Sessismo, “odio” e giù di là: dalla politica all’arte lo scopo è imbavagliarci
Sanremo è solo il pretesto. Che serve a trasferire nel mondo dello spettacolo la censura strisciante del politicamente corretto
Mica si placa, la polemica su Junior Cally a Sanremo. Macché. Dopo le reprimende dei giorni scorsi, pare che la Rai stia addirittura pensando a una sorta di patentino etico. Basato sull’intero repertorio degli artisti (o presunti tali…) che partecipano al Festival.
Quand’anche la canzone presentata per la rassegna in arrivo non abbia nulla di esecrabile, in base ai criteri sempre più stringenti dei nuovi inquisitori, la ritrovata “correttezza” non sarà più sufficiente. Eh no. Ci sarà da andare indietro nel tempo e verificare che anche in precedenza non ci si sia macchiati di alcun eccesso. Altrimenti, caro mio, niente da fare. Non sia mai che il tuo nuovo brano abbia successo, almeno un po’, e che al pubblico venga la voglia di ascoltare anche la tua produzione antecedente…
Di esempi se ne potrebbero fare a iosa. Nella cosiddetta “canzone d’autore” e nel pop più andante. Antonello Venditti è “sessista” quando canta “scopare bene è la prima cosa”? Lo è il Riccardo Cocciante di “Bella senz’anima”, in cui lei è una super egoista che “quando a letto lui ti chiederà di più glielo concederai, perché tu fai così”? Lo è Marco Masini nella sua “Bella stronza”? Lo è la figura di donna nella “Chelsea Hotel” di Leonard Cohen, visto che “Mi parlavi con dolcezza e coraggio / E me lo succhiavi sul letto disfatto”?
Approfondiamone uno solo: hai scritto o cantato “Lella”, che com’è noto parla di un tizio che confessa di aver ucciso l’amante, di averla seppellita “alla fiumara ‘ndo ce sta er baretto” e di non esserne nemmeno pentito? Trattasi, con tutta evidenza, di femminicidio. E perciò di testo sommamente esecrabile. Che in quanto tale è da mantenere ignoto, per quanto possibile, a chi già non lo conosca. Non potendolo eliminare definitivamente, con un atto di censura esplicita e di ostracismo insormontabile, allora togliamo visibilità a chi lo abbia composto, o anche solo interpretato.
Se non che… Se non che, tra quelli che lo hanno riproposto c’è anche Paola Turci. Che non si può proprio accusare (e non solo in quanto donna) di sessismo. Più semplicemente, per lei e per qualsiasi persona non ottenebrata dal politicamente corretto “Lella” è una grande canzone. Nelle cui parole, in quei suoi versi poetici e intelligenti, drammatici e lancinanti, non c’è nulla che esalti la vicenda del protagonista. Non è un elogio. Non è tenuto a essere uno j’accuse.
Al pari di innumerevoli altre opere d’arte, non ha nessun intento programmatico. Non sta teorizzando ciò che è giusto. E neppure stigmatizzando ciò che è sbagliato. Perché non sono questi i suoi compiti. Un’opera d’arte non è un manifesto valoriale, men che meno in chiave etica. È la messa a fuoco di un frammento di vita, o di un’intera esistenza. Immaginaria ma a suo modo esemplare. Se osservi e non sei stupido ci troverai dei motivi di riflessione. E quindi di maggiore consapevolezza. Se invece sei stupido, non ti salvano neanche i capolavori.
Non è che assorbi i cattivi esempi e che perciò è colpa degli autori o degli interpreti.
È che non riesci a comprenderne il senso. E quindi è colpa tua.
In tv e nelle urne: adulti o bambinetti?
Chiaro: se fosse solo Sanremo, chissenefrega. Come abbiamo scritto appena due giorni fa, il Festival (con la maiuscola, dicono le regole; con la minuscola, grida l’intelligenza) è il tempio dell’ipocrisia nazionale. E quindi non c’è proprio da prenderlo sul serio: mica vorrai discutere di cultura a partire dai salotti tv di Barbara D’Urso, di Mara Venier, e degli altri chiacchieranti della medesima risma? Al massimo, quegli obbrobri si possono usare come riprove del degrado. Non certo come manifestazioni di un pensiero degno di tal nome.
Che questo approccio delirante, però, si fermi solo al Festival è a dir poco dubbio. L’ipotesi più verosimile, al contrario, è che o prima o dopo venga esteso a ogni altro programma dell’emittente di stato. Sai com’è: trattandosi di “servizio pubblico”, hanno bell’e pronta la scusa dell’interesse generale a diffondere solo contenuti che non offendano nessuno.
Ma il problema è proprio questo. Gli adulti vanno trattati da adulti, e non da minorenni impressionabili. A meno che non si riconosca espressamente che si tratta, e non così raramente, di pseudo adulti che possono essere influenzati da ogni sorta di messaggi negativi, quand’anche smaccati e di facilissima decodifica. Il che, evidentemente, ne metterebbe in discussione lo stesso diritto di voto: e dunque il dogma, il totem, il presupposto ingannevole su cui si basano le attuali, sedicenti democrazie.
Dando per buono, invece, che siano adulti davvero, i paraventi del politicamente corretto vanno spazzati via. Riposti in un cantuccio, con garbata metafora. Scaraventati nel cesso, con la dovuta franchezza.
Nel selezionare ciò che si manda in onda bisogna assumersi la responsabilità di un giudizio che sia di valore, e non di argomento. Anziché trincerarsi dietro il comodo alibi del tema scabroso o dei contenuti “violenti”, si deve avere il coraggio di esporsi dandone una valutazione di natura artistica. Vale o non vale? È un coatto semianalfabeta o un novello Rimbaud?
Una cernita spregiudicata, ma all’insegna della consapevolezza – tanto obbligatoria quanto in via di scomparsa, tra chi opera in campo editoriale – che il vero discrimine è tra intelligenza e ottusità. Tra ciò che è posticcio e ciò che è autentico. Tra ciò che resta in superficie e ciò che si spinge in profondità.
Se i parametri fossero questi, l’intero discorso si capovolgerebbe. E a finire sotto accusa sarebbe ciò che per l’appunto è ottuso, posticcio, superficiale.
Magnifico: sai di quanta immondizia televisiva ci libereremmo, d’incanto?