Romanina, il Giardino della Giustizia: una storia infinita che va raccontata
Una terra di nessuno frequentata oggi solo dai cani che scelgono il Giardino della Giustizia per soddisfare i bisogni fisiologici
Una storia che comincia alla fine del 2018 quando la Giunta Raggi decide di creare un giardino dedicato ai magistrati uccisi dalla mafia all’interno del Parco della Romanina nel Municipio VII.
Per l’occasione, nel giardino della giustizia vengono messe a dimora ventisette querce dedicate ognuna a uno dei giudici, davanti alle quali viene posta una targa con il nome e la data dell’assassinio.
La prima cerimonia di inaugurazione del Giardino della Giustizia
Il 7 novembre 2018, alla presenza del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, del sindaco di Roma Virginia Raggi, di Pinuccia Montanari, Daniele Diaco, del Presidente del VII Municipio Monica Lozzi e di tanti personaggi politici, viene inaugurato il Giardino della giustizia. È una grande festa, ci sono tanti bambini a cui vengono rivolti tanti bei discorsi sul senso della giustizia e tutto viene pubblicato sui social con grande enfasi: video, post, foto, articoli.
9 mesi dopo le querce sono tutte morte
A nove mesi di distanza dal grande evento, nell’agosto del 2020, una nostra visita al parco porta alla scoperta che il giardino è in assoluto abbandono e le querce sono tutte morte. Una distesa di infestanti secche copre le piccole lapidi con i nomi dei grandi uomini che si sono sacrificati per un Paese che ora ne calpesta la memoria in questo modo indegno. Il video provoca una veemente reazione dei media e un conseguente terremoto in Campidoglio che corre ai ripari e nel giro di pochi mesi sostituisce le 27 querce morte di sete con altrettante nuove querce.
La morte delle nuove 27 querce
Problema risolto? Neanche a pensarci. Nell’agosto 2020, in piena era Covid, torniamo a monitorare lo stato delle nuove querce. Inutile dire che le troviamo quasi tutte morte. Per la seconda volta, in spregio all’enorme significato simbolico del giardino, la memoria dei magistrati viene infangata dall’amministrazione pentastellata che in precedenza aveva dato dei “leoni da tastiera” al sottoscritto e al fido compagno di segnalazioni, Roberto Lattanzi.
Questa volta, nessuno interviene. I rami secchi e scarni delle querce del giardino della giustizia protesi verso il cielo rimangono in loco, testimoni muti di un abbandono che non desta più alcun interesse.
La terza piantumazione e la terza morte delle querce
Nel 2022, in piena epoca Gualtieri, le nostre insistenti, continue segnalazioni fanno breccia in Assessorato Ambiente. Lo stato di degrado dal Giardino della giustizia colpisce l’assessore Sabrina Alfonsi che decide di prendere in mano la situazione. Altre 27 querce vengono piantate e una nuova inaugurazione con tanto di banda e discorsi pomposi dà il via a quella che dovrebbe essere la rinascita definitiva della martoriata area.
Nulla di più sbagliato. Dopo un’estate torrida, un nuovo sopralluogo nell’autunno del 2022 rivela la morte della metà delle querce, mentre per la triste fine della restante metà bisogna attendere l’anno successivo, quello corrente.
La situazione oggi del Giardino e delle querce
Pochi giorni fa, io e Roberto Lattanzi, siamo tornati a visitare il Giardino della giustizia. Il triste stato delle querce in stato ormai di disfacimento avanzato, le targhe sepolte nella terra e ricoperte dalla vegetazione infestante, il terreno arido, raccontano e sanciscono una storia difficilmente raccontabile.
Quello che doveva essere un giardino dove celebrare la memoria dei paladini della giustizia, uomini vigliaccamente trucidati da assassini malavitosi, oggi è un’anonima, triste, area abbandonata.
Una terra di nessuno frequentata solo dai cani che scelgono quel luogo per soddisfare i bisogni fisiologici. In cinque anni, due amministrazioni non sono state in grado di garantire la cura di 27 querce.
Ci si chiede allora cosa ci dovremmo aspettare per opere più impegnative e complesse se un semplice innaffiamento di due dozzine, o poco più, di alberi, risulta un compito impossibile. Ai posteri, l’ardua sentenza…
Luca Laurenti, biologo