Roma, La terrazza delle Arti chiude con “Max Giusti”
Chiude SuperMax che esprime soddisfazione ed ottimismo per la professionalità e la giovane età di coloro che hanno organizzato la manifestazione, un’opportunità per il quartiere da preservare e rilanciare con rinnovato entusiasmo
Sabato 19 settembre 2015, nella cornice della terrazza del Palazzo dei Congressi all’Eur, il comico romano Max Giusti con i suoi “Personaggi” ha chiuso la seconda edizione della rassegna vacanziera “La terrazza delle arti” concludendo con una performance straordinaria da sold out anche il suo tour estivo. L’attore, fra i più amati ed apprezzati dal pubblico, ha deliziato la platea contravvenendo alle aspettative di molti anche addetti ai lavori che si attendevano la riproposizione dei cavalli di battaglia tratti da un repertorio inesauribile composto di imitazioni travolgenti di volti noti e personaggi di fantasia. Il clima da ultima sera ha invece reso meno formale e scontato il copione e avvicinato ancor più Max al suo naturale approdo, ricambiato da un incontenibile affetto e da un tripudio di sacrosanti consensi celebrati da una standing ovation finale. L’ingresso sul palco è introdotto da un brano, ‘Cycle’, magistralmente eseguito dalla superba voce di Sarah Jane Olog e da lei presentato inedito alcuni mesi fa a ‘The Voice’. L’accompagnamento è della SuperMax band composta appunto oltre che dalla splendida ugola solista dal timbro soul, da Salvatore Leggieri, Luca Casagrande, Stefano Scoarughi e dal maestro Vittorio Iué.
Max esordisce dando subito del tu al suo pubblico e interpretando il proprio ‘cabaret brechtiano’, avanguardia d’altri tempi, il cui prologo è: “Io ce l’avevo ‘na bella Balilla foderata de pelle d’anguilla” con un viaggio idealmusicale lungo lo stivale in un vernacolo affettuosamente irriverente, dal veneto al berlusconese, al romagnolo, al toscano di Benigni corredato del tormentone su Dante, al marchigiano familiare, e quindi giù a (de)cantare il napoletano, il pugliese banfiano, il calabrese asmatico, il sardo da intenditori (impressionante lo scioglilingua di vocaboli strafalcionati in sequenza), per chiudere con il siciliano del Padrino. Dai primi sintomi è già il mattatore che ti aspetti, simpatia innata, carica di adrenalina contagiosa, straripante improvvisazione caricaturale senza briglie. Marca il territorio da par suo. Duetta amabilmente col pubblico e i luoghi di vacanza sono l’argomento di attualità che va esplorato e le malcapitate signore campionate non si sottraggono all’inchiesta. New York e Berlino per le più ’trasgressive’ e dei quartieri alti in un periodo di spending review che non risparmia i soliti noti dirottati su Montecatini o in lista per la visita parenti o mezziparenti non meglio identificati.
E a Tagliacozzo ogni romano ha un consanguineo più o meno originale. Il romano di borgata da sempre stanziale rosica e si gode il panorama. L’EUR è il quartiere residenziale che accoglie la kermesse e potrebbe anche essere la destinazione di un progetto a luci rosse che foraggerebbe un indotto smisurato smascherando abitudini e pruderies nostrane sapientemente rinnegate. ‘Mo’ ce riconoscono’ è un tam tam che avanza come la candidatura Marrazzo. In questo show c’è tanta nostalgia e i ’Personaggi’ sono autentici e veraci. C’è soprattutto il ritorno alle origini, i ricordi della propria infanzia, i genitori all’antica, il papà burbero e brontolone e la mamma teneramente complice, i figli immaturi, i conflitti generazionali di sempre. La prole in adolescenza che abbiamo nutrito, al momento non è esattamente come ce la siamo prefigurata. Un bambino vivace negli anni ’70 andava in terapia alla sala gessi del CTO e il committente incassava unanime riconoscimento; l’omosessualità di un figlio era condizione infamante e disconosciuta. Oggi un figlio ‘esuberante’ e tossico manda in terapia psicanalitica i genitori e se poi ha il vizietto, si tratta di un dettaglio trascurabile purché giochi a pallone come Totti. I bambini prodigio andavano allo Zecchino d’oro, mentre Mago Zurlì oggi ha le sembianze di Maria De Filippi. E’ l’evoluzione della specie. Con il contributo dell’autore Giuliano Rinaldi è quindi la volta dell’esibizione surreale di Patrizio Cantamore, aspirante cantante senza qualità ma dalla sensibilità patologica che diviene identificazione ed emulazione delle situazioni estreme.
E’ la parodia di un ragazzo smidollato dai contrasti forti, alla ricerca di un facile successo; la sua cinica e criptica ‘Pensi solo ai soldi’ rivela un pentimento tardivo ma solo per essersi accorto che la pensione scippata alla nonna era la minima. La macchietta del padre che spaventa con il suo vocione le apine che volteggiano sulla culla di Massimino e decidono di tornare al negozio della Chicco fa il paio con le domeniche d’altri tempi al mare. Ricompone teneramente il quadretto di famiglia a lui tanto caro. L’idioma paterno è inequivocabilmente romanesco ma si vena di toni gutturali e aspirate proprie del calabrese fino ad arrivare all’arabo al culmine dell’agitazione in esternazioni fuori controllo. Quel ‘Quando torniamo a casa facciamo i conti’ ha attraversato l’infanzia senza sconti e le ‘cinquine’ paterne sono state filtrate, rapportate all’epoca e rese salutari. E’ stato un buon padre, sottolinea amabilmente il buon Max, aveva la pazienza di un’orca assassina, non dimenticava le mie marachelle, guidava la 126 con la sinistra e con la mano destra ’menava come un fabbro’. Ce n’è per tutti e anche Max non dimentica e non trascura la disinvoltura di mano che sgomenta il paese incredulo: il cioccolato che da sempre allieta le merende dei nostri figli non è Novi, è…Paoli, presidente Siae che in Svizzera è di casa. I nuovi italiani e razzisti insospettati, ristoratori tuttofare, sono gli egiziani, improvvisatisi romani per convenienza più che per convinzione e fautori inverosimili, se non della purezza di linguaggio, di quella di pensiero contro ogni alta intrusione extracomunitaria. Gestiscono dal nulla la quasi totalità delle frutterie romane, loro, ‘i Leoni del deserto’, ‘le Sfingi della frutta’, che provengono da un territorio per il 98% desertico. Ma questa è serata autobiografica e i ricordi sono in prima fila.
Per lui, ragazzo cresciuto al numero 190 di via del Trullo, la Magliana di trent’anni fa era già un ambito socialmente spendibile, nei primi corteggiamenti in esterna anche le ragazze di Monteverde avvertivano puzza di case popolari, la 126 con stereo che spandeva musica metallara era un marchio indelebile, l’approccio si esauriva sul nascere e mortificava gli ormoni. L’estate da bambino iniziava con levatacce alle quattro e mezza di mattina destinazione Fiumicino. Letteralmente ‘vestito da mare’, sandaletto che tracciava il piede per l’intera stagione, pantaloncino bicolore acrilico, canottiera di cotone a costine, cappelletto con visiera parasole e denominazione dello smorzo di laterizi preferito. Max e famiglia raggiungevano la spiaggia libera di Fiumicino alle prime luci dell’alba. Come compagni i gabbiani, gli unici a popolare le dune. Anche il mare non era pronto, lo avrebbero montato alle sette, mezz’ora dopo. Dalla 126, il cubo della morte, veniva scaricata di tutto: il tavolinetto picnic con 12 sedie, che si piazzava sempre dietro una 128, la parmigiana, le fettine panate, i pomodori al riso. Per tutti l’ora del bagno scattava alle undici e dovevano essere trascorse tre ore dalla colazione. Era un arrembaggio collettivo e appena suonata la carica, il lembo di mare tra il bagnasciuga e la boa diventava un formicaio.
Dopo la boa, la buca inaccessibile, off limits. Il ritorno dal mare per Max in attesa di punizione paterna era un classico come il ricordo del telefono di onice frantumato da una pallonata. Anch’esso fa ormai parte dell’aneddotica del grande comico. Al rientro, intorno alle 19, i programmi televisivi per ragazzi erano Furia, Happy day, Ufo Robot e Rémy. Quest’ultimo, particolarmente triste e mai avvincente ma al contrario stimolo alla depressione, è la risposta che Max dà al fenomeno dilagante della dipendenza da eroina in quegli anni…. Furia evoca il fantasma di Mal, ex cantante inglese dei Primitives che da sessant’anni in Italia non ha ancora imparato la nostra lingua. Famoso da noi per un’unica canzone, afferma Max insieme al pubblico, forse un po’ ingenerosamente. Max stimola la platea e, ‘blandendo’ un finto calo di concentrazione, intona ‘Mira il tuo popolo’ e ‘Osanna nell’alto dei cieli’ trovando un buon seguito di adepti. E’ il pretesto per un cenno al bisogno di nuove vocazioni e ai sacerdoti provenienti anche da Guinea Bissau, di cui le vecchine devote ammirano la presenza, più che la chiarezza dell’omelia. E ancora quelle lettere di San Paolo ai Corinzi, illustri conosciuti per il capitello, oltre che le per missive recapitate. Il prete detective ‘Don Matteo’ alias Terence Hill è il solo ospite della scuderia che compare fra i ‘Personaggi’ e il gradimento è alle stelle. Conteso fra Gubbio e Spoleto, munito della immancabile bicicletta congiunta all’inossidabile flemma e nonostante l’incomprensibile espressione biascicata che inibirebbe qualsiasi interlocutore, risolve casi che coinvolgono gli Stati maggiori al completo di ogni Corpo e Arma. Infine uno slancio verso la condizione del separato cinquantenne che ha perso tutto e torna da mamma che lo consola con il suo ’Te l’avevo detto, io!’ e con proposte demenziali.
Lui si riappropria della cameretta dei puffi rimasta senza tempo, con il mappamondo, la penna Aurora, L’Enciclopedia dei 15 che nel frattempo sono diminuiti, il post degli Spandau Ballet. Nell’armadio ci sono sempre i Camperos e la cinta di El Charro. Il ritorno in discoteca è da riporre nell’armadio con tutta la naftalina, patetico e ingombrante, come un vissuto recente che fatichi a rimuovere. E’ stato un Max Giusti con poca voce dichiarata e cortisone nelle vene, una vitalità da sballo, che ha divertito divertendosi senza sosta, oltre due ore di grande intrattenimento. La tournée di Max si è conclusa. Uno spettacolo di comicità brillante allo stato puro, lieve e senza risparmio, scanzonato e sdrammatizzante, bonario e mai irriverente, insomma, alla SuperMax.
Il ringraziamento è per la Produzione e per il meraviglioso gruppo di strumentisti e la splendida vocalist Sarah Jane Olog. Un abbraccio al quartiere che merita di respirare queste atmosfere, di riappropriarsi degli spazi vitali e di riscoprire la vocazione alla cultura in tutte le sue forme. Il ringraziamento va a coloro che hanno condiviso questa avventura insieme a Max Giusti e agli altri artisti impegnati: gli imprenditori Daniele Aprile e Stefano Spezia e i soci Gianluca Dettorre e Paolo Pompei, il Direttore Artistico Alberto Tordi, L’Ufficio Stampa nella persona di Carola Assumma. Sono in piedi sul palco quando Daniele Aprile prende la parola illustrando tre mesi di successi alle Terrazze resi possibili da proposte di spettacoli di ogni tipo, dalla danza, al teatro, al cabaret, e poi cinema, cortometraggi. Sono quindi invitati Plinio Malucchi direttore di ‘Roma Convention Group’ e Andrea Santoro, Presidente del Municipio. L’intervento estemporaneo di Max Giusti – Guido Vespa che chiede l’elicottero con lancio di petali dall’alto alla Casamonica offre all’ aspetto ufficiale dell’evento una dimensione scherzosa e festaiola. Malucchi ribadisce che si sono sviluppati i presupposti per aumentare l’offerta commerciale relativa a spettacoli e convention. L’ inaugurazione sei anni fa dell’Auditorium Capitalis all’interno dei Congressi con la partecipazione di Max come testimonial è stato l’ inizio di un fortunato percorso artistico e questa seconda stagione della rassegna curata dai quattro rappresentanti dell’Organizzazione qui presenti, è un’ulteriore spinta nella direzione auspicata. La sfida è appena agli inizi. Promotore del Protocollo d’Intesa che ha consentito le iniziative culturali all’interno dell’EUR è Andrea Santoro che conferma il bilancio esaltante di un progetto largamente condiviso con l’apertura di spazi responsabilmente estesi a tutti, un vanto per la città di Roma dove si possono far bene le cose allo stesso modo di capitali più abituate alla ‘normalità’.
Sebastiano Biancheri