Severino Nappi, giuslavorista: “Le misure del Governo? Un cerotto, non una cura”
“Le autorità internazionali stimano per l’Italia un calo del Pil dell’8%. E’ necessario mettere in campo immediatamente delle misure per l’emergenza e per la ripresa”
In uno scenario di guerra, con una pandemia che ha esteso il suo contagio su tutti i continenti, ogni Paese si è trovato a dover far fronte all’emergenza sanitaria ma anche alle ricadute economiche del Coronavirus, cercando di mettere a punto un pacchetto di misure “Salva Stati”. “Le prime misure messe in campo dal nostro Governo sono largamente insufficienti e sopratutto assai lente negli effetti. Più che una cura, ci hanno dato un cerotto”. E’ lapidario Severino Nappi, giuslavorista, professore ordinario di Diritto del Lavoro e presidente dell’Associazione Nord Sud e del movimento Il Nostro Posto.
Una bocciatura netta, professore.
Il “Cura Italia”, in materia fiscale, si limita ad un mero rinvio del pagamento delle tasse: ma chi ha un problema di liquidità oggi, difficilmente sarà in una condizione diversa domani. Niente di davvero utile neppure per il lavoro: un po’ di assistenza, maggiori permessi e ferie, blocco dei licenziamenti, smart working. Insomma, si tratta più di interventi per ridurre il contagio che di autentico sostegno alle imprese. La cassa integrazione in deroga, poi, senza una semplificazione delle procedure, è uno strumento incompatibile con l’emergenza: ci vorranno mesi per attivarla e nel frattempo saranno i datori ad anticipare i soldi. Per quanto riguarda i finanziamenti alle imprese, invece, mettere a disposizione nuove risorse senza però disboscare davvero i paletti che ne disciplinano l’accesso (l’ormai famigerato merito creditizio) rischia di lasciar fuori dalla porta delle banche la maggior parte delle nostre aziende, specie quelle piccole e medie e specie al Sud. Non a caso alcune Regioni hanno già avviato una propria azione strategica con propri strumenti di supporto diretto al tessuto produttivo del loro territorio. Non è il caso della Campania, per esempio, la cui economia, secondo il rapporto Cerved, nei prossimi mesi, rischia di lasciare sul terreno 23,5 miliardi.
Quali leve avrebbe dovuto azionare il Governo?
Le autorità internazionali stimano per l’Italia un calo del Pil dell’8%. E’ quantomai necessario mettere in campo immediatamente delle misure per l’emergenza e per la ripresa. È inimmaginabile pensare che basti un bonus una tantum di 600 euro (cioè una cifra inferiore a quella del reddito di cittadinanza) per autonomi, liberi professionisti e partite Iva che oggi non lavorano. È impensabile che, tra due mesi, tutto ricominci come prima se le aziende non avranno ora un’iniezione di liquidità. E poi, come si pensa che possa sopravvivere a questo tsunami chi già prima stentava ad arrivare alla fine del mese, vivendo con un lavoro precario o al nero. Di fronte ad una contrazione dei redditi e dei consumi di queste dimensioni, tra qualche mese ci sveglieremo e ci saranno decine di migliaia di posti di lavoro in meno, piccole aziende costretta a chiudere o a pagare debiti e tasse con fatturati a zero o addirittura in negativo. La misura strategica che abbiamo il dovere di adottare allora è quella di trasformare il 2020 in un “anno bianco“, come ha chiesto Matteo Salvini. La ripresa si può ottenere soltanto abbattendo le tasse, trasformando il “dopo virus” in una rinascita per il nostro Paese. È particolarmente importante che si abbatta, magari arrivando sino allo zero, la pressione fiscale su tutte le attività, a partire da quelle che stanno pagando la chiusura e che sono connesse al turismo: ristorazione e intrattenimento, alimentazione. Per il resto una flat tax, una tassazione piatta, che spinga chi ha ancora da parte qualche soldo ad investire. Fu la strategia adottata dalla Grecia dopo il default ed ebbe ottimi risultati, per esempio portando milioni di turisti nel suo Paese. Bisogna investire per realizzare infrastrutture, facendo lavorare, in opere strategiche per il nostro Paese, decine di migliaia di lavoratori dell’edilizia.
I leader degli altri Paesi hanno mobilitato risorse enormi. I 25 miliardi annunciati da Conte bastano a sostenere l’economia italiana e preparare la ripresa?
L’America di Trump ha messo sul tavolo 2.000 miliardi per sostenere l'economia Usa, un assegno di 1.200 dollari per tutti gli americani con un reddito basso e 500 dollari per ogni bambino. Il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, ha parlato di “misure senza precedenti” e il suo Governo ha stanziato 156 miliardi di euro. Di fronte alle scelte di chi sino ad ieri si proclamava vestale dell’equilibrio dei conti pubblici, diventa addirittura incomprensibile che questo Governo continui invece a nasconderci dietro il debito pubblico, come ha fatto ancora qualche giorno il ministro per l’economia Gualtieri. Siamo davanti ad una situazione eccezionale che impone di ritenere superati vincoli che, di fronte ad un’economia di guerra, diventano senza senso. E per far questo non bastano certo i 25 miliardi del “Cura Italia”. L’Italia ha il dovere di mettere direttamente nelle mani dei lavoratori, dei commercianti, dei professionisti, degli imprenditori, dei precari quei soldi che servono per andare avanti. Non saranno sprecati, a partire dal fatto che dimostreranno che lo Stato, finalmente, c’è.
La crisi chiama alla responsabilità anche le Regioni, chiamate ad azionare le leve economiche a loro disposizione.
Se guardiamo alla Campania, per esempio, la Regione può fare molto anche da sola, facendo persino diventare un’opportunità il suo grave immobilismo in tema di utilizzo dei fondi europei. La spesa delle risorse assegnateci dall’Unione Europea non arriva al 30% di quelle disponibili. E molta parte di quelle formalmente impegnate, in realtà è ferma al palo tra ritardi di attuazione e assenza di atti amministrativi giuridicamente vincolanti. La mia proposta è semplice: mettiamo immediatamente in campo tutte le risorse libere e riprogrammiamo tutte quelle impegnate ma ancora giuridicamente disponibili. Organizziamo subito un pacchetto puntuale di misure a sostegno delle nostre imprese (compresi artigiani e commercianti) e dei nostri lavoratori, appunto un piano Marshall fatto in casa. A partire da una iniezione diretta di liquidità per le imprese, attraverso un meccanismo di attestazione dei pagamenti da effettuare e da ricevere, certificato da professionisti regolarmente iscritti all’albo professionale. Poche regole, ma chiare e certe, anche sui tempi, e la gestione affidata direttamente alla società finanziaria regionale Sviluppo Campania. Accanto a questo, una scossa alla macchina burocratica di regione ed enti locali.
Il lockdown con la chiusura dei negozi sta mettendo in ginocchio la categoria dei commercianti e moltiplicando i ricavi dei colossi dell’e-commerce.
Siamo solo all’inizio e già, secondo Nielsen, le vendite online dei prodotti di largo consumo – alimentari e non solo – sono aumentati di oltre l’80% rispetto allo scorso anno, del 30% rispetto alle settimane immediatamente precedenti alla chiusura degli esercizi commerciali decretata allo scopo di contenere il virus. Il rovescio della medaglia sono le difficoltà dei piccoli esercizi commerciali, che non solo sono costretti a sostenere costi – come gli affitti, le tasse come l’Irap, i dipendenti, ma subiscono anche i danni dovuti al deperimento delle merci. Senza dimenticare le conseguenze in tema di perdita di posti di lavoro. Si potrebbe chiedere ai colossi del web di destinare un contributo di solidarietà del 2 o 3% sull’incremento dei loro ricchi fatturati ad un Fondo destinato al piccolo commercio che consenta a questi piccoli imprenditori di coprire almeno il pagamento delle tasse nazionali e locali e dei contributi.E’ possibile ed è anche una misura di equità, compensativa considerando i vantaggi fiscali di cui godono. Cosa mai sarà per loro quel 2% una tantum sull’extra fatturato?