Roma, video hard su WhatsApp diffuso a scuola
Succede alla scuola Mazzini di Roma. La nostra risposta ai genitori
“In medio stat virtus”, ovvero “la virtù sta nel mezzo”. Lo diceva Aristotele nell’Etica Nicomachea, e lo ripeteva Orazio nelle Satire. E non è un inno all’inettitudine, tutt’altro. E’ un modo per insegnarci che v’è una misura in tutte le cose, oltrepassata la quale la virtù ci abbandona. Ed è quanto è accaduto ai genitori degli alunni della scuola media Mazzini di Roma e ai loro figli, che si sono visti recapitare su WhatsApp un filmino hard. Per i nativi digitali, l’utilizzo di Whatsapp è innato come il primo dentino. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un’applicazione che, al costo di 0,89 centesimi all’anno, consente di inviare messaggi illimitatamente. Un bel modo di tenersi in contatto con chiunque, e praticamente a costo zero.
La storia inizia così: un’alunna della scuola Mazzini riceve dalla cugina più grande un filmino hard in allegato. La ragazzina, anziché cestinarlo, decide di condividerlo con i suoi compagni di classe. E in un attimo la scuola diventa a luci rosse.
La scuola, sostengono i docenti, non c’entra niente con quello che gli alunni fanno con i loro telefoni. Ma i professori decidono comunque di convocare uno psicologo, che parli con tutti i ragazzi per capire fino a che punto quelle immagini abbiano potuto incidere sullo sviluppo della loro crescita emotiva.
“Quanto accaduto alla scuola media Mazzini di Roma ci sconcerta e preoccupa per il futuro dei nostri figli. Ricevere un video hard sul proprio cellulare e condividerlo tramite Whatsapp con i compagni di classe è una bravata che si è trasformata in un trauma per i minori coinvolti. Sappiamo che la scuola già vietava l’uso dei telefonini, ma vanno proibiti non solo in classe, ma durante tutto il tempo scolastico”. Ad affermarlo, è Maria Rita Munizzi, presidente nazionale Moige, movimento genitori. Che continua: “L’assenza di un piano significativo per la media education, unitamente a uno scarso controllo sulle tecnologie dei nostri figli, e il patto di corresponsabilità educativo con i genitori, che stenta a concretizzarsi con azioni che vanno oltre la semplice firma del genitore, di certo non ci aiutano su questo fronte di emergenza educativa”.
E a lei, ci sentiamo di rispondere così: “Eh no, caro genitore, cara genitrice. Perché anche a telefoni spenti, quel video sarebbe arrivato lo stesso. E dopo il suono della campanella sarebbe bastato accendere il telefono, inserire il pin, e via con un click per ripetere quanto accaduto. Sono solo stati accelerati i tempi. Ed è anche ora che i genitori la smettano di riunirsi in gruppi e movimenti, la smettano di delegare assunzioni di responsabilità. Che il telefono non glielo hanno mica comprato i professori, ai loro figli. E anche quando un bambino non va bene a scuola, spesso non è colpa di un professore distratto e assente, ma di un genitore che se ne frega. Che è altrettanto impiegato a trascorrere il suo tempo a inviare emoticon ai genitori dei compagni di classe dei propri figli, che stare al passo coi tempi, a volte, fa dimenticare che la tecnologia è un mezzo potente, ma se lasciata in mano a dei ragazzi, può essere dannosa. Dite qualche ‘no’, se serve. Imparate voi, prima di insegnare. Imparate, ad esempio, che a 12 anni un telefono può servire per chiamare i propri figli, e assicurarsi che siano tornati a casa dopo la scuola. Non serve, certamente, a fare gara di applicazioni. Siate un po’ più genitori e un po’ meno amici dei vostri figli”.