Prima pagina » Cronaca » Roma. La storia del magistrato Paolo Adinolfi, scomparso da 30 anni: “Ci vediamo a pranzo”, ma non tornò mai più”

Roma. La storia del magistrato Paolo Adinolfi, scomparso da 30 anni: “Ci vediamo a pranzo”, ma non tornò mai più”

Grazie a un libro, “La scomparsa di Adinolfi”, il caso è tornato a far rumore. I due autori hanno avuto il merito di riportare questa storia alla luce del sole

Auto della Polizia

Paolo Adinolfi scompare il 2 luglio 1994. Conosceva i segreti dei potenti, era stato giudice fallimentare del Tribunale Civile di Roma, chiamato “il porto delle nebbie”. Negli anni di Tangentopoli, della Banda della Magliana, dei fondi neri del Sisde, si era occupato di poteri criminali occulti, intrecci con la politica e con la grande finanza. Non s’è mai saputo che fine abbia fatto.

In un sabato estivo romano, si persero le tracce di un integerrimo e onesto magistrato

Era il 2 luglio del 1994, un sabato afoso, come altri. Quando si decise la sorte di un uomo dello Stato, un integerrimo e onesto magistrato di cui all’improvviso si persero le tracce. Nessuno ha creduto all’ipotesi dell’allontanamento volontario e sua moglie, Nicoletta Grimaldi, e i figli, Lorenzo e Giovanna, hanno sempre sostenuto che loro padre, uomo tutto d’un pezzo, era molto innamorato della sua Nicoletta, dai tempi dell’università. Era un marito e un padre dedito alla famiglia. Figlio più che legato all’anziana madre. Mai e poi mai, per chi gli voleva bene, si sarebbe allontanato dalle sue responsabilità e dai suoi affetti.

Gli spostamenti nel giorno della sparizione mostrano alcuni gesti strani

Quel sabato il magistrato romano Paolo Adinolfi, 52 anni, esce di casa in via della Farnesina dicendo: “Torno più tardi, ci vediamo a pranzo“, ma non tornò mai più. Prende la sua auto una Bmw 316.  Nella ricostruzione delle sue ultime ore che fanno gli inquirenti, intorno alle 9 entra nella biblioteca del Tribunale Civile di Roma, in viale Giulio Cesare, dove ha lavorato per molti anni prima alla sezione fallimentare, poi alla seconda civile.

Secondo il bibliotecario, Marcello Mosca, è in compagnia di un giovane sui 30 anni che non verrà mai identificato. Subito va allo sportello bancario interno del Tribunale, per trasferire un conto corrente all’agenzia della Corte d’Appello di via Varisco, dove è stato appena trasferito e dove si è poi recato, intorno alle 10.  

Viene notato da un collega, l’avvocato Paolo Loria, difensore di Raniero Busco nel caso Cesaroni di via Poma. All’ufficio postale interno ha anche pagato alcune bollette della madre. Il 1° novembre 1994 anche una signora confermerà la presenza di Adinolfi allo sportello bancario.

Uno strano turbamento sul volto?

Dopo una serie di altri spostamenti per alcune commissioni, sale in auto, apparentemente solo, prima delle 11, e si muove verso Piazzale Clodio, dove si trovano gli uffici della Corte d’Appello. In cancelleria ritira due sentenze, imbattendosi all’ingresso, in un terzo testimone, il giudice Paolo Celotti, che nota sul volto del collega uno strano turbamento. Ma col senno di poi potrebbe essere una impressione sbagliata.

Poi va in un altro ufficio postale, quello del Villaggio Olimpico, in via Nedo Nadi, che dista un bel po’ da piazzale Clodio. Parcheggia in via Svezia ma non riprenderà mai più l’auto. Dall’ufficio postale spedisce alla moglie un vaglia di 500.000 lire. Un gesto illogico che forse potrebbe voler dire qualcosa. Perché non l’ha fatto dal primo ufficio postale dov’è stato? Quello del Tribunale Civile?

Una serie di testimoni lo vedono nei posti più disparati

Poi, iniziano una serie di avvistamenti ai quali non saprei che fiducia dare. Probabilmente, prende un autobus per andare a casa della madre al quartiere Parioli. Nella cassetta postale della madre, alcun giorni dopo, sono state poi ritrovate le chiavi di casa di Adinolfi e della sua auto. Un testimone, di professione avvocato, prima ancora che i TG ne diano notizia, chiama il 113 per segnalare di aver visto, verso le 12.30, il magistrato scomparso sul bus numero quattro, quello che da Parioli va a Piazza Zama. In via XX settembre il collega è sceso, mentre Adinolfi è rimasto sull’autobus.

Sarebbe apparso sereno e avrebbe parlato dei suoi due figli. Interpellato dai giornalisti, il testimone si rifiutò in seguito di commentare e si chiuse anche nei confronti della famiglia, con la quale non ha mai voluto parlare. Una spettatrice televisiva ha chiamato durante la trasmissione Chi l’ha visto del 25 ottobre 1994 per dire di averlo notato a luglio, sul treno Bologna-Torino e di aver parlato con lui. Anche questo mi pare di dubbia attendibilità.

Il giorno 3 luglio, intanto, 36 ore dopo la scomparsa, le chiavi di casa e dell’auto di Adinolfi vengono ritrovate nella buca delle lettere del condomino della mamma Giovanna, in via Slapater, dove però nessuno ricorda di aver visto il giudice il giorno prima e dove, stranamente, nessuno ha visto chi ha portato le chiavi. Questi pochi gesti, alcuni dei quali strani, come l’invio del vaglia alla moglie, il tragitto sull’autobus n.4 o l’avvistamento sul treno, potrebbero essere messaggi, tentativi di seminare qualcuno, grida di aiuto, segnali da decifrare. Nessun inquirente riesce però a svelare il mistero della scomparsa del magistrato.

Un mistero che dura da 30 anni

Il magistrato romano è scomparso il 2 luglio 1994 e da allora e per i 30 anni successivi, la moglie Nicoletta e i figli Giovanna e Lorenzo, non hanno mai più avuto alcuna notizia di lui. Nel mezzo ci sono state inchieste della magistratura e ricerche, testimonianza reticenti e ipotesi tutt’altro che rassicuranti che includono la Banda della Magliana e il delicato lavoro che Paolo Adinolfi svolgeva. Quando scompare, Adinolfi è un giudice della Corte d’Appello in servizio da venti giorni, ma è nella sua vita precedente, quella di magistrato alla Sezione Fallimentare, che si affastellano ombre e segreti. Nella sua posizione di osservazione sulle sorti delle aziende che a Roma e in Italia facevano gli interessi di tanti, e sui loro fallimenti, che che la moglie e i figli hanno visto la possibile ragione di questo mistero che dura da 30 anni.

Si sentiva spiato e temeva per la propria incolumità

Da una ricostruzione dei fatti presso il Tribunale di Roma risulta che il magistrato abbia trattato molte cause importanti. Il magistrato Giacomo De Tommaso, tempo addietro, avrebbe raccolto le confidenze e i timori di Adinolfi di essere seguito e spiato.

Inoltre è emerso che Adinolfi aveva chiesto un importante appuntamento con il Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano Carlo Nocerino, per la settimana successiva a quella della scomparsa. Adinolfi voleva riferire particolari importanti legati a cause scottanti.

Nello Speciale Chi l’ha Visto? del 30 giugno 1995, il Parroco di S. Valentino ha riferito di alcune telefonate anonime che parlavano di un assassinio del magistrato. Già nella trasmissione del 25 ottobre 1994 era giunta una telefonata anonima che annunciava la morte di Adinolfi, ma anche allora la notizia non aveva avuto alcun riscontro.

Il senso di ostilità dei colleghi per il suo garantismo lo inducono a chiedere il trasferimento per salvarsi

In tutti questi anni è chiaro che s’è pensato che qualcuno abbia voluto mettere a tacere quello che il magistrato sapeva e poteva rivelare su affari poco puliti, sui quali aveva indagato. Egli stesso è stato testimone della caduta di alcuni colossi finanziari quando era alla Fallimentare. Nel 1992 si era occupato del crac della Fiscom, società attorno alla quale ruotavano figure dei Servizi Segreti e della malavita organizzata. Nel giugno decreta il fallimento della finanziaria Fiscom, ma il provvedimento viene stranamente revocato a sua insaputa un mese dopo, mentre lui è in ferie, dai suoi stessi colleghi della Fallimentare. Il trasferimento alla Corte d’Appello del 1994 nasce come conseguenza di questa indagine.  

Constatato “il crescente senso di ostilità di alcuni colleghi” dovuto al suo essere “profondamente garantista e legalitario” come ha spiegato poi il figlio Lorenzo, che ha ricostruito quegli anni tramite un accanito studio delle carte, rompe gli indugi e fa richiesta di trasferimento. Il passaggio dalla Sezione fallimentare alla Corte d’appello diventa operativo circa due anni dopo, giusto un mese prima della sparizione.

Ha notizie importanti per il Pm Nocerino sul crac dell’Ambra Assicurazioni

Paolo Adinolfi si occupa di fascicoli delicati, alcuni dei quali intercettano interessi di personaggi della Banda della Magliana, come Ernesto Diotallevi ed Enrico Nicoletti, il cassiere della organizzazione criminale. Per molto tempo s’è pensato che che Adinolfi fosse sepolto sotto la villa che un tempo era appartenuta proprio a Nicoletti. Assai delicata era anche la questione della Ambra assicurazioni, per cui pochi giorni prima di sparire, Adinolfi aveva contattato al telefono il Pm di Milano, Carlo Nocerino, titolare dell’inchiesta per bancarotta, offrendosi di offrire “importanti notizie” di sicuro profilo penale. Questo è stato considerato uno dei possibili moventi della sua sparizione.

L’inchiesta per la scomparsa di Paolo Adinolfi è stata, forse troppo frettolosamente, definitivamente archiviata, nell’ottobre del 2003, nonostante anche gli inquirenti fossero convinti dell’ipotesi delittuosa e da allora la famiglia non si dà pace. Nella finanza nera, nell’oscuro intreccio di interessi politici e criminali di quei tempi, secondo i figli e la moglie del giudice, ci sarebbe la chiave del giallo. E poi c’è sempre la lettera che Adinolfi aveva lasciato alla moglie, da leggere solo dopo la sua morte. Una specie di “testamento spirituale” di chi sa di essere entrato nel mirino di chi non ha scrupoli e sa bene che non sarà facile uscirne vivo.

Le indagini partirono in ritardo e si diressero dalla parte sbagliata

Per il giornalista d’inchiesta Fabrizio Peronaci, del Corriere della Sera, Adinolfi era un “magistrato che dava fastidio”. Di lui si sono perse completamente le tracce, come fosse stato risucchiato dal nulla. Non si pensò subito al peggio. Il figlio Lorenzo lo ha raccontato in una intervista a VignaClarablog.it: “All’inizio mia madre, mia sorella e io abbiamo pensato ad un malore, un colpo di calore che avrebbe potuto provocare uno sbalzo di pressione e magari un’amnesia. Prendeva delle medicine, non abbiamo pensato subito a qualcosa di brutto, ma in ogni caso avrebbero dovuto intensificare le ricerche … ma man mano che le ore passavano divenne chiaro che non si trattava di nulla di tutto ciò …”

Quasi certamente si perse del tempo. Le ricerche furono avviate solo dopo 24 ore e intensificate addirittura dopo due giorni. Il lunedì mattina la notizia finì su tutte le prime pagine dei giornali. Si concentrarono sugli ultimi spostamenti del magistrato, dalla sua casa di Via della Farnesina ai quartieri Prati e Clodio fino ai Parioli, residenza della madre.

“La verità è nelle sue inchieste”

La verità era da ricercare nel suo lavoro; è per questo che vorrei che si continuasse a cercare, in giro, nelle carceri, perché c’è ancora qualcuno che sa e che non ha mai parlato. Sono certo, certissimo, che ci siano ancora tante persone che ventisei (oggi 30 n.d.r.) anni fa non dissero la verità e che continuano a mentire” – ha raccontato ancora Lorenzo Adinolfi.

La Direzione Investigativa Antimafia cominciò a investigare solo dopo la riapertura delle indagini, con due anni di ritardo quindi, perché fino a quel momento la pista battuta era quella dell’allontanamento volontario. Non credevo ci avrebbero lasciati soli, mi aspettavo dai colleghi magistrati di papà tutto un altro supporto che invece non c’è mai stato. Nei giorni seguenti la scomparsa diedero tutti la stessa versione, sembrava un copia e incolla”.

Nelle parole della figlia un’accusa soprattutto ai colleghi del padre

La figlia Giovanna, avvocato civilista, lasciando una intervista al Corriere della Sera ha avuto parole molto dure e anche molto chiare su chi siano stati i nemici del magistrato Adinolfi: “Mio padre è stato un giudice della Repubblica Italiana, come i padri di Tobagi e Calabresi e di anti altri, è uscito per andare a lavorare e come questi padri non è mai tornato a casa. A differenza loro però non ha mai avuto un funerale. I suoi nemici non erano aguzzini barbuti e armati, erano colleghi, avvocati, politici. Era la maledetta mafia, camorra, Banda della Magliana che negli anni ’80 e ’90 era infiltrata nel Tribunale di Roma, oramai lo sappiamo tutti.”

“Quando papà non è tornato a casa lo Stato non ha fatto nulla … ci hanno detto di accontentarci, che era stato fatto il possibile. Oggi dopo 30 anni non abbiamo speranze e come ci suggerì uno dei giudici che (non) indagò all’epoca, non ci resta che sperare nella pietà di chi ha ucciso Paolo Adinolfi e implorarlo di farci sapere dov’è. Vogliamo solo portargli un fiore”.

Un libro rivela che il magistrato era spiato dai servizi segreti

Grazie a un libro, La scomparsa di Adinolfi (Editore Castelvecchi), il caso è tornato a far rumore. I due autori: il giornalista Alvaro Fiorucci e l’investigatore della procura di Perugia Raffaele Guadagno, hanno avuto il merito di riportare questa storia alla luce del sole, non senza difficoltà. Il libro svela molte coincidenze che riguardano il lavoro dei servizi segreti in merito alla vita e all’attività del magistrato. In pratica lo Stato spia la Magistratura attraverso i servizi segreti.

La cosa lascia interdetti ma solo così si spiegano tante incongruenze anche alla luce della politica attuale. Son risultati agenti del Sisde gli inquilini cui Adinolfi aveva affittato una casetta che aveva a Manziana. Il contratto di affitto viene firmato da Vincenzo Fenili, che si presenta come pilota Alitalia ma è una copertura. Il suo nome in codice è Kasper ed è un agente segreto ex carabiniere o, come lui stesso si definisce, un contractor del Ros, arruolato giovanissimo in Gladio.

La casa per altro è lontana sia da Fiumicino che da Ciampino e vicina invece alle basi militari di Furbara e Vigna di Valle. Fenilli convive con una fotografa, Karie Hamilton, americana, che poi si scopre essere una spia del Sismi, con accesso a basi militari Nato.

Intorno al magistrato c’erano più spie che collaboratori

Nel 1992 Fenilli lascia la casa di Manziana ma presenta ad Adinolfi un’amica: Marzia Petaccia. La donna si rivela impiegata della Presidenza del Consiglio, ma anche questa è una copertura, lavora per il Sisde, il servizio segreto civile. La donna venne poi implicata nel tentato golpe di Saxa Rubra del 1994, quando degli esaltati volevano occupare la Rai.

Anche la casa di Roma, in via della Farnesina era sotto osservazione. Il portiere del condominio era un ex carabiniere. Poco dopo la scomparsa del giudice venne alla luce che sottraeva parte della posta degli inquilini, in particolare quella di Adinolfi. Lo rivelò un investigatore della Dia. Nel luglio 1996 poi, quando il caso stava per essere riaperto, un’agenzia di stampa la Publicondor, pubblica un articolo dal titolo: “Caso Adinolfi: il giudice fu Sisdemato?”. Fondatore della Publicondor è Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia Nazionale, formazione di estrema destra, notoriamente vicina agli ambienti diciamo opachi dei servizi segreti di quegli anni.

In questo articolo vengono citati alcuni dei fallimenti eccellenti trattati da Adinolfi, evidenziando in particolare quelli relativi a società di copertura dei servizi. Si parla del crack dell’Ambra assicurazioni (200 miliardi di lire di passivo) e della Fiscom Finanziaria. Ma non solo: “Questi retroscena del caso Adinolfi – si legge – li avrebbe rivelati ai giudici nelle scorse settimane Francesco Elmo, faccendiere siciliano, a suo dire in confidenza con il colonnello del Sismi Mario Ferraro. Anche lui sistemato per le feste? Funebri, naturalmente”. Viene trovato impiccato a un termosifone con i piedi che toccano terra.

Una rete ingarbugliata di malaffari, traffici illeciti, omicidi avvolge quegli anni

Qui gli intrecci si complicano e diventano una vera spy story che ci collega alla strage della Moby Prince (10.4.1991) e all’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (20.3.1994) in Somalia, dove indagavano sul traffico di armi. È questo Elmo che tiene le fila di una serie di disastri e di faccende, è lui che è al centro di un traffico internazionale di armi, fenomeno chiave per capire la politica estera italiana di questi anni, e che grazie a delle dichiarazioni consente di riaprire le indagini sulla scomparsa del magistrato Adinolfi. Probabilmente sequestrato dai banditi della Magliana.

Ma ancora una volta ci sarà una mano che mette a tacere ogni cosa, prima che vengano alla luce i particolari di cui parlava la figlia del magistrato. Qui ci fermiamo e vi rimandiamo al libro di Fiorucci e Guadagno, che narra questi intrighi di cui è avvolta la politica nazionale e internazionale e che spiegano perché in Italia le cose vadano come vanno.