi aspetterei di sentir dire non è che mettiamo loro a disposizione mille o più letti tra Caritas e altre istituzioni di assistenza ma che li togliamo dalla miserevole condizione in cui sono, per restituire loro una dignità.
Mi rendo conto che non sia facile. Spesso dietro la vita errabonda da clochard c’è un disturbo mentale o una perdita di fiducia nei propri mezzi o anche cose molto più prosaiche, come un licenziamento in età avanzata o un divorzio che ha distrutto la vita un essere umano. Sono tutte ragioni che ci spiegano che la società è malata. Una società che espelle dal lavoro persone preparate ma di età avanzata o non aiuta coniugi separati a ricostituire un nucleo familiare, da soli o con i figli, è una società spietata, crudele. È lei che sta male.
C’è chi non può vivere fra tanti compromessi, come noi
Tutte le grandi città del mondo mostrano questo fenomeno. Evidentemente c’è una percentuale di individui, di tutte le età, che rifiutano il modo di vivere convenzionale per affrontare la vita per strada. Non succede solo perché si diventa inaspettatamente poveri. Anche se questa è la causa più frequente. I senzatetto sono la categoria di persone che non non possono permettersi un appartamento o una stanza in affitto.
Una volta, da molto giovane, vivevo a Roma Nord in una palazzina graziosa e avevo per vicino un ragazzo meno che trentenne, che viveva in un appartamento di sua proprietà, o meglio di proprietà di sua madre, ma era un alcolizzato che passava per strada le sue giornate e non sempre rincasava. Non aveva orari, non aveva dignità, non aveva rispetto per sé. I soldi che la madre gli dava li spendeva in alcolici. La porta di casa sua era perennemente aperta, da lì veniva un tanfo orribile di cose avariate, di sporcizia accumulata, di abbandono e sofferenza.
Non tutti i clochard sono dei senzatetto e anzi spesso hanno dietro una famiglia che per quanto potrebbe non riesce a riportarli nella società. Esistono migliaia di storie tutte diverse purtroppo che è difficile giudicare e considerare con interventi collettivi. Cosa vuoi aiutare uno così, dovresti rinchiuderlo in un centro di recupero ma non sempre la legge te lo consente. E neanche lui.
Morire per strada va messo in conto, nessuno ti aiuta
Ci sono persone che scelgono di essere nomadi senza casa, come alcuni rom, hippies, fuori di testa, ex giocatori d’azzardo e membri di altre culture. Si stima che 100 milioni di persone nel mondo siano senzatetto. La vita del senzatetto è comunque sempre a rischio. Un malintenzionato che ti accoltella o ti dà fuoco per divertimento o perché preso da furori nazisti di pulizia etnica. Un altro clochard che vuole rubarti un vestito, un oggetto e dalla colluttazione può scaturire un ferimento.
Quando ha fatto molto freddo la notte, molti barboni non hanno trovato rifugio nelle strutture di accoglienza. È successo che a Roma due clochard abbiano perso la vita per ipotermia in due diversi luoghi della città. Il primo lo hanno trovato in un rifugio di fortuna in piazza di Porta Maggiore. Il secondo cadavere si trovava, invece, su una panchina di un parco nel quartiere periferico di Spinaceto. Due vite in fumo.
Qualcuno con disprezzo potrebbe esserne felice ma è marcia la persona che lo pensa ed è marcia la società che lascia morire in questa maniera due persone. La stessa cosa si può dire per i ragazzi che muoiono per overdose nei giardinetti o per quelli che si suicidano gettandosi da una terrazza. Sono tutti segnali di un dramma che andrebbe fermato. Sono 393 quelli morti nel 2022, più di uno al giorno, è il dato peggiore degli ultimi anni. Vittime a Milano, Roma, Torino, ma anche nei piccoli comuni e ad uccidere non è solo il freddo.
I Volontari dei City Angels fanno l’impossibile
La maggior parte dei senzatetto romani è concentrata vicino alle Stazioni Termini e Tiburtina della Capitale, come a Milano si concentrano attorno alla Stazione Centrale. A giorni alterni diverse associazioni, tra cui la Comunità di Sant’Egidio, operano per fornire loro pasti e i beni di prima necessità.
Paolo Tripaldi dell’AGI ha raccontato le loro storie parlando dei Volontari di City Angels. Pietro è polacco e vive in via Giolitti sotto ai portici della Stazione Termini da tanto tempo, alcuni anni ormai, ha una sedia a rotelle, dei cartoni e alcune buste dalle quali non si separa per nessun motivo. Questa è tutta la sua vita.
“Non ci ha mai voluto chiedere niente, non si è mai avvicinato come fanno gli altri”, racconta Roberta Corrias, volontaria dei City Angels, una delle associazioni impegnate all’assistenza dei bisognosi che vivono nei dintorni della più grande stazione ferroviaria della capitale. Queste strutture non dovrebbero essere volontarie ma rese istituzioni pubbliche con i finanziamenti statali per togliere dalla strada queste persone e provare a immetterle di nuovo nella società.
Un bel giorno Pietro ha superato la sua diffidenza si è avvicinato ai volontari con la caratteristica pettorina di colore rosso ed ha chiesto loro solo un paio di pantaloni. I volontari hanno segnato la taglia e nel giro di un’ora sono riusciti a consegnargli il capo d’abbigliamento con la giusta misura di cui aveva bisogno. Stava già dormendo sotto una coperta ma quando ha visto i pantaloni ha regalato ai volontari il suo primo sorriso che si è riuscito a intravedere nella folta barba grigia.
Molti commercianti aiutano i volontari con ogni mezzo
I volontari dei City Angels distribuiscono ai senzatetto una bibita calda, un pasto, coperte e alcuni indumenti. La serata per i volontari impegnati nella zona della stazione Termini parte dalla piccola sede di via Carlo Cattaneo, un locale dell’Esquilino sequestrato dalle forze dell’ordine alla mafia cinese e messo a disposizione dal comune alle associazioni di volontariato. Qui arrivano gli indumenti per i bisognosi raccolti in tutta Roma, soprattutto coperte ma anche giacconi, pantaloni, camicie e scarpe sia maschili che femminili.
“Noi portiamo cibo e bevande ma, soprattutto, in questo periodo di emergenza freddo anche vestiti e coperte, e quando siamo fortunati riusciamo a portare anche sacchi a pelo, o scaldamani – dice ancora la volontaria dei City Angels – abbiamo dei ristoratori che ci sostengono quindi portiamo la pasta calda appena fatta, prepariamo noi del tè caldo, poi merendine e quindi qualcosa di dolce. Abbiamo anche il sostegno di una associazione di donne che tutti gli anni preparano delle coperte di lana fatte a mano con l’uncinetto e ogni anno riescono a fornirci anche 900 coperte. In più quest’anno con l’associazione Taxi per amore abbiamo raccolto decine di coperte in tutti i municipi e una gran parte l’abbiamo distribuita proprio recentemente”.
Che fine fanno le elemosine?
Quelli che non hanno casa, non hanno famiglia e vivono di elemosina o di un piccolo sussidio, che dormono nei ricoveri, che mangiano alle mense della Caritas, che vivono in estrema solitudine perché a volte non hanno che un cane a far loro compagnia riescono a guadagnare anche bene, dipende dalla giornata.
Ci sono giornate in cui una mendicante capace riesce a fare 100 euro all’ora, altre in cui non ne fa più di venti ma, in generale, con meno di 150/200 euro al giorno a casa non si torna. Un mendicante può arrivare a guadagnare anche 5000 euro al mese! Sono casi limite e non molto diffusi. chiaro, ma resta da chiedersi che ne fanno? Dove li spendono? E se non ci sia qualcuno che abbia pensato di mettere le mani su questo possibile business.
In un articolo de La Stampa del 26.1.2018 alcune dichiarazioni dei commercianti del centro raccontano di aver cambiato a dei clochard monetine per 70-80 euro per volta. Alla Farmacia del Corso o alla Tabaccheria di via Carlo Alberto. Nei supermercati del centro si viene a sapere dai funzionari che alcuni clochard sono soliti comprare bottiglie di gin o altri liquori con quello che raccolgono in elemosine.
Patrizia Bruzzone, della farmacia Centrale di via Roma, provoca: “Credo guadagnino più di me. Mi è capitato lo stesso clochard con due sacchetti da 50 euro l’uno”. C’è anche chi sospetta che dietro ci sia un racket, un’organizzazione che sfrutta la loro disperazione, per rubare loro le elemosine in cambio di alcol o droghe.
Ci vorrebbe più solidarietà e meno elemosine ma a chi chiedere?
Pierluigi Dovis, direttore della Caritas aveva pensato a una soluzione: “Già 25 anni fa lanciammo nelle parrocchie il progetto olio e vino, per invitare le persone a non dare l’elemosina ai questuanti fuori dalle chiese, ma a dar vita a sportelli e centri d’ascolto a cui indirizzarli e assisterli”. I centri d’ascolto sono nati, “ma l’appello funzionò poco: in tanti continuavano a dare le monetine, perché è più facile, più immediato. Ti coinvolge emotivamente, ma poi finisce lì, non c’è un’onda lunga. E poi ci sono dei rischi, anche che qualche farabutto li sfrutti”.
Il fatto è che dando un’elemosina la gente si mette a posto con la coscienza e torna a casa tranquilla. Ci sarebbe bisogno invece di creare momenti di amicizia, di scambio, di superare la solitudine e l’emarginazione, non dell’elemosina. Ma tutti questi meravigliosi propositi possiamo chiederli agli impiegati e ai tecnici che tornano a casa la sera tardi dopo tante frustrazioni e tanti conti che non tornano?
Foto dalla pagina dei City Angels Roma