Roma terreno fertile per il business dell’usura
28 mila commercianti e 3 miliardi di euro l’anno: ecco i dati dell’usura nella Capitale
28 mila commercianti e 3 miliardi di euro l'anno, queste le cifre sull'usura a Roma per l'anno 2013. Se poi si pensa che quei 28 mila commercianti rappresentano il 35% delle attività economiche del Lazio, allora c'è da preoccuparsi seriamente.
Clan di zingari, lupi solitari, Camorra e ‘Ndrangheta attanagliano la Capitale con lo strozzinaggio a piccoli e medi imprenditori, commercianti e privati vari (qui la testimonianza di un commerciante), che trovando le porte degli istituti di credito chiuse non hanno altra scelta che rivolgersi ai "cravattari", con tutto ciò che questo comporta. Secondo Libera Roma, inoltre, l'Urbe detiene poi il record dei tassi d'interesse più alti d'Italia: da 1.500% fino al 4.552% annuo. Sono tassi d'interesse così alti che se non riguardassero l'usura sarebbe da riderci sopra relegandoli ad una barzelletta di cattivo gusto. È comunque evidente come l'usuraio, applicando queste percentuali, abbia come unico scopo quello di vincolare il debitore ad un pagamento perpetuo e continuo vita natural durante, e che sostanzialmente estinguere il debito sia letteralmente – e volutamente – impossibile.
Per fortuna le segnalazioni dei cittadini nella morsa dell'usura salgono, non c'è dubbio. Il punto è che questa piaga rimane comunque una realtà endemica della nostra città, così come è sempre stato. Come per la maggior parte dei problemi sociali e politici, anche l'usura assume la classica forma di un'idra, là dove, nonostante il numero di segnalazioni fatte, essa rinasce, ricresce e si fortifica di giorno in giorno. Infatti, specialmente per quel tipo di usura mafiosa, sia essa proveniente da realtà esterne al Lazio (Campania e Calabria) oppure native della zona (clan di rom), la "decapitazione" di alcuni usurai porta a pochi risultati.
Il problema è infatti arginato, ma non risolto, giacché le fila dei mafiosi, al venire sfoltite dalle forze dell'ordine, vengono quasi istantaneamente rinfoltite da altri individui. Il denaro che questi usurai perdono, e gli uomini a cui devono rinunciare causa arresto, sono il loro "rischio di mercato", che più o meno alto a seconda del periodo rappresenta comunque un rischio abbastanza contenuto rispetto ai guadagni ottenuti. Sono come degli insetti in cerca di cibo in un parco giochi: per quanti di loro vengano schiacciati, il bottino riportato dai sopravvissuti rappresenterà sempre un guadagno – di gran lunga – maggiore rispetto alle perdite.
Tagliare una, due o tre teste ad un'idra, come ci insegnano i miti su Eracle, ha poca utilità: esse, inesorabilmente, ricresceranno. Per uccidere l'idra è infatti necessario colpire dall'interno, al cuore. E lo stesso principio vale per l'usura e la criminalità organizzata. Per quanto sia infatti funzionale arrestare dieci o cento usurai, contenendo la portata di questa infame pratica, è il sistema intero che dovrebbe essere colpito e sradicato, così da evitare la sua ricrescita. Seguire questa strada non è semplice, certo, e non implica inoltre di interrompere o rallentare il sistema di "eliminazione pesci piccoli" (i singoli usurai), giacché sarebbe una follia, ma d'altro canto seguirla ci indurrebbe a organizzare un intervento più su larga scala, più chirurgico e mirato, volto a colpire al cuore del malaffare dei "cravattari", e cioè le più o meno grandi organizzazione mafiose.
Servono però altre leggi, altri sistemi, altri metodi di lotta: serve un adeguamento del nostro sistema giuridico a condizioni di estrema emergenza come quella romana, con cui mettere le forze dell'ordine e la magistratura nelle condizioni di poter operare a pieno regime. Continuare così, falciando più o meno efficientemente una parte dell'erba cattiva, equivarrà infatti solo ad arginare il problema e non a risolverlo: qui bisogna andare di napalm e spargere sale affinché non cresca più niente.