Roma, sgombero ex Penicillina. Una durezza indispensabile
Salvini twitta con l’ashtag dalleparoleaifatti. Quelli di Potere al popolo protestano. Ma la rotta del lassismo va invertita
Sgombero doveva essere, già da moltissimo tempo, e finalmente sgombero è stato. Con un’operazione che è cominciata questa mattina all’alba, il fatiscente fabbricato della ex Penicillina (al numero 1040 di via Tiburtina, al confine tra Ponte Mammolo e San Basilio) ha smesso di essere terra di nessuno e ha fatto il primo passettino sulla lunga strada che lo porterà, o prima o dopo, a un qualche tipo di recupero.
Sulla destinazione finale è giusto discutere, e chi paventa che l’area venga utilizzata per innalzare l’ennesimo centro commerciale, fa bene a dire che non si avverte il bisogno di un ulteriore ipermercato. Sullo sgombero in quanto tale, no. Non c’è nulla da eccepire. Gli occupanti andavano allontanati per il semplicissimo motivo che lì, come in tanti altri posti che versano in condizioni analoghe, non avrebbero mai dovuto esserci.
Ma il vero problema è proprio questo. È che finora si è preferito fare finta di nulla, riguardo a chi vive nella miseria e nella marginalità. A cominciare dai tantissimi che arrivano qui senza né arte né parte, tra l’illegalità dei clandestini e la pseudo regolarità dei rifugiati, non si è affrontato il nodo fondamentale: una volta che siano in Italia come campano? Di quale lavoro, o di quali espedienti? E se non hanno i denari per affittare una casa, dove andranno ad alloggiare?
Tutti quelli che hanno avallato questo stato di cose, o che l’hanno persino incentivato facendo balenare la semi certezza di un’accoglienza ‘umanitaria’, sono gli autentici responsabili degli sgomberi come quello di oggi. Non è che Salvini sia cattivo e loro siano buoni. È che loro, per atteggiarsi a solidali e benevolenti, se ne sono infischiati delle conseguenze pratiche di quella retorica insensata.
Da un lato, hanno scaricato sui cittadini gli oneri di una convivenza coatta con dei soggetti lontanissimi dai nostri valori e dalle nostre usanze. Non soltanto stranieri nel senso giuridico del termine, ma estranei in tutto. E poco o per nulla propensi ad accettare nuove regole e nuovi stili di vita, rispetto alle loro abitudini (e alle loro preferenze).
Dall’altro lato, hanno abbandonato i diseredati al loro destino. Consegnandoli a un’esistenza grama e senza opportunità di riscatto. Lasciando che sprofondassero in questa o quella zona d’ombra in cui balzano meno all’occhio: soprattutto all’occhio di chi non ha nessuna intenzione di guardare.
Ex Penicillina e altrove: a cosa serve lo sgombero
Riappropriarsi di un edificio abbandonato e pieno di senzacasa non è soltanto un atto doveroso, e semmai tardivo. È un segnale, tanto più forte se accompagnato da molti altri atti che vadano nella stessa direzione, che si manda a chi accarezza l’idea di venire in Italia senza averne diritto. E senza avere le capacità, e magari neanche la voglia, di trovarsi un’occupazione con la quale mantenersi.
Scacciare dei poveracci come quelli che si erano insediati nella ex Penicillina non è mai una bella cosa, ed è chiaro che basta un granello di identificazione per intristirsi: finire sul lastrico è un dramma in qualsiasi momento dell’anno, ma sul fare dell’inverno lo è ancora di più.
Allo stesso tempo, però, questo degrado non può rimanere ignorato. Si tratta di invertire la rotta e di tenerla saldamente nella nuova direzione, e di fare in modo che in giro per il mondo lo si sappia: o si hanno le carte in regola, o in Italia non c’è posto. L’idea di venire qui e poi di arrangiarsi in qualche modo, occupando un rudere o raggranellando qualche soldo senza lavorare, deve essere sradicata una volta per tutte: abbiamo già troppi connazionali in difficoltà, per accettare passivamente che le file degli indigenti si ingrossino.
Si scrive sgombero, si legge discontinuità. E la discontinuità, in questo caso, è benedetta: perché significa smetterla di andare storti, per tornare a procedere belli dritti.