Santa Sede impedita, ecco perché può essere la fine della Chiesa cattolica
Se la Declaratio è nulla, come sostengono vari autorevoli giuristi, Benedetto XVI è ancora il Papa. E dunque l’intera linea di successione di Bergoglio è antipapale
Torniamo ancora a occuparci della querelle sulla Declaratio di Benedetto XVI, che probabilmente non era una dichiarazione di rinuncia, bensì di (Santa) Sede impedita. Tanti, troppi indizi, infatti, concorrono ormai a delineare un quadro (anche giuridico) ben diverso dall’interpretazione più comune del testo ratzingeriano. Che potrebbe avere degli effetti letteralmente sconvolgenti.
Il nodo gordiano
Un nodo ingarbugliato come e più di quello gordiano potrebbe iniziare, dopo solo otto anni, a venire finalmente al pettine. Un nodo che ha origine nel febbraio 2013, dalla celeberrima Declaratio di Papa Ratzinger, immediatamente intesa come un’attestazione delle dimissioni del Sommo Pontefice. O forse travisata, dal momento che, come hanno dimostrato autorevoli giuristi, se si accetta quest’ermeneutica il documento risulterebbe canonicamente e giuridicamente invalido.
In estrema sintesi, queste sono le argomentazioni, che paradossalmente sono le stesse usate da canonisti “bergogliani” quali Monsignor Giuseppe Sciacca e la professoressa Geraldina Boni. Il Papa è uno solo (non esistono due Papi, né un Papato “allargato”). Dal 1983 l’ufficio papale si considera composto di due enti: il munus (il titolo divino di Vicario di Cristo) e il ministerium (l’esercizio pratico del potere). Secondo il Canone 332 §2 del Codice di Diritto Canonico d’Oltretevere, un Pontefice intenzionato ad abdicare deve rinunciare al munus. Tuttavia, nella Declaratio Joseph Ratzinger affermava di lasciare il ministerium.
Una matassa intricata che però si sbroglia se si considera l’atto come certificazione di sede impedita – o meglio di Santa Sede impedita. Che il Canone 412 riconosce quando il Vescovo diocesano è impossibilitato a esercitare l’ufficio pastorale «a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani». Situazione verificatasi, almeno in parte, otto anni fa. Quando Papa Benedetto era accerchiato da nemici interni (la Mafia di San Gallo) e probabilmente esterni (il blocco dei bancomat vaticani). E la sua posta privata era stata data alle stampe (lo scandalo Vatileaks).
Le conseguenze della (Santa) Sede impedita
Se dunque il mite teologo tedesco non ha realmente abbandonato il Soglio di Pietro, la prima conseguenza è che ancora lui il Successore dell’Apostolo Pietro. Condizione di cui sembra perfettamente conscio, visto che, per esempio, ancora indossa la talare bianca, si firma P.P. (Pater Patrum), impartisce la benedizione apostolica.
Questo, naturalmente, comporta ipso facto la nullità del Pontificato (e di tutte le disposizioni) di Jorge Mario Bergoglio, la cui linea successoria diventa inevitabilmente antipapale. E anche di questo aspetto Benedetto XVI parrebbe consapevole, come abbiamo scoperto qualche settimana fa analizzando il libro-intervista di Peter Seewald Ultime conversazioni. In cui Sua Santità ammette l’eventualità di essere l’ultimo Papa «come l’abbiamo conosciuto finora», come è designato nella cosiddetta profezia di Malachia.
Se dunque non si sana questo vulnus, potrebbe essere la fine della Chiesa cattolica – salvo che non si ripristini la legittima linea successoria. Come fece nel 1138 San Bernardo di Chiaravalle, deponendo l’antipapa Vittore IV (a sua volta eletto dopo un altro antipapa, Anacleto II).
Nel frattempo, come profetizzò proprio l’allora professor Ratzinger nel lontano 1969, la Chiesa potrebbe dover «ripartire dalle origini». Tornando nelle catacombe, e forse raccogliendosi attorno a un «piccolo resto» come quello di cui parla San Paolo nella Lettera ai Romani. E non è detto che non sarebbe tanto di guadagnato.