Salute: il PNRR per trasformare l’Italia a partire dalle cure a domicilio
Il PNRR mira a potenziare i servizi domiciliari e nello specifico leggiamo che la casa deve diventare il primo luogo di cura
Dopo due anni di pandemia l’Italia prova a risollevarsi con non poche difficoltà. Il Paese è uscito distrutto dalla pandemia da Covid 19, perché era già un Paese fragile e privo di progetti importanti sia per quanto concerne le innovazioni digitali, il contrasto alla disoccupazione, progetti infrastrutturali e rivoluzione ecologica.
Un nuovo volto all’Italia di domani
Il PNRR ovvero il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza approvato dal Parlamento italiano traccia, attraverso sei missioni specifiche, un quadro di trasformazione del nostro Paese da oggi ai prossimi cinque anni e ha come obiettivo quello di dare un nuovo volto all’Italia di domani. Nel preambolo del PNRR si legge con amarezza che l’Italia ha avuto più di 120.000 vittime colpite da Covid e risulta avere il primato più alto tra i Paesi europei.
La pandemia ci ha sorpreso impreparati, senza un piano d’azione adeguato, posti letto insufficienti, scarse strutture di primo soccorso o di medicina familiare alternativa, misure che avrebbero evitato il sovraffollamento nei pronto soccorso italiani. Chi ha pagato il prezzo più alto sono stati i nostri anziani, soprattutto i non autosufficienti ricoverati presso le case di riposo. Oggi il PNRR pone una concreta attenzione alle persone più fragili, agli ultrasessantacinquenni e a coloro che necessitano di cure h24.
Le basi per la sanità del futuro
Nelle missioni 5 e 6 del PNRR si definiscono le basi per una nuova sanità del futuro. Viene espressa la volontà di ridefinire le cure e l’accesso agli ospedali anche per le persone con deterioramento cognitivo. Il Piano mira a potenziare i servizi domiciliari e nello specifico nella Missione 6 leggiamo che la casa deve diventare il primo luogo di cura: “L’investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 % della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee). L’intervento si rivolge in particolare ai pazienti di età superiore ai 65 anni con una o più patologie croniche e/o non autosufficienti”.
Le Case della Comunità
Per far fronte al sovraffollamento degli ospedali e per rendere meno traumatico il ricovero in ospedale, leggiamo nella stessa Missione che saranno istituite le Case della Comunità ovvero strutture di prossimità dove si avranno a disposizione team multidisciplinari con medici specialisti e assistenti sociali per permettere alle persone di essere prese in carico non solo dal punto di vista medico ma anche sociale. Si parla inoltre di 381 Ospedali di Comunità “ovvero strutture sanitarie della rete territoriale a ricovero breve e destinate a pazienti che necessitano di interventi sanitari a media/bassa intensità clinica e per degenze di breve durata.
Questo tipo di struttura, di norma dotata di 20 posti letto (fino ad un massimo di 40 posti letto) e a gestione prevalentemente infermieristica, contribuisce ad una maggiore appropriatezza delle cure. Determinando una riduzione di accessi impropri ai servizi sanitari come ad esempio quelli al pronto soccorso o ad altre strutture di ricovero ospedaliero o il ricorso ad altre prestazioni specialistiche”.
Il valore delle cure a domicilio
L’Ospedale di Comunità avrà anche la funzione intermedia tra ospedale e casa offrendo alla famiglia il tempo di organizzare un adeguato rientro a casa. Curare a domicilio, non solo rappresenta un notevole risparmio per la società, ma è soprattutto efficace al paziente che, curato nel suo ambiente domestico, reagirà in maniera positiva alle cure. Nei pazienti con demenza abbiamo più volte ribadito la necessità di cure domiciliari e la difficoltà di far sostare un paziente Alzheimer in un pronto soccorso. L’anziano si destabilizza, diventa aggressivo, si rifiuta di collaborare, non vuole mangiare, si sente abbandonato perché non riconosce né il luogo né le persone a lui care.
I medici e il personale ricorrono ai calmanti o alla contenzione che non fanno altro che amplificare il disagio. Le cure di prossimità e il ritorno a casa in breve tempo assicurano ottimi risultati. Infine ma non meno importante, puntare sulla formazione specifica di medici, psicologi e o.s.s. riguardo alle demenze.
Il medico di Medicina generale deve attivare un percorso specifico per i malati di demenza e deve saper valutare fin dall’inizio un sospetto Alzheimer e indirizzarlo dallo specialista geriatra. Seguire la famiglia nel percorso della diagnosi è un altro tassello importante, permette al malato e al suo caregiver di non sentirsi soli. Di fare parte di una comunità che mette in moto tutto il suo potenziale quando uno dei suoi componenti è più fragile. Lo stesso caregiver deve essere formato adeguatamente per poter aiutare il malato e fare fronte ai continui cambiamenti senza cadere in depressione o sentirsi soffocato dallo stress.
Essere un caregiver
Imparare a essere un caregiver adeguato significa lavoro e impegno a tempo pieno; significa rinunciare anche alle amicizie, al caffè con gli amici; ci si annulla per dare tutto il sostegno possibile al proprio caro. La figura del caregiver familiare è fondamentale per un percorso di cura a domicilio e deve diventare parte integrante nella strutturazione del piano assistenziale. Decidere insieme come assistere il malato, significa mettere in rete risorse formali e informali con un unico obiettivo: il benessere della coppia paziente- caregiver.
Come più volte descritto nel mio libro “La memoria negata”, la casa è il luogo per elezione più efficace alla cura nei pazienti affetti da demenza. Aiutare i caregiver a stare meglio, significa dare serenità anche e soprattutto a chi è affetto dal morbo di Alzheimer. Secondo i dati del PNRR, nel 2030 il numero dei non autosufficienti in Italia salirà fino a 5 milioni di persone. Chi vive accanto a una persona fragile ha bisogno del supporto delle istituzioni. Auspichiamo che questa figura abbia al più presto un riconoscimento economico, sociale e previdenziale da parte dello Stato.