Selfie sui binari, giovanissimi giocano con la morte: perché cercano il rischio?
Ennesimo episodio di incoscienza di un gruppo di giovani sorpreso mentre si riprende con gli smartphone sui binari della linea ferroviaria
Selfie sui Binari. Ennesimo episodio di pura incoscienza di un gruppo di giovani sorpreso mentre si riprende con gli smartphone sui binari della linea ferroviaria tra Casilina e Capanelle a Roma.
Il gruppetto di adolescenti è stato notato e interrotto dalla Polfer mentre, incuranti del pericolo e del sopraggiungere di uno dei tanti treni in passaggio sulla tratta ferroviaria, scattavano selfie tra risate e sghignazzi. I ragazzi romani, tra i 12 e i 13 anni, sono stati raggiunti dalla Polizia del Commissariato di Tuscolano, a cui si sono aggiunti alcuni agenti della Digos, proprio perché si temeva il peggio.
Noia e divertimento: non sono opposti ma due facce dello stesso disagio
Per fortuna, i ragazzi, non hanno opposto resistenza, dimostrando che si trattava solo di una bravata. Una bravata che, però, poteva costargli molto cara. Probabilmente neppure si sono resi conto del reale pericolo. La voglia di ammazzare la noia ha preso il sopravvento persino sulla paura. Al desiderio di provare emozioni intense si è aggiunto, probabilmente, l’esibizionismo di pubblicare quelle foto in rete per ottenere “like” e consensi. Purtroppo non è l’unico caso. L’abitudine di farsi fotografare fra i binari o in altre situazioni rischiose è sempre più in voga tra i giovanissimi.
“Fuori dal tunnel del divertimento”. Per molti la noia è l’opposto del divertimento, ma in realtà sono due facce della stessa medaglia. Il divertimento è sinonimo di distrazione, dimenticanza. Oggi però non ci si diverte più in quanto viviamo spesso una vita piatta, omologata, priva di motivazioni, interessi e passioni. Si cercano situazioni estreme per compensare il senso di inadeguatezza rispetto alla realtà in cui viviamo. Una realtà che non riesce a rispondere alle esigenze dei ragazzi, ai loro bisogni, desideri, inclinazioni.
I giovani appaiono agli adulti svogliati, stanchi, apatici, in cerca di emozioni che li elettrizzino per dare un senso alle loro giornate. In una società piegata dal Covid, dalle restrizioni, dalla mancanza di svaghi e di luoghi di aggregazione, il grido di aiuto è spesso sottaciuto o inascoltato. L’emergenza sanitaria è solo un alibi che nasconde piaghe più profonde che rilevano già prima di questa situazione un disagio profondo. Si tende a puntare il dito su questi ragazzi senza analizzare le cause profonde.
I Social come “megafono” del consenso
I Social come “megafono” del consenso. Il selfie è una cessione della propria immagine agli altri. È un mettersi in vetrina per il bisogno di riconoscimento della propria identità sociale che, però, diventa sempre più un’immagine pubblica, un veicolo sottoposto al giudizio altrui. Non sottende alcun processo di socializzazione che vada oltre la dinamica della popolarità e del consenso/dissenso.
Il corpo, in quanto esibito sui social media, viene ceduto alle dinamiche della visibilità e il soggetto si autoalimenta del proprio narcisismo. Più viene osservato, scrutato, ammirato e più il soggetto si sente gratificato. La sua gratificazione è al contempo commisurata alla sua mortificazione e banalizzazione. Il web è un contenitore ma anche un megafono di contenuti, personali e non, che vengono amplificati per ottenere approvazione. Attraverso i social media, il bisogno di autoaffermazione, che è connaturato in ogni persona, viene enfatizzato a dismisura (Di Gregorio, 2017; 9-10). Inoltre, il voyerismo, ovvero il desiderio morboso di spiare il profilo degli altri, si collega alla necessità e alla tendenza di “raggiungere l’idea del proprio Io” (Freud, 1914).
Di qui, la fissazione della propria immagine identitaria come profilo pubblico che può diventare addirittura un’ossessione.
Esibirsi con selfie sui binari: alla ricerca del proprio Io
Selfie, tra banalità e gesto di sfida. La potenza comunicativa dell’autoscatto è enorme in quanto arriva a tutti senza bisogno di mediazioni né di spiegazioni ma, spesso, viene annullata dal suo uso quotidiano. L’autoscatto appena si è svegli o prima di andare a dormire, ad esempio, non ha di per sé alcun significato. È la proiezione del bisogno di uscire dall’oblio dell’anonimato per lasciare traccia di sé ai posteri. La modalità però è sbagliata perché esso immortala soltanto il qui ed ora.
Al massimo, comunica uno stato presente ad. es. se si è stanchi, se si è pimpanti. Non racconta nulla del proprio passato e non si proietta verso il futuro. Non narra alcun stato d’animo, di nessuna esperienza vissuta. Il terrore di essere dimenticati dagli altri viene compensato, spesso in età giovanissima dall’adrenalina della sfida, dal voler superare ad ogni costo gli ostacoli e i limiti, trasformandoli in soglie. Tale bisogno si sublima anche con lo sprezzo del pericolo. Di qui, la voglia di esibirsi in situazioni pericolose ed immortalarle con scatti da rendere pubblici. Probabilmente l’incapacità di gestire le proprie emozioni, il desiderio atavico di lasciare un segno di sé, un’impronta tangibile, ad ogni costo, deriva dal bisogno di immortalità digitale, che fa da contraltare ad una morte esposta.
Selfie sui binari: rischio e morte come fatto di dominio pubblico
Lo sprezzo del pericolo e il rischio diventano di dominio “pubblico”. La morte, ormai, non è più un fatto privato, ma diventa pubblico, esibita, estranea al proprio sé. Si consideri il caso di cronaca dei dipendenti di pompe funebri che hanno scattato un selfie sullo sfondo del feretro del calciatore Maradona. La morte digitale è un fenomeno sociale recente, ma già studiato da antropologi, filosofi, psicologi e sociologi. Il sociologo Zygmunt Bauman parla di morte liquida, che paradossalmente si cristallizza nell’evoluzione tecnologica, in cui il corpo diventa una protesi elettronica del sé.
In conclusione, non si è più padroni del proprio corpo ma è il corpo, con le sue passioni, impulsi ed istinti dematerializzati che ci padroneggia. Il corpo è morto ma al contempo è eterno nella sua eterea incorporeità.
Un corpo che si fa merce e vetrina di un negozio vuoto!
A cura Anna Maria Laurita
Immagine di Archivio