Roma Multiservizi, Tar Lazio dà ragione a Campidoglio e rigetta ricorso
Il Tar del Lazio ha giudicato “infondato nel merito”, il ricorso proposto da Roma Multiservizi Spa contro Roma Capitale
La Seconda Sezione del Tar del Lazio, riunita in camera di consiglio lo scorso 22 maggio, ha rigettato, giudicandolo "infondato nel merito", il ricorso proposto da Roma Multiservizi Spa contro Roma Capitale per l'annullamento della determina dirigenziale n. 435 dell'1 marzo 2019 con cui il Campidoglio ha disposto l'esclusione del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese composto da Multiservizi e Rekeep Spa dalla gara a doppio oggetto per la scelta del socio privato e per l'affidamento del servizio scolastico integrato di competenza di Roma Capitale.
La gara in oggetto, spiegano i magistrati nella sentenza, "costituisce la riedizione della precedente procedura, annullata dalle sentenze della sezione nn.1087, 1088 e 1089 del 2018, ben note alla parti. A seguito degli imposti approfondimenti istruttori ed in linea con i dettami delle riferite pronunce, l'amministrazione comunale ha rimodulato la gara 'a doppio oggetto' di cui si verte, delimitandone il perimetro in un unico ed omogeneo servizio (il Servizio Scolastico Integrato), qualificato 'servizio di interesse generale' ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 comma 1 del Tusp".
Unitamente alla nuova strutturazione del servizio pubblico e alla scelta del nuovo modulo organizzativo, ricordano i giudici, "l'amministrazione comunale ha parallelamente previsto la dismissione di RMS, mediante cessione a titolo oneroso da effettuarsi entro il 30 settembre del 2018, termine prorogato al 31 maggio 2021".
Ne consegue che, si legge, "come correttamente rilevato dalla difesa comunale, la disciplina di gara intendeva selezionare un socio privato che fosse 'terzo' rispetto a Roma Capitale. Non è dunque tanto in discussione la questione astratta della possibile natura mista del socio 'privato' e la previsione normativa generale, ma la possibilità di ipotizzare la facoltà dell'ente affidante, in un caso concreto peculiarmente qualificato, di non consentire (tramite una accorta regolamentazione della disciplina di gara) che il socio operativo sia partecipato dalla stessa amministrazione (seppur indirettamente) oltre una misura prudenzialmente prestabilita.
La volontà del Comune era cioè quella di delimitare inderogabilmente le quote di rischio tra amministrazione e socio operativo, non coinvolgendo l'ente, più di quanto determinato dallo stesso, nel rischio imprenditoriale, che potesse pur indirettamente gravare sul bilancio consolidato dell'ente stesso". Perciò, sottolinea la sentenza, "non si tratta di disputare in ordine al corretto intendimento della natura del socio privato di una costituenda società mista.
Deve infatti ribadirsi che ciò che rileva, nel caso concreto, è che Roma Capitale non sia partecipe del capitale di rischio oltre il 51%. Mentre, viceversa, nel caso di specie, peculiarmente caratterizzato rispetto all'astratta previsione normativa generale, la mandataria RMS (componente del RTI al 90%) è detenuta al 51% da Ama, società di proprietà al 100% di Roma Capitale, con la conseguenza che nel caso di aggiudicazione della gara in favore dell'istante, certamente, di fatto, sarebbero alterate le quote di partecipazione e soprattutto le quote di assunzione del rischio, le quali ricadrebbero in misura sproporzionata rispetto alla chiara volontà dell'amministrazione, posta a base dei provvedimenti impugnati".
La ricorrente, quindi, "non poteva non essere consapevole della volontà dell'amministrazione di non assumere un capitale di rischio, neppur indiretto, maggiore di quello prestabilito e di non voler, tanto meno, veder rientrare come componente di un RTI socio operativo proprio quella societa' pubblica da essa indirettamente detenuta che aveva determinato di dismettere".
Si aggiunga, concludono i giudici della Seconda Sezione del Tar del Lazio, "che le determinazioni comunali sono, a ben vedere, ancora più in linea con il favor per il confronto concorrenziale rispetto alla posizione perorata dalla parte istante, in quanto, altrimenti ragionando, si giungerebbe ad una forma larvata di 'in house', senza invece coinvolgere, come plausibilmente prescritto dalla legge di gara, un soggetto che fosse totalmente 'terzo' rispetto all'ente comunale". (Mgn/ Dire)