Roma, sono troppi gli alberi che cadono in città
“Gli alberi non cadono solo per la presenza di maltempo, ma anche perché sono malati o hanno finito il loro ciclo vitale”
Nessun ferito grave l’altro giorno per un pino che si è abbattuto su due auto ferme al semaforo della Cristoforo Colombo. Perché a Roma continuano a cadere le piante? Sono malate o non c’è manutenzione?
Il grosso pino è venuto giù di schianto abbattendosi su due auto ferme al semaforo della grande arteria romana, all’altezza di viale Asia all’Eur. Era il 19 marzo e una sola persona risulta ferita non gravemente. La causa parrebbe la siccità e il caldo torrido che da qualche anno funesta le estati della Capitale. Avrebbe indebolito gli alberi oltre che aumentare il rischio di incendi e inondazioni.
Roma la città con più verde di tutte le altre capitali europee
Roma è la città europea con il più vasto patrimonio ambientale. 85mila ettari di tenute agricole che sono stati trasformati in parchi, riserve naturali, aziende per la produzione di beni agroalimentari e aree archeologiche. Tanto verde si traduce in tante piante, tra cui alberi centenari, che sono una ricchezza per la città e per la popolazione residente. Abbelliscono viali e piazze, decorano ville e giardini, forniscono ossigeno che rende più salutare l’aria urbana, inquinata da tante auto e tante caldaie da riscaldamento d’inverno e condizionatori d’aria d’estate. Non sarebbe possibile immaginare Roma senza le sue aree verdi, le sue ville e le sue piante.
Il caldo torrido li ha indeboliti, ma anche l’ambiente urbano non è il massimo per un pino
Dal 2019 anche un parassita alieno sta minacciando i circa 120.000 pini di Roma e le pinete del litorale: la cocciniglia tartaruga. Ma non è per colpa sua che cadono i pini. L’intero patrimonio verde capitolino è a rischio per via del cambiamento climatico. La siccità e il caldo torrido delle ultime stagioni hanno indebolito gli alberi ed esposto la città al rischio di incendi e inondazioni. Se da un lato la vegetazione secca favorisce il propagarsi del fuoco, dall’altro le radici delle piante svolgono una funzione drenante sul suolo e favoriscono l’infiltrazione delle piogge nel terreno. Senza di esse il terreno si indurisce, si compatta
diventa arido e impermeabile all’acqua piovana. Il suolo respinge così l’acqua anziché assorbirla, causando un aumento del deflusso superficiale. Quando arriva la pioggia, sempre più spesso in quantità abnormi, si concentra in un lasso di tempo molto breve, con precipitazioni così intense da causare lo sradicamento delle piante e la formazione di corsi d’acqua torrenziali.
Troppe le piante che cadono in città. Forse sono poco curate?
La caduta di un qualsiasi albero non può certo essere imputata alla pianta ma è da ricercare nella scarsa cura e manutenzione o anche da un utilizzo improprio.
La caduta dei pini tuttavia è un evento che si verifica troppo spesso. Ricorderete il pino caduto a pIazza Venezia il 13 luglio dell’anno passato. Un albero (non un pino) cadde a novembre in via Donna Olimpia a Monteverde uccidendo un’anziana signora. In via Flaminia, di fronte alla stazione Vigna Clara, il 23 novembre scorso, un altro pino s’è schiantato a terra senza provocare danni alle persone. Rarissimo vedere una quercia, un tiglio, un cedro abbattersi su una strada, su di una ferrovia o una autovettura come invece accade con i pini.
Ma perché i pini cadono? Il pino domestico è un albero magnifico, alto, maestoso e con un forte apparato radicale. Proprio quello che può provocare il rialzamento dell’asfalto che tanto molesta gli automobilisti. Per questa ragione a Lido di Tarquinia il sindaco ne ha fatti tagliare un centinaio di quasi un secolo di vita, tra la soddisfazione di chi guida e la protesta degli ambientalisti. Ma si potrebbero costruire strade asfaltate a prova di radice di pino. Non si fanno perché costa un po’ di più che l’asfalto normale.
L’origine del pino marittimo, domestico o di altre specie
Le varietà del pino sono diverse. Da noi sono diffusi il Pino domestico o Pino da pinoli che sa di resina. Ha origini nel mediterraneo nord occidentale e venne portato sulle coste italiane da Etruschi e Romani. Il pino marittimo (Pinus pinaster) è un albero misconosciuto, sin dal nome che gli è stato sottratto dal pino domestico (Pinus pinea). I due alberi si somigliano moltissimo sia da giovani che da maturi, mentre il domestico in età intermedia si può confondere col pino nero (Pinus nigra). Il quale, fra l’altro, assomiglia molto al pino di Scozia o pino rosso (Pinus sylvestris). Insomma, si deve diffidare del senso comune che tende a fare di tutti i pini un solo fascio.
E a proposito di fascio, fu molto usato nel Ventennio in quanto simbolo di “italianità”. Un tema che ora ritorna maldestramente interpretata. Non esiste l’italianità per la popolazione di un Paese attraversato nei secoli da etnie tanto diverse e anche per la flora è successa la stessa cosa. Siamo una penisola lanciate nel Mediterraneo, facile che da noi arrivi di tutto in termini di natura. Non ci sarebbero tante biodiversità nel nostro paese e non tutti i pini sono piante endemiche. Quando vennero impiantati i pini marittimi nel nostro paese c’era una modesta rete stradale e ancora non era iniziato il consumo seriale di territorio. Oggi a Roma se ne contano più di 120.000, di cui il 10% utilizzati per le alberature stradali, con le conseguenti problematiche sull’asfalto.
Il pino è un albero non adatto alle banchine stradali, dovrebbe stare nelle pinete
Su VignaClarablog.it in un articolo del 27.11.2018 “Perché a Roma (e non solo) i pini cadono” di Francesco Gargaglia si riportava la dichiarazione di Leonardo Perronace, Presidente uscente dell’ordine dei Periti agrari di Roma e Provincia, con esperienza ventennale sul campo. In occasione della morte, nel 2016, di due persone schiacciate da un pino ad Ardea rilasciò un’intervista al quotidiano il Messaggero, nella quale, tra l’altro, dichiarò:
“Gli alberi non cadono semplicemente per la presenza di un evento eccezionale come raffiche di vento a 70/80 km l’ora o la pioggia insistente ma perché sono malati o hanno finito il loro ciclo vitale. In molti casi basterebbe solo vedere le fotografie di quelle piante per rendersi conto che la loro caduta è imminente e andrebbe evitata. Come? Con una ricognizione costante, una giusta cura contro le malattie, le potature al momento giusto e, se necessario, anche l’abbattimento dell’albero per evitare più gravi conseguenze. Se il fusto o le radici presentano delle carie, manca la resistenza alla spinta del vento ed il crollo diventa imminente”.
Perronace prosegue: “Il punto è che il pino è un albero abituato a stare nel bosco, con più esemplari che poggiano l’uno contro l’altro. Lo ritengo poco indicato alle banchine stradali perchè quando invecchia è frequente che perda il fittone centrale e si regga solo sulle radici superficiali che possono essere deteriorate dai lavori di asfaltatura, da quelli fognari o per la posa delle varie condotte di servizio”.
In città ci dovrebbero stare piante più robuste e resistenti come i cipressi e i bagolari, che non danno problema con le radici
Il Pino domestico è un albero imponente che può raggiungere i 20-30 metri di altezza con un tronco diritto che ramifica solo nel terzo superiore. Ormai tipico elemento del paesaggio mediterraneo, predilige i climi miti, i terreni sabbiosi, asciutti e ben drenati (una condizione che a Roma, il cui sottosuolo spesso è impregnato d’acqua non è facile da riscontrare) e teme le gelate. Essendo un albero che ama il sole pieno, prospera nei parchi o nelle località come Castelfusano.
“Il problema nasce” dice Fulco Pratesi, Presidente Onorario di WWF Italia “quando la pianta non cresce nel luogo dov’è nata ma invece viene trapiantata dopo una prima crescita in un vivaio. Ciò comporta l’amputazione delle radici orizzontali, la futura difficoltà a irrobustirsi. Molti pini cadono perché l’altezza dell’albero è eccessiva rispetto alla modesta espansione delle radici». Anche per Pratesi i pini domestici mal si adattano a Roma: “I pini sono inadatti a troppi terreni romani. Sarebbe più saggio sostituirli, in prospettiva, con i cipressi o con i bagolari, entrambi molto robusti e resistenti, privi del problema legato alle radici”.
Non tutti i romani amano il verde in città
Non tutti i romani sono così amanti delle piante. Abbiamo visto cosa è successo ai pini del Lido di Tarquinia e di fronte al rischio che una pianta possa cadere c’è chi spinge per l’abbattimento senza sostituzione. Sono coloro che amano le periferie prive di verde, tutte cemento con le strade asfaltate senza dossi. Spesso si tagliano piante sane e senza un vero motivo, perché si potrebbero trovare rimedi diversi da quello estremo. Quando cadde il pino della via Flaminia nuova, l’anno scorso, pochi hanno fatto presente che gli venne gettato cemento bollente sulle radici.
Spesso ci sono alberi che non vengono potati o lo si fa dopo decenni e quando lo si fa si deturpano eliminando tutti i rami minori. Ma sembra che per le esigenze del cemento, della velocità e per il fastidio di mantenere sane le piante, non ci sia più posto per gli alberi. Tutto sembra si faccia per risparmiare o per fare la cresta sui lavori da fare. Insomma pare sia il profitto a guidare le amministrazioni non il bene pubblico. Se vale per le aziende private non dovrebbe essere così per quelle pubbliche come le amministrazioni comunali.
Creare una app per verificare lo stato di salute delle piante e coinvolgere i cittadini
Abbattere gli alberi è un errore, a meno che non siano un pericolo imminente, perché sono un elemento vitale ed estetico per la città. Andrebbero curati, monitorati continuamente e sottoposti alle cure del caso, per il bene di tutti. Oppure spostati e sostituiti con piante più idonee.
Sempre Perronace suggeriva nel 2016 una possibile soluzione per le alberature di Roma: “Basterebbe creare una banca dati sui singoli alberi, metterla in rete e facilitare i singoli cittadini, attraverso l’uso dello smartphone e di una specifica app. a verificare periodicamente lo stato di salute di quella pianta”. Una soluzione alla portata del Comune ma che in tanti anni non è stata attuata. Coinvolgere la cittadinanza non è mai sbagliato perché aumenta il senso civico dei cittadini e fa bene alla partecipazione alla cosa pubblica, rendendoli responsabilizzati di quello che accade in città.