Santa Pasqua, che possa essere per tutti la festa della Risurrezione
Gesù ha redento l’umanità, liberandoci dalla schiavitù del peccato e della morte. L’auspicio è che anche noi, in questo 2021, possiamo “risorgere”, spiritualmente e dalla pandemia
Dopo oltre un anno contrassegnato dalla pandemia e dalle restrizioni, in molti auspicano che la Santa Pasqua segni la Risurrezione sotto ogni punto di vista. Anche materiale, cioè, benché la solennità fondante del Cristianesimo abbia un significato anzitutto spirituale.
La Santa Pasqua è infatti il giorno in cui Gesù Cristo vinse la morte, redimendo l’umanità dal peccato. In modo simile, la Pasqua israelitica rievoca la liberazione dalla schiavitù in Egitto, oltre al miracoloso attraversamento del Mar Rosso (Es 14, 1-29). Non a caso, il termine deriva dall’ebraico Pesach, che vuol dire “passaggio”.
La Pasqua cristiana cade la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, convenzionalmente fissato al 21 marzo. Uno dei motivi per cui è una festa mobile risiede nel fatto che non si conosce la data esatta dell’evento originario. Le Sacre Scritture indicano infatti solamente che avvenne di domenica, due giorni dopo la Passione e morte di Gesù di Nazareth. Come Egli stesso aveva preannunciato (riferendosi al tempio del Suo corpo): «Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2, 19).
Un’antica tradizione, ancora viva in epoca medioevale, fissava il Venerdì Santo al 6 aprile. Data che Francesco Petrarca (che in quel giorno, nel 1327, incontrò l’amata Laura) immortalò nel sonetto Era il giorno ch’al sol si scoloraro. Che, tra l’altro, fa riferimento all’oscuramento della nostra stella, narrato dai Vangeli sinottici, da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, ora in cui Gesù «consegnò lo spirito» (Gv 19, 30).
La Santa Pasqua di Risurrezione
San Giovanni racconta anche che i capi dei sacerdoti giudei rimasero sconvolti nel leggere l’iscrizione che Ponzio Pilato aveva fatto apporre sulla Croce (Gv 29, 21-22). Il cosiddetto Titulus crucis, che indicava in tre lingue (ebraico, greco e latino) il motivo della condanna: Gesù il Nazareno, Re dei Giudei.
In aramaico, come scoprì lo scrittore francese Henri Tisot (1937-2011), la scritta corrisponde alla dizione ישוע הנוצרי ומלך היהודים, vocalizzata come “Yeshua Hanotsri Wemelek Hayehudim”. Prendendo le iniziali come per il latino INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum), e considerando la lettura da destra verso sinistra, si ottiene יהוה, “YHWH“. Ovvero il Tetragramma Divino, l’impronunciabile Nome di Dio.
Come Gesù aveva profetizzato: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8, 28). La locuzione che nell’Antico Testamento indica proprio il Nome del Signore (per esempio in Es 3, 14).
In effetti, comunque, la scomparsa del Figlio di Dio lasciò sgomenti anche gli Apostoli, che si rinchiusero nel Cenacolo. Un turbamento rivissuto nel Sabato Santo, il “giorno del silenzio” contrassegnato dall’assenza di celebrazioni (la Veglia serale, infatti, è già parte della liturgia pasquale).
Furono Maria di Magdala e le pie donne a uscire dall’isolamento, per recarsi al Santo Sepolcro nel terzo giorno dalla Crocifissione del Salvatore. Trovarono però la tomba vuota, e una o due figure angeliche che diedero loro il lieto annuncio. Magari – dice qualcuno – per avere la sicurezza che la notizia della Risurrezione si diffondesse rapidamente.
Malignità a parte, resta che la Santa Pasqua è stata uno spartiacque della Storia, e l’auspicio è che questa particolare ricorrenza rappresenti una svolta anche per noi. Dal punto di vista sanitario, certo, ma soprattutto permettendoci di “morire a noi stessi” per risorgere come uomini e donne nuovi.
Buona, Santa Pasqua ai nostri lettori!