Roma Montesacro, si riapre la storia del bambino 12enne ucciso a casa da uno sconosciuto
Cristiano Aprile aveva solo 12 anni quando dieci pugnalate lo hanno ucciso, nel luogo in cui ognuno dovrebbe essere più sicuro, cioè a casa propria. Chi lo uccise e perché?
Cristiano Aprile aveva solo 12 anni quando dieci pugnalate lo hanno ucciso il 24 febbraio 1987, nel luogo in cui ognuno dovrebbe essere più sicuro, cioè a casa propria. Chi lo uccise e perché? Dopo 37 anni alcuni elementi fanno emergere nuovi interrogativi per riaprire il caso.
Cristiano aveva appena 12 anni quando fu ucciso a casa
Assassinare un dodicenne a casa sua non è una cosa che capita spesso. Poi da uno aggressore sconosciuto. Che colpe aveva? Probabilmente nessuna. Il padre Valerio Aprile, insegnante di elettronica presso l’Istituto Professionale Galilei di Roma disse una frase sibillina mentre era in auto con il vice ispettore di Polizia: “Povero Cristiano, mi dispiace che ci sia andato di mezzo lui che non c’entrava nulla.” Che voleva dire? Il caso è rimasto irrisolto ma sembra strano che il padre non sappia le ragioni dell’omicidio assurdo, se si riferisce al fatto che il figlio non c’entrava niente.
Maurizio Barca, oggi avvocato penalista, nel 1987 indagò insieme ai colleghi della squadra mobile sul delitto, ancora irrisolto, avvenuto nel quartiere Montesacro. Dopo circa 37 anni alcuni elementi fanno emergere diversi interrogativi
I Cold Case (casi irrisolti) non vengono mai del tutto abbandonati
La famiglia Aprile viveva in via Levanna 35, a Montesacro. Di recente è stato ospite di una piattaforma social che si occupa di cold case “Delitti irrisolti – le analisi”. I due blogger, Riccardo Delfino e Igor Lampugnani, lo hanno cercato e lui ha risposto volentieri:
“La storia ci insegna che anche casi molto vecchi – spiega l’ex poliziotto a Repubblicail 1° dicembre del 2023– possono essere riaperti dopo un’attenta rilettura delle carte. Ci sono poi alcuni elementi rimasti impressi nella mia mente che potrebbero essere d’interesse della Procura e che sono pronto a fornire. Ricordiamoci che a essere ucciso è stato un bambino innocente”. E non c’è solo quella strane frase del padre, ma anche alcune ombre sull’identikit di un ragazzo mai ritrovato. Il presunto killer, quasi un fantasma.
La scena dell’aggressione e la morte di Cristiano
Sono le 8 del mattino del 24 febbraio 1987, in Via Levanna 35, la giornata è cominciata come tutte le altre in casa Aprile. Valerio, il padre, è già uscito per recarsi a scuola dove insegna. Patrizio, il figlio più grande, ha 17 anni ed è andato a scuola anche lui, nonostante si paventi uno sciopero. In casa ci sono la madre Fiorella Baroncelli di 39 anni, e i due figli più piccoli: Giada di 14 e Cristiano di 12. Alle 8.30 squilla il campanello. Nessuno va ad aprire. Ma il campanello suona ancora. La signora apre la porta e si trova davanti un ragazzo che alcuni giorni prima, presentandosi come uno studente del marito, le aveva chiesto di poter prendere un libro che gli serviva, nello studio del professore. La signora commette una grave leggerezza: lo fa entrare senza problemi.
Ma una volta varcata la porta, il ragazzo si trasforma in una furia. Tira fuori un coltello e minaccia la donna, che riferirà di essere stata legata mani e piedi a una sedia. Nel legarla si scusa per aver stretto troppo la corda e per imbavagliarla usa un fazzoletto blu a pois bianchi con “odore di muffa” . Le chiede dove sono i soldi. La signora Fiorella indica la stanza dove custodisce 500.000 lire ma l’aggressore si rende conto che in casa ci sono altre persone: Giada e Cristiano. Sembra disinteressato ai soldi.
Cristiano scopre la madre legata a una sedia e poi fugge inseguito dall’assassino
A questo punto irrompe nella stanza Cristiano. “E lui chi è?” avrebbe chiesto l’intruso. Per poi scagliarsi contro il piccolo, inseguirlo e sferrargli una decina di coltellate. Un comune ladro avrebbe preso i soldi e sarebbe fuggito. Lui no. Insegue Cristiano nella sua stanza e lo colpisce mortalmente, poi sembra deciso a uccidere anche Giada, che era in bagno. La colpisce ripetutamente ma poi si ferma. Sente dei rumori. La signora sta chiedendo aiuto e grida disperata. L’assassino allora torna in salotto dove l’aveva lasciato. Si avventa su di lei, la colpisce alla testa e le procura ferite alla gola. Anche qui sbaglia. Non la finisce. Che non volesse uccidere è improbabile.
Perché tutte quelle coltellate al ragazzo? Si accorge che i vicini degli Aprile si sono allarmati. Se i vicini si fanno sentire allora sono usciti sul pianerottolo? Se l’aggressore esce rischia di sbatterci contro, eppure decide di fuggire e ci riesce, si perdono le sue tracce. Pensare che doveva essersi sporcato di sangue sugli abiti e non solo. Il sangue è sempre un elemento ben visibile. Ma nessuno lo vede.
Restano altre domande: un ladro farebbe tutto questo casino? A che pro? Prenderebbe i soldi e fuggirebbe via. Il comportamento dell’aggressore è da esaltato, è irrazionale. Ma non c’è dubbio che voleva fare del male. Colpisce, ma non uccide tutti i suoi obbiettivi. Sembrano aggressioni casuali, non programmate di un assassino per caso. Davvero voleva uccidere il ragazzo, o piuttosto fare una strage e sterminare l’intera famiglia? Di certo era al corrente dell’assenza del professore, il quale però doveva sapere qualcosa sia sull’assassino che sul movente.
L’identikit del killer: un ragazzo emaciato, magro, pallido
Il caso è su tutte le prime pagine dei giornali e dei notiziari tv. A indagare è la squadra mobile guidata da Rino Monaco. La convinzione è che l’autore della mattanza sia stato uno studente o un ex studente di Valerio Aprile. Il movente? Forse una vendetta per qualche sgarbo subìto. Per uno sgarbo vai a sterminare una intera famiglia? C’è anche una vaga idea che possa essersi trattato di un tossico o di un balordo, ma denaro e oggetti preziosi non sono stati toccati. Vengono così interrogati circa 300 giovani. Al centro di tutto c’è un identikit tracciato secondo le indicazioni dell’unica testimone oculare, la madre della vittima. Si tratta di un volto magro, emaciato, i capelli corti e degli occhiali tondi.
La descrizione della mamma di Cristiano Aprile è questa: “Un ragazzo sui 18-20 anni. Era alto, molto magro, di una magrezza innaturale. Di un colorito livido, un pallido che andava nel livido. Occhi neri, capelli nerissimi, mi sembra tagliati a spazzola. E occhiali cerchiati di scuro, ma non occhialetti alla Cavour, come erroneamente riportato da qualche giornale. Occhiali normali, grandi, però cerchiati di scuro”.
Si stabilisce che fosse uno sconosciuto. Ma come mai uno sconosciuto conosceva gli orari della famiglia Aprile, tanto da presentarsi con la scusa del libro ben due volte, in assenza del professore? Per di più salta fuori un particolare inquietante. Durante una puntata di Telefono Giallo, condotta da Corrado Augias su RaiTre, la signora Baroncelli dice che l’assassino conosceva la sua abitudine di pregare davanti a una foto della madre defunta appesa in casa. Com’è possibile? In che occasione sarebbe emersa questa conoscenza se correva col coltello in mano nelle diverse stanze pugnalando a destra e a manca?
L’assassino si voleva vendicare. Ma di che? Fugge sporco di sangue e nessuno lo vede?
Maurizio Barca, vice ispettore della Mobile, ricorda che le indagini si indirizzarono subito verso una pista precisa: “I dirigenti della mobile hanno puntato subito su uno studente che si voleva vendicare. Ricordo che abbiamo interrogato tantissimi giovani”. Ma ci sono due elementi, secondo Barca, che oggi potrebbero far rileggere il caso in un’altra ottica e pensare a una riapertura. Elementi allora rimasti sotto traccia o nemmeno presi in considerazione. Il primo riguarda la fuga del presunto assassino. “Questo ragazzo di cui è stato fatto l’identikit, sarebbe fuggito indisturbato in una mattina di un giorno feriale, senza essere visto da nessuno. Perché abbiamo chiesto ai residenti, ai negozianti vicini. Niente. Ed è molto strano. Anche perché avrebbe dovuto essere completamente sporco di sangue, oltre a portare un impermeabile nero che avrebbe dato nell’occhio”.
La Polizia brancola nel buio. Non si seguono piste secondarie e il caso diventa complicato
Il secondo elemento è quella frase sfuggita a Valerio Aprile mentre era in auto proprio con lui e un suo collega: “Ho una buona memoria e quelle parole mi fecero drizzare le antenne. Il professore disse: “Povero Cristiano, mi dispiace che ci sia andato di mezzo lui che non c’entrava nulla”. Subito ne parlai ai miei superiori che però minimizzarono”.
Barca si domanda anche un’altra cosa: “Siamo sicuri al 100% che il killer sia uscito da quel palazzo? E perché non sono stati fatti maggiori approfondimenti sulla famiglia e su presunte questioni familiari?”. Il problema è anche che alla Mobile i casi da risolvere erano diversi e ogni giorno se ne aggiungeva uno nuovo e bisognava lavorare su tutti contemporaneamente. Non come adesso che si segue un caso fino alla fine e si lavora solo su quello, prima di prendersi carico di un altro. C’era meno personale.
Un caso che potrebbe essere riaperto in qualsiasi momento
Con il passare degli anni l’omicidio del piccolo Cristiano Aprile è sempre più avvoltoi dalla nebbia del tempo e rientra ormai nel gruppo dei casi irrisolti della Capitale. Casi che qualche volta fanno parlare di sé, magari per l’anniversario e nulla più. Nulla di nuovo è mai stato detto. Ma in questo giallo tanti, troppi elementi non tornano. Alcuni sono evidenti negli interrogatori fatti nell’immediatezza del delitto. Oggi molti protagonisti di allora sono morti. Ma qualcuno che probabilmente sa qualcosa di più su quanto accaduto in via Levanna 35 il martedì grasso del 1987 c’è. E chissà che non si faccia vivo prima o poi.