Scuola: provvedimenti confusi e discordi. Alla ministra e al Cts degli insegnanti interessa nulla
Secondo la Azzolina “Gli studenti devono tornare a scuola per sfogare la loro socialità”. Non proprio per studiare…
In questi giorni è sempre più acceso il dibattito sulla riapertura delle scuole e anche su questo tema continua lo scontro tra governo centrale e poteri locali, cui assistiamo dall’inizio della pandemia.
La contrapposizione tra poteri locali e governo centrale anche sulla scuola
Infatti, pur tenendo conto dei pericoli derivanti dalle recenti statistiche sull’aumento dei contagi e delle necessarie precauzioni, il governo ha deciso da lunedì 18 gennaio scorso, la ripresa della scuola in presenza almeno al 50%, escluse le zone rosse. Di contro, diverse regioni hanno invece optato per mantenere la chiusura e proseguire con la didattica a distanza almeno per un’altra settimana o addirittura fino al 31.
Conseguentemente, sono aumentate le proteste da parte degli studenti, spesso affiancati dai familiari e dagli insegnanti. Inoltre si sono avuti ricorsi al TAR da parte di qualche gruppo di genitori per presunta lesione del fondamentale diritto allo studio; nel caso dell’Emilia Romagna, per esempio, il presidente della regione ha dovuto revocare la decisione di chiusura.
I pareri degli esperti sono discordanti e favoriscono o influenzano le manovre politiche
Le forti contrapposizioni di interessi vengono motivate, spesso in modo pretestuoso, sulla base dei diversi giudizi espressi da fonti più o meno autorevoli.
Per esempio, virologi che temono un incremento incontrollabile del contagio sulla base dell’ultima risalita della curva, chiedono di mantenere ancora la chiusura della scuola, che per sua natura movimenta sul territorio un gran numero di persone. Altri esperti invece si dicono favorevoli ad una contingentazione degli spostamenti, con un intervento sui trasporti e sugli orari.
Così, ci sono state regioni che si sono adeguate all’ordinanza del governo, mentre alcune, come il Friuli, si sono opposte.
Perciò, proprio per eliminare tali disparità, il ministro Speranza ha convocato d’urgenza il CTS (Comitato Tecnico Scientifico) la scorsa domenica mattina, 17 gennaio.
Il Comitato ha ribadito la sua posizione, da sempre favorevole alla riapertura delle scuole in presenza sia per il I che per il II ciclo, poiché “l’attuale incremento di contagi registrato è stato contenuto grazie alle misure adottate, pur osservandosi una significativa differenza tra le realtà regionali” (verbale 146). In pratica, avallava sì l’ordinanza di riapertura del Governo, ma rimetteva pure alle Regioni la facoltà di deroga, poiché esse conoscono da vicino le realtà dei loro territori.
Così, mentre alcune: Lazio, Molise, Piemonte, Emilia Romagna, hanno riaperto, altre: Marche, Calabria, Basilicata, Veneto, Friuli hanno mantenuto la chiusura fino al primo febbraio.
Diverse sono anche le giustificazioni: per esempio, Liguria ed Umbria, pur ritenendo di tenere già sotto controllo la curva epidemiologica, continuano a tener chiuso “proprio per non perdere il vantaggio acquisito.
Soddisfazione del ministro dell’Istruzione. Dialogo privilegiato con gli studenti-utenti
Ovviamente, il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina si è dichiarato molto soddisfatto della posizione assunta dal CTS. C’è da dire però, che in interviste rilasciate (per esempio al Corriere della Sera, a Tecnica della Scuola) nei mesi precedenti, le posizioni dei membri del Comitato non appaiono sempre concordi. Sembra piuttosto che siano generalmente orientate ad approvare le posizioni del governo, ed in particolare dell’Azzolina.
La quale, ricordiamolo, aveva spinto per la DAD nello scorso marzo; però “questo metodo ora non funziona più”, ha dichiarato pochi giorni fa. Inoltre, “gli studenti devono tornare a scuola per sfogare la loro socialità ”! Non proprio per studiare.
Nell’affermazione del ministro ci sono due problemi da discutere: il valore della didattica a distanza in sostituzione di quella tradizionale; la funzione, o le funzioni della scuola.
La DAD può essere un ausilio parziale in casi eccezionali
Ma non può assolutamente sostituire la lezione frontale né la valutazione seria dell’apprendimento.
Lo abbiamo affermato chiaramente in articoli precedenti (vedi qui, mio articolo del 4 ottobre 2020: La scuola riparte come parcheggio per bambini e i docenti sempre più sviliti); però, in casi di rischi eccezionali, bisognerebbe tener conto di un principio di precauzione.
Riguardo al secondo tema, non neghiamo certo il carattere di socialità della scuola, come di un posto di lavoro o luogo di intrattenimento, in cui ci si incontra e si stabiliscono relazioni.
Per la scuola questo carattere è particolarmente importante, poiché gli individui vi trascorrono gli anni dall’infanzia all’adolescenza e si formano come persone.
Questa formazione sociale è però strettamente connessa con l’istruzione e l’acculturazione degli individui, che è il compito fondamentale della scuola; altrimenti, la socialità potrebbe benissimo svilupparsi altrove. Oggi però questo rapporto viene dimenticato oppure oscurato, e si tende a mettere in primo piano la socialità, peraltro priva di regole.
Mi torna in mente che lo scorso anno proprio la ministra, quando invitava gli studenti al rientro a scuola aggiungeva sorridente: “ritroverete gli amici, magari un amore iniziato”; utilizzando così, in luogo del linguaggio retorico ormai desueto del Cuore di De Amicis, quello di una rubrica di cuori solitari.
Socialità virtuale, aggressività e violenza
Certamente, in questo triste periodo i problemi si sono aggravati per tutti, in particolare per i giovani. Il troppo tempo trascorso in casa induce i ragazzi al ricorso esclusivo dei contatti virtuali, cui erano già troppo avvezzi; con l’incremento delle cattive abitudini, della frustrazione e della depressione che possono sfociare nell’aggressività, rivolta verso se stessi o gli altri.
Nel privato cresce il consumo di alcool e droghe; gruppi si danno appuntamento tramite i social per incontrarsi in strada e affrontarsi come guerrieri selvaggi e sanguinari.
Giustificata perciò è la preoccupazione espressa dagli psicologi e da molti insegnanti, giusto l’appello alla scuola per aiutarli.
Non basta però far rientrare i giovani a scuola, se poi non vengono seguiti e aiutati con autorità.
Ricordiamo che proprio nella scuola, nel regime di lassismo e di pseudodemocrazia avallato da norme che impediscono di correggere i comportamenti, molti ragazzi davano impunemente il peggio di sé a danno degli altri. Riguardo la droga, alcuni istituti erano divenuti un porto franco.
C’è il bisogno urgente, nella scuola, di cambiare rotta rispetto al passato
Occorre perciò trovare il coraggio di cambiare rotta rispetto al recente passato, altrimenti la scuola non potrà più né educare né istruire.
E, a proposito delle carenze gravi dovute alla chiusura dello scorso anno e all’uso della DAD, il ministro vorrebbe imporre l’effettuazione del recupero durante le ore pomeridiane: lo chiama ristoro formativo! Giustamente, molti insegnanti ritengono di non poterlo fare, perché già troppo occupati con il programma annuale. Né ritengono di avere ore da recuperare, perché il tempo reale impiegato online tra didattica e riunioni collegiali, che impegnavano quasi tutto il giorno solare, è stato il doppio o il triplo del classico orario contrattuale.
Ma le affermazioni di pseudodemocrazia non si esauriscono qui
L’ANP (Associazione Nazionale Presidi ) chiede che l’odiata INVALSI verifichi la perdita di apprendimento dal marzo scorso ad oggi!
Ancora, la ministra chiede benevolmente agli studenti il loro parere sullo svolgimento del prossimo esame di maturità poiché, dice, “si tratta del loro futuro”.
Giusto anche questo: ai discenti si deve richiedere il parere, ai docenti no.
E le risposte non si sono fatte attendere
La prima, una petizione posta sulla piattaforma Change.org a dicembre, è stata la proposta dell’abolizione tout court dell’esame, sull’esempio della Francia; motivazione: gli studenti hanno patito gravi disagi per le restrizioni sociali causate dalla pandemia; inoltre, il solo colloquio non renderebbe correttamente la preparazione, essendo inficiato dall’ansia.
Si consiglia pertanto di sostituire l’esame con lo scrutinio finale, poiché “gli insegnanti conoscono bene i loro studenti”.
Tale metodo consentirebbe anche un risparmio economico allo Stato.
E, aggiungiamo noi, darebbe la stura ad una miriade di ricorsi, qualora il giudizio finale non fosse quello che lo studente e la famiglia si attendono.
Esemplare il ricorso al Tar Umbria, presentato nel 2016 da una studentessa di liceo promossa con il voto finale di 98/100, con un solo punto di bonus; ne reclamava almeno 2 per arrivare al massimo.
Il Tar ha annullato i verbali d’esame, obbligando quindi la Commissione a rifare tutto da capo.
Per completezza d’informazione, aggiungiamo che c’è anche un’altra petizione, di due studentesse toscane, che richiede di svolgere un’unica prova orale accompagnata da una tesina.
Il Ministro ringrazia e annuncia che entro febbraio prenderà una decisione.
Nel frattempo, comunica ai docenti che si sta esaurendo la valutazione delle prove del concorso straordinario, cui seguirà quello ordinario.
Per tali concorsi, il cui esito non è affatto scontato, non è stata prevista nessuna moratoria o dilazione. Sicuramente non assicureranno un organico docenti sufficiente, ma contribuiranno a rianimare le solite rivalità tra precari storici e laureati neoabilitati.
Per il bene della scuola gli insegnanti devono assumere il controllo della loro professione
Tornando al discorso della funzione della scuola, da molti interventi online appare che gli insegnanti sono più che scontenti della gestione di questo ministero.
Inoltre sembra che si stia diffondendo sempre più l’opinione di essere una categoria sottostimata da tutti, spesso addirittura avversata; non le si riconosce, non soltanto dal punto di vista economico, l’importanza del ruolo che svolge per la società.
Che dovrebbe essere quello dell’elevazione culturale della persona, non quello di formare dei giovani con una preparazione parziale, come automi utili e intercambiabili nel processo produttivo.
Frequentemente, noto anzi che molti si chiedono perché la nostra scuola sia caduta così in basso, e di chi sia la colpa.
Quelli che hanno la mia età hanno vissuto il progressivo processo di degrado e imbarbarimento dell’istituzione, favorito dalle trasformazioni sociali e dall’uso politico di essa e giustificato da una legislazione concepita a favore esclusivo dell’utente-cliente politico.
Sugli insegnanti si sono invece scaricate tutte le colpe, sfruttando anche il senso di colpa provato dai migliori rispetto agli scarsi risultati che ottenevano a causa delle pastoie imposte al loro lavoro.
Pertanto, sarebbe più che mai necessario che i discorsi degli insegnanti, come da molti auspicato, acquistino maggiore rilevanza e si impongano su quelli degli altri.
Ma ciò non sarà possibile senza un’organizzazione propria, autonoma dalle forze politiche e dalle pressioni sociali.