Scuola da ricostruire: con la didattica a distanza sarà totalmente snaturata
La scuola è stata forzatamente chiusa ma per offrire una parvenza di funzionalità si è messo in campo il palliativo della didattica a distanza
Scuola da ricostruire. Le restrizioni imposte alla vita sociale dall’emergenza del Coronavirus hanno aggravato le condizioni di vita di noi tutti, ponendoci dei limiti pesanti nel lavoro, che molti hanno perso. Inoltre, ci hanno reso difficoltose tutte le attività quotidiane, dall’approvvigionamento alimentare alla cura della casa e della persona. A causa del distanziamento sociale abbiamo finora dovuto rinunciare ai rapporti sociali e familiari. Fino al punto che molte persone sono morte in solitudine, senza il conforto di avere accanto i loro cari. Comprensibile quindi, anche se non giustificabile, l’esplosione di tanti assembramenti, non appena i provvedimenti del contenimento lo hanno concesso.
Scuola: le conseguenze della pandemìa
D’altro canto, la reazione ai pericoli della pandemia messa in atto dalle autorità centrali e locali si è sviluppata con ritardi inesplicabili, lentezze, provvedimenti contraddittori tra loro. Ciò ha sottolineato una volta di più le carenze croniche della Sanità, per cui le differenze e le distorsioni regionali hanno dimostrato l’inadeguatezza nell’affrontare la pandemia. Altre istituzioni sono state chiuse o fatte funzionare a regime ridotto.
La scuola, tra ricostruzione e destrutturazione
La scuola è stata forzatamente chiusa ma per offrire una parvenza di funzionalità si è messo in campo il palliativo della didattica a distanza. E il peso ha gravato sulle spalle dei docenti, come abbiamo già scritto in un articolo precedente. Si pone ora il problema di come riprendere il prossimo anno, magari ristrutturando l’istituzione con l’introduzione massiccia della didattica a distanza.
Così la demagogia degli interessi dell’utente, che è stata il principio ispiratore di tutte le riforme (o meglio, deformazioni ) imposte da ogni forza politica che ha governato il Miur (sia destra che sinistra), completerà lo snaturamento della scuola iniziato alcuni decenni fa.
Il diritto allo studio e il ruolo dell’insegnante
Un discorso storico articolato sarebbe piuttosto lungo, data la mole di decreti e circolari, poi convertiti in legge. Sullo sfondo, due sono i temi centrali, a parer mio malintesi ed alterati: il diritto allo studio, connesso all’obbligo scolastico, e il ruolo del’insegnante.
Ricordiamo che la Costituzione della Repubblica (art. 34 ) riconosce il diritto e il dovere del cittadino all’istruzione elementare. Agli inizi degli anni ’60, la crescita economica portò all’incremento della frequenza della scuola media di I e II grado da parte di cittadini di tutte le classi sociali. Pertanto, la politica si pose il problema di aumentare l’età dell’obbligo scolastico e , nel contempo, quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…che impediscono il pieno sviluppo della persona” (art. 3 Cost.ne ), affinché partecipi attivamente alla vita politica e sociale del Paese.
Contenuti e linguaggi
Agli ostacoli materiali del diritto allo studio, la politica cosiddetta progressista aggiunse quello dell’adeguatezza dei contenuti e dei metodi della cultura classica, appannaggio della odiata/amata borghesia. Criticarono il linguaggio, troppo aulico e distante dai bisogni reali della classe lavoratrice. Misero sotto accusa il modo di trasmissione del sapere, che aveva una base solida nella cultura e nel lavoro del docente. Conseguentemente, si semplificarono le forme espressive dando maggiore importanza alle attività manuali. Vennero ridotti al minimo i contenuti delle singole discipline, fino a privarle del loro valore fondamentale per la formazione culturale di tutti. Si attaccò il nozionismo, affermando che ogni singola acquisizione dell’allievo doveva essere giustificata dalla sua utilità pratica immediata. Infine, si snaturarono le classiche pratiche di verifica e valutazione, ritenendole esercitate dagli insegnanti in maniera soggettiva e perciò arbitraria; al loro posto furono concepite le prove di valutazione oggettiva, elaborate da apposite ristrette commissioni di esperti ministeriali.
L’esame finale è una promozione garantita
Così nacque il moloch Invalsi, braccio potente del Miur, giudice supremo della validità del sistema scolastico secondo i dettami dell’UE, quelli sì arbitrari, perché basati su presupposti non giustificati.
Contestualmente è stata abolita ogni forma di esame intermedio, visto come un ostacolo “al raggiungimento dei gradi più alti degli studi”, se non proprio un’inutile tortura per il giovane. L’esame finale, che si svolge con tutti gli aiuti possibili, è una promozione generalizzata garantita.
Insomma, per abbattere la selezione di classe, i progressisti ed alcuni presunti rivoluzionari hanno eliminato la selezione tout court e distrutto con furia iconoclasta le basi culturali della nostra scuola. Quel che ne resta è un vuoto simulacro.
L’insegnante serio spesso viene visto come un nemico
Oggi, la scuola è il luogo dove i giovani “devono stare a loro agio”, come recita lo Statuto degli Studenti berlingueriano.
In conseguenza, l’insegnante serio che vuole ancora trasmettere, con molto sforzo, qualche contenuto importante e non effimero, viene percepito come un nemico.
Nell’attuale situazione di crisi, il ministro ed i mass media non fanno altro che lodare i giovani per il loro impegno a casa. Non si ricorda più che fino a ieri gli insegnanti sono stati oggetto di insulti, aggressioni e pestaggi quasi quotidiani da parte di studenti e genitori.
L’insegnante è il vero capro espiatorio della crisi della scuola
Si è distrutto il suo ruolo centrale di trasmissione della conoscenza, trasformandolo in un facilitatore di utili apprendimenti, caricandolo inoltre di responsabilità riguardo ai problemi psicologici e sociali dell’allievo. La psicologia è stata usata strumentalmente per giustificare ogni forma di carenza di impegno, (la disgrafia, la discalculia, etc.) e di malcostume scolastico. Per forza di cose la tradizionale figura dell’insegnante era inadatta ai nuovi compiti che poneva la modernità, e quindi andava rinnovata con corsi di formazione ‘ad hoc’ ( SSIS, TFA et similia). Così spieghiamo l’insistenza del ministero e di certe forze politiche sulla necessità di svolgere i concorsi per la stabilizzazione di docenti che lavorano da più anni, senza tener conto di titoli. Negando che la pratica genera esperienza, che migliora la qualità di una professione, in modo particolare quella dell’insegnamento.
Tramonto della cultura o ripresa?
A questo punto non resterebbe che dar ragione ai fanatici propugnatori dell’e.learning, la didattica a distanza. Se è vero che ogni individuo può costruire autonomamente la propria cultura usando gli strumenti del web, si potrebbe concludere che la Scuola non è più necessaria. Quindi potremmo tranquillamente chiuderla, lasciando il compito agli esperti di piattaforme. Con l’incremento stratosferico dei profitti anche delle società che già si servono del Miur.
Se invece quell’assunto non è vero, se cioè il lavoro dell’insegnante è insostituibile nella trasmissione ragionata delle conoscenze, per la quale gli strumenti tecnologici possano essere usati non più che come un supporto, allora c’è bisogno di ben altro.
Ricostruire la posizione e il ruolo del docente
E’ necessario rimettere al centro del processo di insegnamento il ruolo del docente con una corretta dialettica con il discente, da cui vada esclusa ogni influenza esterna. E’ necessario rivedere il metodo didattico, appiattito nel corso degli anni su criteri meccanici sconnessi da impegno e capacità personali che non siano quelle dell’handicap. Criteri che si sono estesi dalla scuola di base fino all’Università, dove lo studente deve essere guidato a vita da un tutor.
E’ necessario che contenuti corposi riempiano programmi di validità generale, con qualche differenza a livello locale, che non stravolga tutto. Per capirci, penso con orrore a programmi regionali in cui esista soltanto una storia padana, o sarda o sicula, etc. Inoltre, anche le scuole professionali devono avere una base culturale. Non devono essere servitù di interessi di piccoli e grandi imprenditori, come vorrebbero la Lega o la Fiat.
Bisogna ripristinare esami veri
Fondamentale è il ripristino di esami veri e ragionevoli per ogni grado dell’istruzione, eliminando la farsa ipocrita dei recuperi. Il giudizio risultante deve essere il più possibile privo di ambiguità.
La realizzazione, anche parziale, di questo utopico pensiero non può che basarsi sull’istituzione di una forma di autogoverno della categoria docente. Un’Associazione o Ordine Professionale indipendente dalla politica, soprattutto di quella che ha permeato il MIUR.
L’Ordine dovrebbe essere elettivo, composto di un consiglio Nazionale con articolazioni regionali.
La scuola e la libertà di insegnamento
Il fulcro della sua azione deve essere la riaffermazione della libertà di insegnamento, declamata dagli altri a parole e soffocata nei fatti.
Suoi compiti: migliorare la funzione docente con la promozione dell’auto aggiornamento e la gestione di corsi di aggiornamento periodici. Elaborare i programmi di studio della scuola, confrontandosi dialetticamente con le forze in campo.
Inoltre dovrebbe avere voce in capitolo sul reclutamento e l’immissione in ruolo, che restano comunque competenza del Ministero. Occorre perciò mettere in campo idee e forme di lotta. Come, per esempio, il boicottaggio degli esami finali della scuola media di I e II grado, evidenziando il loro uso strumentale da parte del Potere. Che senso ha il loro svolgimento, se se ne conosce già l’esito, cioè la promozione generalizzata ‘ope legis’?