Salvini esalta gli USA-killer: una sudditanza all’opposto di un vero sovranismo
L’iraniano Soleimani viene ucciso a Bagdad da un drone statunitense e il leader leghista festeggia. In nome del peggiore Occidente
Tutto qui, il “sovranismo” di Salvini? Scagliarsi contro i condizionamenti dell’Unione Europea per arrivare a un’Italia totalmente appiattita sugli USA di Donald Trump e, quindi, anche su Israele nella versione aggressiva di Benjamin Netanyahu?
Se si tratta di questo, e dopo le ultime dichiarazioni del leader leghista non sembra poter esserci neanche il beneficio del più piccolo dubbio, allora bisogna dirlo con altrettanta chiarezza: alla larga. Questo miscuglio di capitalismo all’americana e di cristianesimo pseudo identitario è una combinazione nauseabonda che ci porta verso un futuro per nulla desiderabile.
Appresa la notizia dell’uccisione di Soleimani – che è stato ammazzato, semmai sfuggisse, nella capitale dell’Iraq e dunque nel cuore di uno stato sovrano – Salvini si è precipitato a dire la sua e ha scritto: “Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell’Italia e dell’Unione Europea, devono ringraziare Trump e la democrazia americana per aver eliminato uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell’Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà”.
Basterebbe questo, a far capire quanto le sue chiavi di lettura siano da rigettare. Rozze a prima vista. Subdole a un esame più attento. Ottuse in senso assoluto. Furbette in chiave propagandistica.
Ai tantissimi che giustamente ne hanno le scatole piene del lassismo pro migranti, si getta l’esca di una reazione potente e persino guerresca. Una fermezza che sconfina nella tracotanza in stile USA. Quella che in Trump ha la sua versione più smaccata, ma che non mancava neanche prima del suo insediamento alla Casa Bianca: vedi alle voci “rendition”, Guantanamo, “attacchi preventivi”, “esportazione della democrazia”, e via di questo passo. Violentando ogni volta che fa comodo la sovranità altrui e il diritto internazionale.
Occidente: il “brand” milleusi
Prendere le distanze dal Salvini filo Trump non basta. La questione è tutta da approfondire e si riassume in una parola: Occidente. Ossia, per iniziare a entrare nel merito, l’Occidente odierno. Il cui stesso nome, inalberato come una bandiera unica e un vessillo unificante, viene usato per una manipolazione tra le più insidiose. Che mira ad affermare una continuità sostanziale tra il passato, più o meno remoto, e gli sviluppi sopravvenuti/imposti in seguito. In modo da sancire una coincidenza insormontabile tra i popoli che lo abitano e il modello oggi dominante.
Un messaggio tanto forzato quanto decisivo. Il cui scopo è appunto annodare in maniera stretta, e tendenzialmente inscindibile, l’oggettiva appartenenza territoriale di molti milioni di persone a un modello di potere che invece è a vantaggio di specifiche oligarchie. Una sorta di attualizzazione dell’antico principio “cuius regio, eius religio”. Formula con la quale, per citare la Treccani online, “ si designò l’obbligo – definito dalla pace di Augusta (1555) – dei sudditi di seguire la confessione religiosa del loro principe”.
Mutatis mutandis, il principe è diventata la finanza internazionale e la sua “religione” è il potere del denaro, con l’aggiunta degli zuccherini, avvelenati, di una democrazia fittizia e dei diritti civili gonfiati all’eccesso. Simmetricamente, i sudditi sono i cittadini che abitano gli stati assoggettati a questo dominio. Liberisti per dovere di nascita. Cristiani per tradizione, o piuttosto per abitudine. Consumisti per addomesticamento recente, ma capillare/martellante e, perciò, ormai penetrato in profondità.
Dopo la crisi del 2008, e l’irreversibile venire meno delle precedenti attrattive imperniate sulla promessa di un reddito crescente e di poderosi modelli di welfare, qui in Europa si è posta la necessità di trovare altre forme di legittimazione. Tanto più che, in parallelo allo sgretolarsi delle “certezze” economiche, sono emersi in maniera ancora più evidente il degrado etico e la pochezza intellettuale delle classi dirigenti, a cominciare da quella dei partiti e dei media a larga diffusione che ne hanno puntellato il potere.
L’alternativa ai vantaggi, che non si potevano più vantare, è stata trovata nelle minacce incombenti, che si devono rintuzzare a ogni costo. In primis, l’integralismo islamico. Che certamente è da rigettare per mille e una ragione (al pari, d’altronde, dei suoi antecedenti storici dell’ebraismo e del cristianesimo, forme virulente di monoteismi che pretendono di parlare a nome di Dio e che considerano peccatori destinati alla dannazione eterna coloro i quali non soggiacciono alle relative prescrizioni) ma che è stato usato ad arte come lo spauracchio che poteva ricompattare le masse occidentali intorno all’establishment. Sia esplicito sia occulto.
Il dramma in cui ci troviamo sprofondati, dunque, è analogo a quello dei cittadini USA che non siano completamente omologati al Pensiero Unico. Da una parte abbiamo l’insopportabile e infido progressismo dei liberal, ossia dei Democrats oltreoceano e del PD e affini in Italia. Dall’altra lo sciovinismo dozzinale e gradasso dei Trump, laggiù, e dei Salvini, quaggiù.
Un sovranismo degno di tal nome, al contrario, è innanzitutto autonomia ideale. E valoriale. È tirare fuori il meglio di sé stessi, invece di scopiazzare i sistemi altrui o addirittura di prostrarsi al loro cospetto.
Gli Stati Uniti o Israele come modelli sociali, economici, politici?
Rialziamo la testa dai fast food della contemporaneità e plasmiamolo da soli, il nostro futuro.