Sentenza Catania, ecco perché tutti hanno ragione e nessuno ha ragione
Il giudice boccia il trattenimento di tre migranti perché viola Costituzione e norme Ue: non ha tutti i torti, ma una toga dovrebbe limitarsi ad applicare la legge (italiana)
La sentenza di Catania che ha bocciato il trattenimento di tre tunisini richiedenti protezione internazionale ha riacceso lo scontro tra magistratura ed esecutivo del Premier Giorgia Meloni. Con il leader di FdI che ha aspramente criticato il verdetto, e le toghe che sono immediatamente accorse a difenderne l’autrice. Anche se la sensazione è che i contendenti stiano solo girando attorno al vero nocciolo della questione.
Lo scontro intorno alla sentenza di Catania
«Sono rimasta basita di fronte alla sentenza del giudice di Catania» Iolanda Apostolico che ha rimesso «in libertà un immigrato illegale». Dichiarando oltretutto «la Tunisia Paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura) e scagliandosi contro i provvedimenti di un Governo democraticamente eletto».
Questo, come riporta il Sole 24 Ore, il j’accuse chigiano dopo che la toga del Tribunale siciliano non ha convalidato il trattenimento di tre richiedenti asilo tunisini. Con motivazioni in realtà diverse – puntualizza Il Foglio – da quelle citate via social dal Presidente del Consiglio, come nel caso del giudizio sulla Tunisia. Il magistrato, infatti, ha semplicemente sottolineato che un migrante, anche se proviene da un Paese considerato “sicuro”, ha comunque tutto il diritto di chiedere la protezione internazionale.
La sentenza di Catania
Quanto alla misura governativa, la Meloni si riferiva al Decreto del 14 settembre recante «disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero». Un Dl che, secondo il giudice Apostolico, viola la Direttiva comunitaria n. 33 del 2013 recante «norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale». Il che è vagamente ironico, considerando che il Governo si richiama in parte allo stesso documento, e perfino agli stessi articoli.
Lo fa nella parte in cui prevede il pagamento, da parte dei migranti, di una garanzia finanziaria di 4.938 euro per evitare il trasferimento nei CPR. Tuttavia, la sentenza di Catania ritiene il provvedimento incompatibile con l’euro-deliberazione nel momento in cui non prevede che la cauzione possa essere prestata da terzi. In più, interpreta l’atto di Bruxelles come ostativo all’eventualità che un richiedente asilo «sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità».
Inoltre, scrive l’ANSA, secondo la toga di Trinacria il trattenimento è consentito solo per esaminare la fondatezza della domanda di protezione (valutazione che, nel caso specifico, manca). Peraltro, dev’essere una misura eccezionale perché limitativa della libertà personale, che in base all’art. 13 della Costituzione è inviolabile «se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria».
Tutti hanno ragione, dunque nessuno ha ragione
Il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha già annunciato l’intenzione di impugnare la sentenza di Catania, e naturalmente ne ha piena facoltà. E, almeno in parte, non ha nemmeno tutti i torti.
Per chiunque, infatti, è lecito criticare una legge – e quella in oggetto desta varie perplessità, per esempio riguardo a importo e modalità di versamento della caparra. Però, fintanto che è in vigore, un magistrato dovrebbe limitarsi ad applicarla, non foss’altro perché dev’essere stata controfirmata dal garante della Carta – il Presidente della Repubblica. E comunque, laddove ravvisasse un conflitto normativo, dovrebbe rimandarlo agli organi preposti a dirimerlo – la Consulta e la Corte di Cassazione.
Detto altrimenti, non spetta a una singola toga ricusare le disposizioni dell’esecutivo, anche per non dare l’impressione di aver emesso un verdetto politico. Perché, come hanno ammonito proprio gli Ermellini, «l’esercizio della funzione giurisdizionale impone al giudice il dovere non soltanto di ‘essere’ imparziale, ma anche di ‘apparire’ tale». Ed ecco perché, a ben guardare, in questa vicenda tutti hanno ragione e, per ciò stesso, nessuno ha davvero ragione.